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  • NL 9: Editoriale
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Editoriale

di Paolo Valerio

Scrivo le note di questo editoriale in giorni in cui gli eventi paiono condannare l'inclusione a una condizione di "clandestinità" nel nostro mondo, a un'esistenza indesiderata, schivata, finanche combattuta e avversata. Quando non, spietatamente, eliminata.
Penso al tragico sterminio avvenuto a Orlando, che è stata la più grande ferita subìta non solo dalla comunità gay ma dagli Stati Uniti nella loro interezza, a causa di un'inestirpata cultura della violenza e della discriminazione. O, per venire più vicini a noi: a poche ore dall'efferato omicidio a Fermo di Emmanuel Chidi Nadi, migrante dalla Nigeria, che aveva voluto difendere la sua compagna da immondi insulti razzisti, viene da chiedersi davvero se "il viaggio dell'inclusione" che dà il titolo alla nostra newsletter, non rischi di essere solo un viaggio à la Jules Verne, fantastico, immaginifico, rigenerante per la nostra mente, ma - in ultima istanza - appunto solo questo: un figmentum mentis, finzione slacciata dalla realtà. Come non chiedersi, assumendo la parte dell'avvocato del diavolo, se gli articoli contenuti in questo numero, che presentano spesso dei traguardi autentici nell'impegno dell'inclusione, non disegnino tuttavia un quadro troppo roseo, perché zoomano su storie particolari, abbandonando lo sguardo panoramico?
Concludendo il suo contributo nella sezione "Compagni di viaggio", in cui rievoca la sua recente esperienza a Napoli, dove gli attori del progetto teatrale "magicamente diversi" (ragazze e ragazzi con varie patologie, difficoltà di apprendimento e svantaggio sociale) hanno allestito lo spettacolo La parola ai giurati di Reginald Rose, la prof.ssa Sofia di Carluccio, creativa operatrice di una cultura dell'inclusione, parla della "diversità" come di "una magica opportunità".
Ho avuto il privilegio di partecipare alla rappresentazione e posso dire che questa definizione coglie perfettamente non solo lo spirito del progetto portato avanti dalla prof.ssa di Carluccio ma, più in generale, la verità di ogni impegno a far avanzare una sensibilità aperte alle differenze (come per esempio gli sforzi raccontati, in questo numero, nelle tre testimonianze da parte del servizio anti-discriminazione del SInAPSi; o le iniziative come quella dei Lions, in collaborazione con SInAPSi, di cui pure si rende conto in questo numero e durante la quale il drammatico episodio di Orlando è stato citato come indice del bisogno di accrescere la coscienza democratica e inclusiva).
Ma come considerare questi 'successi' sullo sfondo non solo di eventi luttuosi come quello ricordati all'inizio ma anche, e più radicalmente, di eventi epocali quali la migrazione di centinaia di migliaia di persone che scappano da guerre e violenze e trova spesso ad 'accoglierli' nelle nostre società la torva paura di opinioni pubbliche più inclini alla cultura del respingimento che a quella dell'inclusione? Un'inclusione intesa non come vago ideale ma come autentico progetto di società, con quanto in termini di impegno di realizzazione ciò impone. Che facciamo noi, operatori dell'inclusione a diversi livelli e con diversi ruoli, per farci carico di questo quadro più ampio? Cadiamo forse in una sindrome-Candide, limitandoci a "cultiver notre jardin"? E la nostra newsletter sarebbe solo una rassegna di questo tipo di 'giardinaggio'?
La risposta a tali domande avrebbe bisogno di uno spazio ben più ampio della cornice di un editoriale. Andavano però poste, con la 'spregiudicatezza' che l'inclusione - come lotta ai pregiudizi - esige. Al contempo si può azzardare almeno una direttrice di risposta. Dobbiamo resistere a due tentazioni: da un lato, quella di accontentarci della coltivazione dei nostri giardini senza aver presente lo sfondo più ampio. Ma - devo dire - nessun vero operatore di inclusione si segrega nel solo suo ambito. Sarebbe gesto contrario alla dinamica stessa dell'inclusione, che è espansiva, coinvolgente, processuale. È la logica del viaggio e dei compagni di viaggio (che la nostra newsletter testimonia in questo numero anche con l'articolo di una collega del Middle East Technical University (METU) di Ankara). È la logica, a noi cara, della 'sinapsi', dei collegamenti, delle connessioni e della comunicazione.
Dall'altro lato, dovremmo evitare la tentazione di pensare che in ogni momento siamo in grado di farci carico dell'intero quadro e che lo tradiamo attendendo ai nostri giardini. Adattando una frase di Ulrich Beck, non possiamo pensare di dare risposte biografiche a problemi sistemici. Quello che possiamo fare è che le coltivazioni dei nostri giardini siano sempre più lussureggianti, che si incontrino con quelle di altri giardini e possiamo fare in modo che sempre più giardini di inclusione cambino il paesaggio mentale ed emotivo delle nostre società.

 
 

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