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  • NL 8: Ligozzi_Tra sogno e progetto
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Tra sogno e progetto, oggi come ieri, gli studenti ripensano alle proprie scelte e si chiedono come si cresce dentro e fuori l'Università

di Maddalena Ligozzi

 

Perché sei qui? Qual è il tuo sogno? Qual è il tuo progetto? 

Queste sono le domande, che da cinque anni, vengono poste, all'inizio del laboratorio esperenziale[1] agli studenti che hanno scelto l'insegnamento di "Organizzazione e gestione delle risorse umane" del Prof. Sicca, ordinario presso il Dipartimento di Economia Aziendale. Si tratta di domande che aprono scenari ampi dove è possibile comprendere la motivazione degli studenti, i desideri, le aspirazioni, le speranze e le incertezze relative al futuro. A rompere il ghiaccio è sempre lo studente più sicuro o anche quello che non regge il silenzio. Quasi tutti gli studenti scelgono questo insegnamento perché sono interessati a lavorare "nell'ambito delle risorse umane", ma forse molti non sanno nemmeno bene di che cosa stanno parlando o comunque si immaginano dall'altro lato della scrivania, come manager che gestiscono persone, risorse umane. Per molti studenti è questo il sogno: diventare manager di aziende automobilistiche, aziende di moda, multinazionali, società sportive etc. Per altri il sogno è più vicino al progetto, ovvero entrare nell'azienda di famiglia o avere un lavoro in ambito amministrativo-contabile. A volte c'è uno scarto ampio tra il sogno e il progetto, perché gli studenti hanno timore di credere nel proprio sogno e considerano sempre l'altra possibilità, quella più vicina, quella su cui puntare, se le cose non vanno bene. Altre volte lo scarto tra sogno e progetto è minore perché gli studenti vogliono tenere i piedi per terra, lasciando poco spazio a sogni ambiziosi e lontani. Infine ci sono studenti che non riescono a dare spazio al sogno: per alcuni la scelta di studi rappresenta un ripiego, una scelta che, a guardare le statistiche, mette i laureati in Economia al terzo posto tra quelli che riescono a trovare più velocemente lavoro.
All'interno del laboratorio dare spazio al sogno e quindi alle proprie ambizioni, ha consentito agli studenti di guardare con più fattibilità al progetto, mettendoci dentro anche elementi del sogno: allora ecco che Martina ci ha detto che sogna un mondo che funzioni meglio, dove non bisogna aspettare "tempi biblici" per sbrigare le proprie pratiche burocratiche. Martina non vuole gestire un'impresa tutta sua, ma desidera lavorare in un'azienda pubblica per migliorarne l'efficienza. Un compito arduo e forse ingrato, pensa buona parte del gruppo. Lei ci crede, perché troppe volte ha visto ingiustizie insopportabili: "non si può morire, aspettando un'autorizzazione, un permesso che non arriva!".
Claudio, invece è tornato a Napoli, dopo tre anni di esperienza a Torino, dove si è trasferito dopo aver conseguito la laurea triennale. Egli non riusciva a stare lontano dalla sua terra, ne sentiva la mancanza. Non sopportava l'atteggiamento discriminante che c'è nei confronti del Meridione d'Italia. Ha deciso, quindi, di tornare a Napoli: sta lavorando a una tesi sui beni confiscati alla camorra. Vorrebbe fare l'amministratore giudiziario per occuparsi più fattivamente di questo settore. Egli pensa che il genio e la creatività venga soprattutto dalla gente del Sud. Questa dichiarazione coinvolge emotivamente il gruppo e consente anche agli altri di esprimere con maggiore coraggio le proprie aspirazioni e ambizioni.
È molto forte, però, la paura di credere di avere delle possibilità, perché il gruppo si sente contagiato dall'idea che non c'è spazio per tutti nel mondo del lavoro, per cui bisogna far presto e accontentarsi di ciò che si trova.


Come si sceglie un'organizzazione?

