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Disability Pride Italia 2017: come giungere a un'accessibilità universale

di Fabiana Carcatella

 
 

Lo scorso 7 e 8 luglio ha avuto luogo il Disability Pride Italia 2017, iniziativa ideata da Carmelo Comisi  e nata per sensibilizzare il grande pubblico sui temi che riguardano il mondo della disabilità e far conoscere obiettivi acquisiti e quelli da conquistare.
Nella splendida cornice del Maschio Angioino esperti di disabilità, tecnologie, lavoro, salute e turismo, hanno offerto il proprio contributo, condiviso studi, progetti, idee.
Quattro le tematiche affrontate: "Tecnologie al servizio della disabilità", "Inserimento lavorativo e gravi disabilità", "Cultura e turismo accessibile", "Vita indipendente e autonomia delle persone con disabilità".
Tanti gli spunti di riflessione e gli inviti a prendere consapevolezza di condizioni e concetti spesso dati per scontati.
Prima di parlare di disabilità, infatti, bisogna parlare di competenza. Ce lo ricorda la prof.ssa Marina Melone , secondo la quale si necessita di una strategia affinché la nostra società diventi sempre più competente:
"Penso che uno dei problemi più importanti della nostra società sia la mancanza di competenze. Una società, per definizione, dovrebbe essere un insieme di persone che condividono difficoltà, bellezze, tutto. In questo caso, ritengo che l'individualismo, che sta caratterizzando a tutti i livelli la condizione sociale, faccia sì che la situazione diventi sempre meno organizzata".
C'è bisogno, quindi, di un linguaggio comune. Come sottolinea l'assessore Roberta Gaeta , "dobbiamo fare uno sforzo al fine di riuscire a trovare le modalità per parlare la stessa lingua o, quantomeno, per intenderci nonostante ci siano lingue diverse".
Un linguaggio comune, ma anche un linguaggio scientifico. Sempre secondo lo stesso assessore, infatti, produrre un linguaggio specialistico non solo "nobiliterebbe" un argomento spesso trascurato, ma aiuterebbe anche a comprendere in termini tecnici quali sono le motivazioni e gli strumenti per vivere meglio.
La disabilità interessa tutti. Questa affermazione acquista maggiore valore se si tiene conto della definizione che nel 1948 l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dà al concetto di Salute:
"Uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o di infermità."
Tutti siamo malati e tutti, per il completo raggiungimento di un benessere fisico, mentale e sociale, dobbiamo ambire a una società civile, una società che comprenda in sé il concetto di inclusione.  "Ogni intervento fatto a favore della disabilità" - spiega il prof. Paolo Valerio  - "incide su tutta la popolazione. Sembra una banalità, ma avere tutta una serie di barriere abbattute aiuta anche le madri con i passeggini, chi ha una momentanea disabilità per un incidente e così via. Sono, quindi, interventi che hanno un'utilità in qualsiasi caso".
Non si tratta solo di barriere architettoniche, ma anche e soprattutto di barriere culturali. Non si tratta solo di forme di assistenza, ma bisogna guardare complessivamente alla qualità della vita. "Pensare che una persona con disabilità - afferma l'assessore Roberta Gaeta - possa andare al cinema, a teatro, o fare qualsiasi cosa abbia desiderio di fare, ha la stessa importanza che avere il giusto riconoscimento di assistenza e dei diritti. Dall'altra parte, chi non ha una determinata difficoltà deve comprendere come vive l'altro; per fare ciò c'è bisogno di più momenti di sensibilizzazione. Nessuno deve sentirsi fuori da una responsabilità che riguarda ogni cittadino".
Una responsabilità che riguarda, prima di tutti, le istituzioni. Secondo il prof. Alessandro Pepino , infatti, la sensibilizzazione non ha ragione di esistere se il governo non ricopre il suo ruolo:
"Sono vent'anni che si parla di sensibilizzazione, ma non si può parlare di sensibilizzazione per far rispettare delle norme già presenti. Qui bisogna rispettare i diritti che sono alla base della Convenzione ONU e vigilare affinché vengano rispettati. L'amministrazione deve riprendere il suo ruolo di governo perché ciò venga messo in atto."
Le norme per attuare un cambiamento ci sono, i mezzi anche. Lo sviluppo della tecnologia ha sicuramente consentito al mondo della disabilità di fare passi avanti (per approfondimenti su questa discussione cfr. l'articolo successivo in questo numero della newsletter).
Il concetto di tecnologia è fortemente collegato quello di formazione. A tal proposito il dott. Giuseppe Fornaro  riferisce che, spesso, chi assiste non è in grado di utilizzare le nuove tecnologie.
