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Famiglie omogenitoriali: combattere lo stigma attraverso la conoscenza, il dialogo e le “reti”

maglietta delle famiglie arcobaleno con scritta frase: è l'amore che crea una famiglia


a cura di Mariano Gianola

In questa intervista, che tratta il tema delle famigli”e”, Carla di Maio e Marilena Di Maro hanno narrato spaccati di realtà riguardanti la loro vita familiare. Carla e Marilena sono una coppia militante per i diritti LGBTQI+ all'interno di Famiglie Arcobaleno – Associazione di genitori omosessuali. Giona, il loro figlio, è coautore di una favola per bambini che tratta la tematica della genitorialità*.

 - Nei giorni scorsi, a Verona si è tenuto il Congresso Mondiale delle Famiglie 2019. Si ipotizza conosciate le tematiche che sono state trattate? Cosa ne pensate in merito?
Marilena: La cosa che ci ha fatto più pensare è che a questo Congresso non sono state invitate tutte le forme di famiglia. Rispetto le tematiche che sono state trattate, non siamo d’accordo su molti punti. Tra questi, il fatto che l’unica famiglia da proteggere e tutelare sia quella chiamata tradizionale, la rimessa in discussione della legge sull’aborto e, soprattutto, la rappresentazione che è stata veicolata circa la figura della donna. Quest'ultima, infatti, non è stata valorizzata ma rappresentata come avveniva molto tempo fa, quando era considerata unicamente come femmina di casa (quindi addetta alle pulizie, alla vita ai fornelli e unica persona occupantesi della crescita dei figli). Per le donne non sono state contemplate le stesse possibilità previste per gli uomini. Volendo citare un esempio, essere donna equivale a non poter aspirare a costruire una solida carriera professionale.
Carla: Per quanto riguarda l’impostazione del Congresso, è stata una cosa buona iniziare pregando per la famiglia in quanto questo nucleo dovrebbe essere un luogo di accoglienza e di amore. Sarebbe stato bello, però, pregare per tutte le famiglie e non solamente per la quella tradizionale. Non condivido, inoltre, in merito alle varie argomentazioni esposte, l’idea che solo la famiglia definita “naturale” possa dare una sana direzione ai bambini e farli crescere degnamente. Non riesco a comprendere, tra l'altro, l'associazione del termine “naturale” al concetto di famiglia, visto che questo rappresenta una costruzione operata dalla società.  L’esperienza ci ha mostrato che, in alcune famiglie “naturali”, ci sono stati percorsi problematici, persone non corrette, squilibrate, pedofile o che hanno commesso atti di violenza. Proprio per questo, non vedo perché le famiglie omogenitoriali debbano essere etichettate negativamente o come strane. Sarebbe opportuno, al di là del pregiudizio, “dare voce” alle famiglie differenti da quella tradizionale e capire come queste vivono e crescono i loro figli. Le etichette negative associate a queste famiglie creano danni ai loro nuclei e, soprattutto, ai bambini. 

-  Quanto sentite riconosciuta la vostra famiglia in Italia?
Marilena: In Italia, le nostre famiglie (omogenitoriali) non sono riconosciute a pieno. Il riconoscimento può essere sociale, nei contesti familiari e amicali dove è presente la conoscenza e sono forti i legami tra le persone. Ma a livello legale e istituzionale, invece, questo riconoscimento è inesistente. Le famiglie omogenitoriali non godono degli stessi diritti di quelle tradizionali. Io (Marilena) e la mia compagna (Carla), possiamo dire di essere fortunate rispetto molte altre famiglie con genitori omosessuali. Abbiamo i documenti di una sentenza ad opera del Giudice dei minori che riconosce anche me come genitore di Giona (nostro figlio), pur non essendo la mamma biologica come nel caso della mia compagna. Per ottenere questa sentenza, ho chiesto “l’adozione di mio figlio”. Mi ritengo fortunata proprio perché da un punto di vista legale sono riconosciuta come genitore di Giona. Ma questo non vuol dire che non abbia problemi. In diverse situazioni quotidiane, infatti, sono tenuta a fornire spiegazioni rispetto la mia famiglia perché, purtroppo, le persone non riescono a comprendere che un bambino può avere due mamme. Inoltre, devo sempre camminare con il documento della sentenza del Giudice dei minori per dimostrare la mia genitorialità dal punto di vista legale.
Carla: Questo ha creato disagi a nostro figlio, il quale ha dovuto sapere che a 7 anni è stato adottato da sua mamma Marilena la quale è stata sempre presente portandolo in braccio e sostenendolo sin da quanto era neonato. Nostro figlio, ora, porta tutti e due i nostri cognomi.

