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Le transizioni di genere in età evolutiva: uno sguardo psicoanalitico.

Immagine dell'Ermafrodito unico nel mito greco, che aveva vissuto parte della propria esistenza sia come uomo che come donna.


A cura di Cecilia Montella. 

Il tema del transgenderismo in psicoanalisi è stato discusso per anni; in questa sede ritengo che, al fine di esplorare come affronti la psicoanalisi il tema delle transizioni di genere in età evolutiva, sia utile riportare un breve e schematico excursus storico relativo allo studio della disforia di genere ad opera degli psicoanalisti. 
- ANNI  60: Nel 1968 appare “Sex and Gender” (Sesso e genere) dello psicoanalista americano R. Stoller, nel quale si inizia a meglio delineare la differenza tra i due termini. Stoller ipotizza nel bambino uno stadio primitivo di sviluppo che si realizzerebbe a partire dalla nascita, per risultare definitivamente concluso intorno ai tre anni di età: durante tale periodo si consoliderebbe il cosiddetto nucleo dell’identità di genere cioè il convincimento primitivo, e pre-verbale, fissato una volta per tutte e osservabile sul piano comportamentale dell’appartenenza al genere sessuale maschile o femminile. Nella costituzione dell’identità di genere, che si struttura nelle diverse fasi evolutive, assume un peso sostanziale la relazione con la madre, cioè la prima persona con cui il lattante entra in contatto e da cui nel corso del tempo deve separarsi. Secondo Stoller, l’origine del transessualismo maschile risiederebbe in una mancata emersione del bambino dalla originaria fusione simbiotica con la madre, nonché in una identificazione a-conflittuale con la stessa. Stoller pone il transessualismo come un’identità di genere femminile irreversibile, derivante da una particolare costellazione familiare, che inciderebbe sulla formulazione del “nucleo dell’identità di genere” 
- ANNI 70: Person e Ovesey hanno criticato il modello etiopatogenetico di Stoller, poichè osservano, talvolta, una certa distanza emotiva tra madre e bambino. Secondo Person e Ovesey (1973) l’identità di genere si compone di due elementi: l’identità di genere nucleare (l’essere ed il riconoscersi come maschio o femmina) e l’identità di ruolo di genere (l’essere e l’attribuire a sé e agli altri qualità maschili e/o femminili). Mentre l’identità di genere nucleare si consolida abbastanza presto nell’infanzia e resta stabile nel tempo, l’identità di ruolo di genere invece emerge gradualmente in base a come il bambino risponde alle stimolazioni provenienti dall’ambiente esterno e continua dinamicamente ad evolversi e a mutare nel tempo. Sono stati inoltre differenziati un transessualismo primario che comprende i soggetti che mantengono la “transessualità” per tutto il corso della loro vita ed un transessualismo secondario in cui rientrano invece i soggetti il cui impulso transessuale può essere oscillante e fluttuante, o variamente insistente. 
- ANNI 80: Secondo la psicoanalista francese C. Chiland, il bambino che diventa transessuale, si troverebbe di fronte due immagini di donna: da un lato una con cui ha condiviso sentimenti di perfetta intimità e dunque positiva; dall’altro un’immagine associata a sensazioni di “soffocamento” ed oppressione. Secondo la Chiland la condizione dei transessuali biologicamente maschili è caratterizzata dalla totale inaccettabilità d’essere uomini; l’autrice sostiene anche come nella realtà siano molto frequenti delle forme “miste” caratterizzate dalla presenza di più componenti insieme: identitaria, omosessuale, travestita. 
- ANNI 90: Secondo A. Oppenheimer nelle persone transessuali la relazione con la madre, basata su uno sfondo improntato al narcisismo, risulterebbe inevitabilmente “perturbata”. Sarebbe la madre stessa ad “intralciare la strutturazione del mondo interno del bambino”; “Il padre non interviene per rompere questo sistema; non apprezza il figlio e non si lascia idealizzare da lui. 
- ANNI 2000: D. Di Ceglie nel testo “A Stranger in My Body” definisce l’“AGIO” (Atipical Gender Identity Organization – Organizzazione Atipica dell’Identità di Genere) e le sue caratteristiche: 1) rigidità-flessibilità; 2) c’è un periodo in cui si forma l’AGIO; 3) vi può essere la presenza o l’assenza di eventi traumatici in relazione all’AGIO; 4) collocazione dell’AGIO nel continuum posizione schizoparanoide posizione depressiva. Anche per Di Ceglie l’ansia di separazione giocherebbe un ruolo importante nello sviluppo di un AGIO. Il bambino farebbe fronte alla catastrofe psicologica identificandosi con un’immagine materna gratificante mediante identificazione proiettiva, diventando in questo modo la madre, con la conseguente sensazione che non c’è nulla da temere. 
- PROSPETTIVE ATTUALI: La psicoanalisi si pone in un’ottica sempre più depatologgizzante rispetto al tema della disforia di genere. Allo stesso tempo, tuttavia, ci si è soffermati sulle peculiarità relative all’analisi delle persone transgender: Avgi Saketopoulou (2014) sottolinea come il lutto del corpo sia una roccia basilare da cui partire nel trattamento psicoanalitico delle persone T*; Oren Gozlan (2015) si focalizza sull’importanza della terapia, che rappresenterebbe uno spazio transizionale teso all’esplorazione dell’autenticità dell’individuo. Il dibattito tra psicoanalisi e trasgenderismo è ancora aperto, tanto più quando si parla di disforia di genere in età evolutiva. Ci si domanda pertanto come sia più opportuno procedere nel trattamento dei bambini e degli adolescenti gender non conforming. Il dibattito attualmente tiene in considerazione anche alcuni studi olandesi, i quali riportano un dato significativo, ovvero che il 60-70% dei bambini con disforia di genere è “desister”, ovvero non diventa un adulto T*, mentre solo il 20.30% è “persister”, cioè diventa un adulto T*. E’ necessario che si consideri, tuttavia, che la disforia di genere in età evolutiva possa rappresentare anche il “sintomo” di qualcos’altro, e che quindi nella categoria dei “desisters” non vi siano solo bambini disforici, ma anche bambini che esprimono altri tipi di disagio attraverso questo “sintomo”. Questo ci spinge a pensare che non si possa avere contezza di “quanti bambini gender variant vi siano”. 
Gli approcci di intervento nei confronti dei bambini gender non conforming sono storicamente tre: 1)      TRATTAMENTO CORRETTIVO: è l’approccio clinico che implementa strategie che mirano ad allineare l’identità di genere con il sesso biologico. La transizione è dunque ostacolata; 2)      TRATTAMENTO AFFERMATIVO: si sostiene il bambino e lo si incoraggia nell’esplorazione attiva dell’identità di genere. Si discute anche con i genitori circa l’opportunità di una transizione di genere in alcuni bambini; 3)      TRATTAMENTO DI SUPPORTO: si fonda sull’ “aspettare e vedere”, permettendo che l’identità di genere emerga liberamente. Non convalida e non invalida l’identità di genere espressa del paziente ma si limita a lavorare con le conseguenze negative che si possono sperimentare. 
Attualmente il trattamento di supporto, introdotto dal VU University Medical Center di Amsterdam, è quello maggiormente utilizzato dagli specialisti: l’obiettivo è quello di osservare e comprendere man mano ciò che accade e come l’individuo in età evolutiva percepisca la propria identità, tenendo costantemente presente che la persona, anche se stiamo parlando di un minore, deve sempre essere sostenuta nel proprio processo di autodeterminazione.

 

 

 

 
 

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