Nel secondo incontro, quando vengono letti copioni di storie di altri studenti che si confrontano sulla propria scelta, la maggior parte del gruppo ritiene di aver scelto Economia, dopo aver consultato le statistiche.  
Pochi sono propensi a considerare, almeno all'inizio, i motivi personali della scelta, connessi alla propria storia. Solo Marcella riesce a parlarci della forte spinta competitiva che c'è nella propria famiglia: tutti i cugini studiano Medicina, lei, però, sentiva di non poter reggere un percorso tanto lungo, né le pressioni e le aspettative della famiglia allargata. La sua scelta è stata di ripiego, perché ha escluso le altre possibilità e non aveva un'idea chiara circa interessi e ambizioni. Forse Marcella è riuscita a costruirsi un'idea strada facendo, attraverso studi che le sono comunque piaciuti.
In questi anni è stato costante il ricorso del gruppo al pregiudizio secondo cui gli altri, i figli preferiti per così dire, hanno vie preferenziali: quelli che si laureano alla Bocconi, quelli che studiano Medicina etc. Nel gruppo viene sottolineato che tale preconcetto non aiuta a considerare la propria personale specificità e la fatica di dover pensare e costruire un proprio progetto senza avere percorsi privilegiati.
Pensare alla scelta fa emergere nel gruppo ricordi lontani e aiuta a ritrovare nella propria scelta, aspetti di investimento e coinvolgimento personale, connessi alla propria storia.
Solo rintracciando elementi fortemente personali, che mettono lo studente in discussione in prima persona, è possibile sentire un senso di responsabilità nei confronti delle proprie scelte e provare a puntare su di sé in quanto "risorse umane". 


Come si cresce in un'organizzazione? 

Nel terzo incontro il focus del discorso è sul momento attuale e sulle esperienze che gli studenti vivono all'Università nella relazione con colleghi e docenti e fuori dall'Università nei contesti formativi e professionali che hanno scelto e in quelli che sceglieranno. 
Si tratta di un momento cruciale durante il quale gli studenti si interrogano su quello che hanno realizzato, sulle esperienze che hanno maturato, sulle competenze che hanno costruito. 
Rispetto a tali questioni gli esiti sono sempre molto simili nel corso di questi cinque anni. 
Il gruppo si confronta sulle diverse esperienze di relazione con ambienti di lavoro e di studio. Emerge che una relazione difficile e complessa con un capo o con un docente può spingere lo studente a reagire in modi diversi: fuga verso altre esperienze, blocco o rallentamento, aggressività e ritorsione. 
A volte c'è la svalutazione di sé o del docente e il calo dell'interesse verso una determinata materia o esperienza; altre volte c'è la ricerca di soluzioni alternative, per evitare di confrontarsi con gli ostacoli che complicano il proprio percorso di studio. 
Infine, in situazioni difficili, ci può essere il consolidamento della propria motivazione a riuscire, ovvero il desiderio di imparare anche in situazioni di "cattività". 
La distanza percepita dai docenti/capi, che, a volte, viene rappresentata dalla separatezza degli ambienti abitati, può evocare nello studente la percezione che i docenti o i dirigenti siano poco disponibili e rifiutanti: es. stanno nell'altra stanza, fanno altre cose, sono poco comunicativi, non mi spiegano le cose, non sostengono la mia crescita!   
In questi casi gli studenti possono sentire una spinta a fuggire e a svalutare l'esperienza, quando è deludente; altre volte invece possono persistere nel tentativo di superare gli ostacoli, facendo domande, cercando soluzioni. 
Il modo differente di reagire è relativo anche ai diversi tratti di personalità che possono facilitare o impedire obiettivi e progetti personali. 
Il progetto universitario, come quello professionale, è infatti personale e implica una capacità di autogestirsi e programmarne i diversi step
A volte i progetti personali incontrano quelli degli altri all'interno di un "gruppo di lavoro". 
In genere in questi laboratori emerge una visione molto vicina a quello che succede nella maggior parte delle organizzazioni: se le persone hanno buone relazioni con i capi/docenti e hanno stima di loro, riescono a "fare meglio" sentendosi soddisfatte e a produrre di più nel sistema, sentendosene parte integrante. 
Quando, però, la leadership non è carismatica, ma fredda e distanziante (es. docente che boccia, leader che esclude o ignora i membri del gruppo), essa fa leva su un abuso di potere e rischia di danneggiare la relazione e di impedire la crescita nel sistema. 
Quando una leadership è autoritaria, solitamente il lavoro richiede più energie, come se dovesse avvenire in una situazione di affaticamento; la comunicazione può essere poco chiara e incoerente; i membri del gruppo restano nel sistema, se è necessario alla sopravvivenza, oppure se si ritiene di non poter cambiare lo status quo; oppure si cercano altre esperienze gratificanti, come ad esempio l'appartenenza ad un'associazione, che possano colmare i limiti del sistema. 
Molti sono gli studenti che dichiarano di appartenere ad un'associazione studentesca o di altra natura. Ciò consente loro di investire su un gruppo di lavoro, individuando ruoli, compiti e funzioni, riconoscendosi meriti e demeriti, risorse e limiti. Nel descrivere la propria esperienza, Marco si sente dispiaciuto perché ritiene di non essere stato un buon team leader: è riuscito a lavorare solo con chi voleva lavorare con lui, tralasciando il resto della squadra che non partecipava agli incontri e non mostrava un autentico interesse. Marco si chiede che cosa poteva fare per coinvolgerli, sente che in parte ha fallito perché non ha coinvolto l'intero gruppo, assegnando compiti e funzioni, ma ha collaborato solo con quei pochi che riconoscevano il proprio ruolo e lo seguivano. È facile essere un leader in questo modo ... conclude. 
Tali riflessioni aiutano il gruppo a pensare a quegli elementi rilevanti che fanno crescere una persona e il suo team nel tempo:

