A
cura di Camilla Esposito
La
famiglia moderna si presenta declinata attraverso una pluralità di
configurazioni, che differiscono tra loro per struttura, orientamento sessuale
dei genitori, appartenenza etnica dei suoi componenti. Essa è lontana dalle
sembianze del modello tradizionale che la vuole composta da un uomo, una donna
e i loro figli biologici e fondata sul vincolo matrimoniale.
Rintracciare
sempre più spesso nella realtà attuale e quotidiana nuclei familiari con
svariate configurazioni, non deve dare l’idea di una dissoluzione della
famiglia cosiddetta tradizionale, ma di una sua trasformazione o, meglio, delle
sue trasformazioni.
Già
alcune configurazioni familiari ci mettono di fronte ad una genitorialità che
chiameremmo sociale, in opposizione a quella strettamente biologica, quali i
casi di famiglie affidatarie o adottive, ricomposte o omogenitoriali. Tali
esperienze forniscono la testimonianza di una genitorialità che supera gli
stereotipi di genere, che esplora l’insieme delle funzioni genitoriali e che è in
grado di muoversi all’interno di esse. Le funzioni genitoriali, infatti, non
possono essere pensate come invariabilmente e fissamente distinte tra funzioni
materne e funzioni paterne. Una genitorialità sociale negozia propri compiti e
funzioni con l’altro partner.
Se
è ancora spinosa e discussa la possibilità, per una coppia omosessuale, di
crescere dei figli, le questioni intorno alla genitorialità di persone trans
non sono neppure ancora entrate nel dibattito pubblico.
Per
transgenitorialità si intende quella condizione familiare e genitoriale che ha
origine nel momento in cui un genitore intraprende un percorso di transizione.
Meno diffusi sono i casi in cui si diventa genitori dopo aver effettuato un
percorso di transizione e aver ottenuto anche la rettifica dei dati anagrafici.
Nonostante
gli studi ci dicano che il tessuto sociale è in grado di ospitare realtà
familiari plurime ed eterogenee, e, in effetti, per molte famiglie ciò avviene
già, le coppie omosessuali e quelle composte da un genitore che ha effettuato
un percorso di transizione sono oggi oggetto di palese discriminazione sul
versante del diritto alla genitorialità.
Se, ad esempio, sul fronte dell’adozione
nazionale e internazionale, è vero che, in linea teorica, la richiesta
inoltrata da un genitore che abbia concluso la rettifica anagrafica non
ostacola l’adozione, la richiesta avanzata da una coppia regolarmente
coniugata, in cui uno dei componenti abbia compiuto un percorso di transizione,
viene normalmente rigettata. Il rifiuto viene giustificato adducendo l’assenza
dei criteri che soddisfano la legge 4 maggio 1983, n. 184 (legge che disciplina
l’adozione e l’affidamento dei minori) e le successive modifiche apportate
dalla legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184,
recante “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, nonché al
titolo VIII del libro primo del codice civile), in virtù delle quali il minore
ha diritto a crescere all’interno di un contesto familiare che possa
accompagnarne i percorsi di sviluppo, assolvere i corrispondenti compiti
educativi e assumere precisi doveri genitoriali.
Cosa
accade, invece, quando un genitore in una relazione eterosessuale intraprende
un percorso di transizione?
L’art.
4 della legge 164/82 prevede che, una volta ratificata l’istanza di
rettificazione di sesso presso il tribunale di competenza, marito e moglie
perdono ogni diritto di scelta riguardo la possibilità di conservare o meno il
vincolo coniugale.
Contestualmente, il giudice che pronuncia la sentenza di
divorzio ha la facoltà di esprimersi in merito all’opportunità che la persona
transessuale eserciti la potestà genitoriale sul figlio, finendo spesso con il
pronunciarsi in base a due criteri impliciti: a) il minore non è in grado di
capire, di comprendere e di seguire il cambiamento del genitore; b) il genitore
transessuale non è capace di assolvere il proprio ruolo materno o paterno
(Maltese, 2002). Presupposti, questi ultimi, che prestano il fianco a false
credenze sugli effetti che le trasformazioni dell’aspetto anatomico e del
genere biologicamente assegnato possano investire sulla capacità di esercitare
le proprie funzioni genitoriali.
Questo
ci riconduce ad un’altra questione: la letteratura scientifica sul tema sembra
porre interesse quasi unidirezionalmente agli effetti che la transizione del
genitore può avere sui figli e sulla loro identità, senza mai porre
l’attenzione sui vissuti del genitore trans. D’altra parte, in Italia, per
esempio, non esistono studi centrati sul ruolo genitoriale, inteso come
repertorio di funzioni e competenze suscettibile di assumere una specifica
connotazione indipendentemente dal genere e dal sesso di appartenenza.
Il
percorso di transizione – alla stregua di altri eventi che possono incidere
sulla struttura e sulle dinamiche del nucleo familiare – costituisce un
processo che cambia le forme delle interazioni familiari, senza necessariamente
sopprimerle.
L’esito di tale processo appare strettamente connesso alla
funzionalità o alla disfunzionalità dei modelli interattivi preesistenti e
successivi alla scelta di intraprendere la transizione stessa.
I
pochi studi che hanno indagato la natura delle interazioni familiari sembrano
dirci che quanto più le relazioni tra genitori e tra genitore e figli sono
stabili nel periodo precedente la transizione, tanto più permangono tali a
lungo termine anche in seguito alla esperienza di transizione del genitore.
Secondo la letteratura scientifica, è fondamentale la disponibilità del
genitore che intraprende un percorso di transizione ad impegnarsi
nell’accompagnare i figli verso una maggiore comprensione di quanto sta
accadendo, conservando la funzione di genitore e garantendo stabilmente la
propria presenza fisica ed affettiva.
Anche
il linguaggio è al centro di alcuni studi. Del resto, se è vero che il
linguaggio genera la realtà, l’impatto emotivo sul figlio rispetto alla
transizione del genitore appare più contenuto, nonché più positivo in quei
bambini che riescono a variare appellativi con i quali si riferiscono al
genitore in questione (White, Ettner, 2007).
Insieme al linguaggio, infatti,
tenderebbero a modificarsi anche i mondi simbolici retrostanti la figura del
padre o della madre, permettendo una maggiore comprensione del percorso del
genitore (Hines, 2006).