- Giona sa come è nato? Conosce i passi del suo percorso di vita?
Carla: Giona è un bambino molto maturo. E’ stato anche interrogato dal tribunale dei minori in quanto, al fine di ottenere la sentenza di cui abbiamo parlato, il giudice doveva comprendere il suo rapporto con la mamma non biologica (Marilena). Gli abbiamo spiegato che, in Italia, le famiglie che hanno due mamme (o due papà) sono famiglie nuove e, proprio per questo, molte persone che non conoscono la loro realtà possono credere che siano famiglie non possibili (valutandole con pregiudizio). Penso che per spiegare agli altri che le famiglie omogenitoriali sono, come le altre, validi nuclei affettivi, relazionali e di sostegno, l'arma migliore sia quella della conoscenza. Sì, perché la conoscenza può permettere la comprensione che anche i genitori omosessuali amano, sostengono, rispettano, educano e crescono i bambini in maniera sana. 

 - Siete state vittime di pregiudizi in riferimento alla vostra esperienza familiare? Se si, ci raccontate un episodio e come avete affrontato la situazione?
Carla: Nella vita quotidiana, quella di tutti i giorni, non facciamo esperienza di particolari disagi legati al pregiudizio. Viviamo serenamente nel nostro quartiere ed abbiamo un buon rapporto con il vicinato. Al di la di questo, però, abbiamo fatto esperienza di singoli episodi di discriminazione. Quelli maggiormente significativi sono avvenuti scuola, quando nostro figlio frequentava l'asilo. Premetto che gli episodi in cui si sono manifestate queste discriminazioni non si sono verificati al “nido” o alle “elementari” (in cui abbiamo trovato maestre molto accoglienti e inclusive). All'asilo, i maggiori problemi si sono verificati soprattutto in relazione alla festa del papà, quando la maestra di Giona (quella di ruolo) ci comunicò che, in relazione al lavoretto che avrebbe coinvolto i bambini, non era disponibile a creare un'alternativa per nostro figlio. Per la maestra, la migliore soluzione sarebbe stata che nostro figlio si fosse assentato da scuola nei giorni in cui c'erano i preparativi per la festa del papà. 

 - La maestra vi ha chiesto di far assentare Giona da scuola nei giorni precedenti la festa del papà perché non era disposta a creare un'alternativa per il bambino e per la sua normalità familiare? Da quello che raccontate, l’insegnante avrebbe promosso, oltre a un assetto non inclusivo, l’idea di non far andare il bambino a scuola nei giorni precedenti tale festa e, quindi, la sua mancata partecipazione alle attività come tutti i suoi compagni. E' accaduto ciò?
Carla: Esattamente. Inoltre, ci siamo sentite prese in giro anche dalla Preside la quale ci promise di parlare con la maestra per trovare una soluzione alternativa e inclusiva affinché Giona partecipasse alle attività scolastiche come tutti i bambini. Ma questo non è mai accaduto. Inoltre, ci siamo sentite prese in giro anche perché, la stessa Preside, ci promise – come da noi suggerito – di promuovere nella scuola una specifica formazione per insegnanti, cosa che non si è verificata.  
Al II anno di materna, fummo fortunate poiché all’insegnante di ruolo, fu affiancata un insegnante che, oltre alla sensibilità personale e alle competenze possedute, avendo una figlia adottiva, mostrò di possedere quella conoscenza ed esperienza giusta per trasformare la festa del papà in festa delle famiglie. Questo, nei giorni successivi, scatenò il risentimento e l’ira da parte di alcuni genitori che pretesero che fosse rifatta la festa, mettendo in risalto la figura del papà. Al III anno d’asilo, la maestra di ruolo ci comunicò che voleva, addirittura, aggiungere un disegno o una foto del papà alla poesia. Prese dallo sconforto per le continue battaglie, dopo l’ennesimo invito da parte della maestra a far assentare Giona in prossimità dei giorni della festa del papà, decidemmo di ritirarlo. Questo episodio lo ricordiamo particolarmente poiché, dopo un confronto con la maestra, la stessa aggiunse che io e la mia compagna ci dovevamo pensare prima ad avere un bambino nella nostra condizione. 