-          Competenze specifiche (saper lavorare in team, padronanza della lingua straniera, saper delegare e saper assumere delle responsabilità)
-          Pensiero positivo e divergente 
-          Capacità di scegliere e di rinunciare
-          Capacità di apprendere dall'esperienza. 

Far parte di un gruppo e collaborare non è semplice perché a volte si vivono sentimenti contrastanti di competizione e cooperazione. I ruoli all'interno del gruppo non sempre sono chiari e definiti (dipende dallo stile del leader, dalla maturità e dall'autonomia del gruppo). 
Nei gruppi paritari la responsabilità in vista di un obiettivo comune dovrebbe essere assunta da tutti i membri allo stesso modo. Tuttavia non sempre il carico di lavoro viene suddiviso equamente. 
In questi gruppi contano le caratteristiche di personalità, la leadership e l'investimento nel compito, che spingono a impegnarsi oppure a defilarsi. 
In base al tipo di leader cambiano anche le relazioni tra i membri e i ruoli in un gruppo di lavoro. Ad esempio, a volte un leader direttivo che precisa bene i compiti dà sicurezza, ma, se è troppo rigido, penalizza l'intraprendenza e la creatività. 
Altre volte un leader democratico può incoraggiare l'intraprendenza e la tendenza di una persona a prendersi maggiori responsabilità, ma non sempre sostiene un'equa suddivisione dei ruoli e dei compiti. 
Un leader lassista/permissivo può creare nel gruppo poca definizione, rabbia e confusione nella gestione delle responsabilità. 
È sorprendente osservare come questi contenuti, senz'altro rintracciabili in diversi manuali, siano però emersi dal gruppo e dal confronto tra i propri membri. 


Conclusioni

Gli incontri successivi sono dedicati al lavoro di sistematizzazione dell'esperienza attraverso la presentazione di un power point sugli esiti del percorso e all'elaborazione della fine dell'esperienza.   
In questi gruppi si passa sempre attraverso un momento depressivo, non in senso patologico, ma in senso evolutivo. Il gruppo sanamente si deprime quando i membri al suo interno riconoscono i limiti della propria scelta, divengono più consapevoli dell'illusione iniziale di vedersi già Manager, sono disposti a riconoscere lo sforzo e la fatica di dover completare il percorso universitario per poi vivere l'incertezza dell'essere neolaureati alla ricerca di esperienze professionali e formative, temono il confronto con gli altri e la spinta competitiva per entrare nel mondo del lavoro, vivono la pressione di dover "far presto". 
Solo potendosi prima deprimere, è possibile ritrovare spinte propulsive e creative. Nel corso dell'esperienza, gli studenti riescono a riconoscere la proprie difficoltà, i limiti e le risorse personali, riescono a dare valore, non solo a demolire esperienze formative e lavorative che hanno intrapreso, anche quando inizialmente venivano descritte come completamente fallimentari; riescono a esprimere in gruppo emozioni e pensieri in relazione a vicende personali, senza ricorrere a colpevolizzazioni facili e a pregiudizi per giustificarsi; riescono a partecipare e a "utilizzare" il tempo del laboratorio sentendosi "inclusi" nel discorso e responsabili del buon esito dell'esperienza. 
Alla fine di questa esperienza, quasi sempre gli studenti, almeno quelli più assidui, hanno intuito cosa significa essere "risorse umane", non perché ne hanno appreso la definizione, ma perché sono riusciti in maniera creativa a investire sulla propria capacità di pensare insieme per trovare risposte condivisibili, per dare senso alle esperienze vissute e al proprio progetto di vita, a partire da sé e dalle proprie scelte.

 

 

[1] Per una descrizione della struttura e delle finalità del laboratorio si veda l'articolo pubblicato sulla Newsletter 3 di Sinapsi http://www.sinapsi.unina.it/nl3_laboratorio_esperienziale

 
 
 

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