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Casa: rifugio o pericolo?Uno sguardo all’esplosione dei casi di violenza durante il lockdown.

Donna con le mani davanti al viso sulle quali c'è scritto "Stop Violence"


A cura di Stella Celentano.  

Con l’insorgere dell’emergenza epidemiologica da Covid 19 nei primi mesi del 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato lo stato di pandemia, considerando la situazione un problema  sanitario  di  rilevanza mondiale. I  diversi  Stati  hanno  risposto  con  la presentazione  di  decreti  che  imponevano  una  serie  di  restrizioni  volti  a  limitare  il movimento e i contatti tra gli individui.      
Nel periodo di lockdown era consentito lasciare la  propria  abitazione  solo  per  motivi  necessari  e  certificati,  costringendo  gli  individui all’isolamento e alla convivenza forzata. Dunque, la casa, ha rappresentato un luogo di protezione da un pericolo esterno invisibile. Tuttavia, la stessa casa, per molte donne, vittime di violenza domestica non ha rappresentato un luogo sicuro, a causa dell’isolamento forzato e delle difficoltà delle donne conviventi con il maltrattante a denunciare e rivolgersi ai servizi di supporto. In particolare, molte donne che svolgevano lavori informali, che hanno perso durante la quarantena, sono risultate maggiormente esposte. Queste donne sono state costrette a lunghe permanenze in casa, diventando  economicamente dipendenti dai loro compagni con conseguenti maggiori difficoltà a sottrarsi alla violenza. 
In questo contesto, in Italia, l’esplosione dei casi di violenza è stata sostanziale. Se si guarda ai dati delle chiamate al numero verde nazionale antiviolenza 1522 si può, infatti, notare come dal 1° marzo al 16 Aprile 2020 ci sia stato un aumento del 73% rispetto allo stesso periodo del 2019 con un aumento delle vittime che hanno chiesto aiuto del 59% rispetto allo scorso anno (ISTAT, 2020). Anche i dati raccolti presso gli uffici giudiziari fra l’l1° agosto 2019 e il 31 luglio 2020, che tengono conto anche del periodo di lockdown, mostrano come la percentuale dei procedimenti iscritti per il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi sia aumentata dell’11% con un sensibile incremento delle denunce avvenuto proprio tra il 1° gennaio e il 31 maggio 2020.
Un lavoro essenziale è stato fatto dai Centri antiviolenza che, anche nel periodo di lockdown, non hanno mai fatto mancare la loro assistenza continuando a garantire i colloqui protetti pur lavorando prevalentemente (57%) o esclusivamente (32%) da remoto così come testimoniato dall’indagine CNR- IRPSS (2020).           
Meno critico è stato invece il mantenimento dei rapporti con le donne che avevano già iniziato un percorso di uscita dalla violenza prima dell’inizio dell’emergenza: solo il 38% ha dichiarato che i rapporti sono diminuiti, mentre ben il 42% dei centri afferma che i rapporti sono rimasti invariati e il 20% che sono aumentati. Circa la metà dei centri antiviolenza afferma di non aver registrato variazioni nell’intensità delle relazioni con i servizi sociali comunali, le forze dell’ordine e le questure, mentre a subire significative diminuzioni o addirittura interruzioni è stato, invece, il rapporto con gli ospedali (53%) e con i tribunali ordinari e minorili (48%), che hanno sospeso le loro attività. I rapporti con gli altri servizi specializzati (altri centri antiviolenza e case rifugio) sono al contrario aumentati o rimasti tutt’al più invariati.  
In conclusione, potremmo dire che l’emergenza pandemica ha avuto un impatto negativo sulle vite delle donne vittime di violenza andando ad inasprire quelle dinamiche relazionali già presenti precedentemente. Tuttavia, le operatrici dei centri anti violenza e le moltissime volontarie hanno cercato di arginare i danni e dare sostegno, nonostante le numerose difficoltà relative al lavoro in remoto e talvolta all’impossibilità di avere un colloquio privato con la donna.

 

 

 

 
 

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