La formazione, in realtà, deve riguardare tutti: la persona disabile, gli insegnanti, i famigliari e, ritornando al concetto di una società civile, anche le persone meno coinvolte. A tal proposito il prof. Pepino aggiunge: "Non è detto che solo il personale qualificato debba essere efficace, ma ci sono gli studenti, il volontariato, il servizio civile, i tirocini, che, opportunamente utilizzati, sono una risorsa enorme. Essi possono dare un contributo e, mentre forniscono un contributo, fanno formazione e crescono. Molti ragazzi che hanno fatto e fanno questa esperienza si costruiscono quotidianamente la competenza. Tutto ciò è funzionale al sistema".
Per quanto riguarda la persona con disabilità, la formazione, che è poi alla base dell'inserimento lavorativo, potrebbe prendere avvio già in ambito scolastico. "Il provvedimento più semplice e scontato che viene attuato nella scuola italiana - racconta il dott. Mario Mirabile  - è l'esonero della persona non vedente dall'educazione fisica. Questa è la cosa più sbagliata da fare. Lo studente non vedente non deve di certo diventare un campione atletico o uno sportivo, ma ha il diritto di conoscere il proprio corpo attraverso l'attività motoria".
La scuola potrebbe e dovrebbe fare molto di più. Da una parte, si potrebbero alimentare relazioni tra mondo dell'istruzione e mondo del lavoro. In alcune realtà universitarie questo già avviene: "Mio padre - racconta il dott. Giovanni Cupidi  - nell'ultimo anno della sua vita era riuscito a mettere in moto, all'interno dell'università dove studiavo, una serie di meccanismi, di percorsi, di partnership con aziende esterne. Si trattava di aziende come la Telecom o la Beghelli, in cui studenti con disabilità potevano intraprendere un percorso lavorativo".
Dall'altra parte, come suggerisce la dott.ssa Daniela Pavoncello , un'altra soluzione potrebbe essere rappresentata dall'alternanza scuola-lavoro. Anche in questo caso non mancano esperienze di successo. All'interno dell'Istituto Tecnico-Agrario "G. Garibaldi", ad esempio, grazie alla collaborazione di studenti, insegnanti e genitori, è stata creata un'azienda agricola gestita da ragazzi con sindrome da spettro autistico.
Opportunità di questo genere conferiscono maggiore autonomia alle persone con disabilità, alimentano uno spirito all'imprenditoria e favoriscono lo sviluppo di modelli innovativi.
"Il lavoro - spiega la dott.ssa Daniela Pavoncello - è importante. Esso è fondamentale per tutti noi, diventa determinante per le persone con disabilità. Dare senso alla propria giornata attraverso il lavoro rafforza non solo l'identità professionale, ma anche l'identità personale e dà una prospettiva temporale di vita di gran lunga superiore rispetto alla persone senza un lavoro. L'obiettivo è quello di costruire una realtà dove il lavoro, oltre a rappresentare una forma di reddito, costituisca un elemento portante di una società inclusiva, sostenibile e più spontanea".
Primo elemento da eliminare è il pregiudizio, quel pregiudizio che, ricorda la dott.ssa Nina Daita , in maniera stereotipata intende la persona con disabilità come incapace. O, peggio ancora, quel pregiudizio che reputa la persona disabile in grado di poter svolgere solo determinati lavori. A tal proposito, in rappresentanza della categoria delle persone non vedenti, il dott. Mario Mirabile afferma: "Ci dicono che noi non vedenti possiamo fare solo i centralinisti o i fisioterapisti. Non è assolutamente vero. Possiamo fare tante cose. Il sindaco di Cuneo, ad esempio, è un non vedente ed è stato rieletto al primo turno. Nonostante la disabilità, è stato rieletto".
Le leggi per favorire l'inserimento lavorativo ci sono, ma c'è bisogno di incentivi per le aziende, che si dimostrano disorientate rispetto a una realtà che non conoscono e non sanno gestire. Esse necessitano di sostegno metodologico e tecnico affinché siano in grado di progettare. "Le aziende - spiega il prof. Pepino - devono prendere e assumere, ma chi le aiuta a realizzare un percorso inclusivo? Realizzare un percorso inclusivo significa mettere in discussione il percorso lavorativo. Bisogna attuare dei progetti di inclusione, non assumere semplicemente. Abbiamo la tecnologia, ma bisogna saperla gestire. Occorrono servizi e personale competente".
Tutto ciò dimostra che non è la persona con disabilità a doversi integrare alla società, ma è la società che deve ri-strutturarsi considerando i diritti della persona con disabilità.

 
 

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