A cura di Alessia Cuccurullo
Quando si parla di promozione della
cultura in tema di discriminazioni connesse alle persone LGBT+ solitamente si
pensa a convegni, articoli scientifici e testi di autori importanti che
diffondono le più recenti teorie, scientificamente supportate, contrastando
così la costante diffusione di fake news
sull’argomento.
“Fare cultura” con l’obiettivo di ridurre
stereotipi e pregiudizi è considerato erroneamente appannaggio di studiosi e
letterati e raramente sfocia all’esterno del mondo accademico.
Tuttavia, è di fondamentale
importanza prendere in considerazione che la “cultura” è sfaccettata e si
diffonde spesso attraverso canali sociali informali. Pensiamo alla TV, ai
social network e a tutti i più moderni mezzi di comunicazione di massa. Si
tratta di dispositivi prevalentemente culturali, che raggiungono un pubblico
notevole e che, se utilizzati correttamente, possono aiutare a promuovere
cultura e a ridurre lo stigma nei confronti delle minoranze, comprese quelle
sessuali.
Un’ampia fetta dei moderni
strumenti culturali è costituita dai videogame, che coinvolgono principalmente
le giovani generazioni. Si tratta di attività ludiche nelle quali solitamente
il giocatore si immedesima in un personaggio che deve raggiungere un obiettivo
per vincere la sfida. Questi è dotato di caratteristiche molteplici, che lo
rendono un eroe e che quindi ne creano un’immagine positiva agli occhi del
giocatore.
Quanta promozione della cultura,
allora, può nascere dalla creazione di personaggi che vanno “fuori dagli
schemi”, presentando caratteristiche controstereotipiche e contribuendo alla
diffusione dell’immagine di uomini e donne che possono abbattere le barriere
del genere e dell’orientamento sessuale?
Parlare di personaggi LGBT+
protagonisti di videogame, a mio avviso, contribuisce proprio a sdoganare
l’idea che ci sia uno “standard” stereotipato di super eroe.
La mostra dal titolo “RAINBOW
ARCADE – A queer history of video games 1985-2018” realizzata in Germania dal
14 dicembre 2018 al 13 maggio 2019 sembra, a tal proposito un’utile occasione
nella quale gli aspetti ludici dei videogame si uniscono a dimensioni
culturali.
Obiettivo principale della mostra allestita
presso lo Schwules Museum di Berlino è dunque quello di individuare i
personaggi Lgbt+ nei videogiochi prodotti dal 1985 al 2018, ma anche quello di
denunciare le narrazioni stereotipiche nell'industria del gaming.
Suddivisa in percorsi contrassegnati
da un colore della bandiera arcobaleno, Rainbow Arcade è stata curata da Sarah
Rudolph, Jan Schnorrenberg e Adrienne Shaw; essa ci mostra come i videogiochi
siano diventati parte integrante della nostra cultura contemporanea e allo
stesso tempo esplora in che modo questioni sociali importanti, quali le istanze
della popolazione LGBT+, si intrecciano con la quotidianità e con le nostre
rappresentazioni sociali.
Da questo punto di vista, la mostra
rappresenta un utile strumento culturale, che potrebbe divenire itinerante e
coinvolgere giovani di più paesi.
L’augurio, naturalmente, è che
sempre più spesso la cultura popolare possa nutrirsi di elementi di questo
tipo, che favoriscano la decostruzione degli stereotipi e l’inclusione di
rappresentazioni sociali variegate.