 - Una frase tipo “ci dovevate pensare prima”, pronunciata da una maestra di asilo, sembra veicolare la sua disapprovazione rispetto il fatto che due persone omosessuali creino una famiglia. Pensate, in relazione a tale frase, che sia stato esternato un atteggiamento omofobico?
Carla: Certo. Io, nervosa, dissi alla maestra che lei era una omofoba all’ennesima potenza. Questa situazione spiacevole si verificò in concomitanza a un altro episodio di discriminazione che abbiamo subito, in cui nostro figlio ci ha voluto presentare un suo amichetto. Il giorno dopo, la mamma di questo bambino chiese alla Preside come io e la mia compagna ci permettemmo di parlare con suo figlio perché, secondo lei, il minore non doveva conoscere l’esistenza delle altre forme di famiglia. 
 - Questa madre, oltre a palesare il proprio atteggiamento omofobico, voleva quindi nascondere al figlio la conoscenza della realtà e delle altre forme di normalità esistenti?
Carla: Certo. Proprio a causa di ciò, io le chiesi se avesse desiderato il mio scomparire in modo da non educare o spiegare al figlio l'esistenza delle varie forme di differenza. Le chiesi, inoltre, se avesse negato al bambino anche la conoscenza delle tante razze ed etnie esistenti. La nostra difesa, per contrastare le prevaricazioni, ha sempre seguito due traiettorie: la prima è quella composta dal dialogo e dal confronto sereno, la seconda, invece, è costituita dalla creazione di una “rete” con le famiglie dei compagni di Giona che hanno sempre sostenuto la nostra famiglia (solo due famiglie non ci hanno mai sostenute, della quali una è stata citata in riferimento all'accaduto discriminatorio che ho citato poc’anzi).

 - Vostro figlio, tornando a casa da scuola, dalla palestra o da una festa con gli amichetti, vi ha mai riportato qualche episodio di discriminazione cui ha fatto esperienza? Se si, come lo avete affrontato?
Carla: Vorrei raccontare un episodio in merito. Io e Marilena, ci accorgemmo che Giona nascondeva ai suoi compagni la nostra partecipazione alle gite o ai raduni nazionali di Famiglie Arcobaleno, l'associazione cui facciamo parte che si occupa di tutela e difesa dei diritti delle famiglie con genitori omosessuali. Per comprendere e sostenere nostro figlio rispetto i suoi bisogni o eventuali disagi, gli chiedemmo come mai non raccontasse ai suoi amichetti di questi raduni. Alla nostra domanda, il bambino rispose che alcuni compagni non avrebbero potuto capire perché, spesso, gli dicevano che le Famiglie Arcobaleno non esistevano, facendolo sentire un bugiardo. Coerentemente con gli episodi che prima abbiamo raccontato, la maestra non è mai intervenuta per aiutare Giona a far conoscere la propria realtà. Nostro figlio, spesso, è stato costretto a nascondere parti della propria esperienza di vita per la paura di subire discriminazioni. Per preservarsi da eventuali atti di bullismo, anche quando andavamo a prenderlo a scuola, lui baciava solo me, magari baciando Marilena fuori la scuola, nonostante fosse più legato a lei. A scuola, io ero la mamma ufficiale. Giona non ha mai voluto negare l'esistenza di Marilena, ma ha occultato parte della sua realtà per proteggere il nostro nucleo familiare. Proprio per questo, ha cercato di fornire un’immagine di famiglia aderente a ciò che viene socialmente richiesto. Nostro figlio è stato anche picchiato da alcuni dei suoi compagni: questi atti di bullismo sono stati promossi proprio da quel bambino che negava l’esistenza di due mamme e al quale ci siamo presentate, destando disapprovazione di sua mamma (come ho raccontato prima). Per aiutare Giona a non essere bullizzato, siamo andate a parlare con la maestra che – “carinamente” e con nostro sgomento – ci rispose che il bambino, comunque, si sapeva difendere (facendo, con tale affermazione, venire meno il suo ruolo educativo, sociale, di promozione del dialogo e dell'inclusione e promuovendo, inoltre, la difesa personale con la violenza). Anche in questa circostanza, abbiamo tentato di parlare con la dirigente e “fare rete”, cercando sostegno dalle altre famiglie dei compagni di Giona.
 
- Volete aggiungere qualche altra cosa in relazione alla nostra intervista?
Marilena: Durante questi tre anni di asilo, tra le maestre coadiuvanti l'insegnante principale (ci sono sempre due figure), solo quella del II anno si è mostrata inclusiva delle differenze. Le maestre coadiuvanti del I e III anno, invece, si sono mostrate chiuse e discriminanti.
Carla: Al I anno di asilo, la maestra coadiuvante quella principale, in riferimento alla nostra richiesta di creare un’alternativa per la festa del papà, ci prevenne dicendo che lei avrebbe fatto comporre la letterina e fare il disegno del papà anche ai bambini che lo avevano perso perché morto.



*La favola è realizzata in versione e-book e rappresenta un'iniziativa sostenuta all'interno del Centro di Ateneo SInAPSi - “Servizi per l'Inclusione Attiva e Partecipata degli Studenti” dell'Università di Napoli Federico II. I riferimenti sono: di Maio, G. & Gianola, M. (2017), La famiglia pinguini funghetti, Fondazione Genere Identità Cultura, Napoli. Il testo è scaricabile nella sezione “Le favole di SInAPSi” afferente il sito del Centro di Ateneo SInAPSi al link http://www.sinapsi.unina.it/le_favole_di_SInAPSi.

 

 

 

 
 

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