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Recensione: La Terra di Dio

Sfondo a quadri con pop corn, immagine del film "La terra di Dio" , ciack e videocamera


A cura di Armando Brianese.

Sullo sfondo, lo Yorkhshire ed innumerevoli stereotipi di genere. Un discorso che abbraccia l’accettazione, di sé stessi e degli altri, ed il modello “da nemici ad amanti”. God’s Own Country, questo il titolo originario, è uno dei due capisaldi del lavoro di Lee, unitamente ad Ammonite, che tratta sempre temi queer.
I protagonisti di questa trama “coinvolgente” sono Johnny (Josh O’ Connor) e Gheorghe (Alec Secareanuo). Il primo si è trovato costretto a lasciare il suo lavoro in città per ritornare nella cornice madre della fattoria di famiglia in luogo dell’instancabile padre, fermato soltanto da un infarto. È un uomo schivo e non troppo socievole, chiuso nelle proprie convinzioni, che lasciano poco o nulla alle opinioni altrui. Lo scenario, però, è destinato a subire un cambiamento radicale con l’assunzione di Gheorghe: immigrato romeno, avvezzo a non essere accettato ed a ondate di pregiudizi che lo investono prima che possa adottare qualsiasi strategia o contromisura. Nei luoghi meno frequentati della succitata provincia inglese, dove soltanto qualche piccolo villaggio compare tra le distese verdeggianti e lontano dalle metropoli e dai principali centri abitati, lo “straniero” - ovvero chi arriva da fuori - è guardato inconsciamente con sospetto, quasi come una reazione d’istinto.
In questo contesto, che si arricchisce di nuove conflittualità, la xenofobia, purtroppo, può materializzarsi da un momento all’altro, e Lee non dimentica di evidenziare tale aspetto. Inizialmente, Johnny è piuttosto agli antipodi rispetto a Gheorghe e tra i due sembra non nascere il giusto feeling, poi impara ad apprezzarlo abolendo i nomignoli dispregiativi ed i trattamenti avventati e bruschi che gli riservava. Ma c’è ancora un ostacolo da superare: il legame che si crea tra i due rischia di essere messo in secondo piano dai meccanismi di protezione di Johnny, per troppo tempo rimasto solo, “inaridito” sentimentalmente e sotto il peso dell’estenuante lavoro. Per tali ragioni, questa pellicola è un must per milioni di appassionati in tutto il mondo. Meno conosciuto dei grandi classici, da “Brokeback Mountain” a “Chiamami col tuo nome”, rappresenta una lenta e meravigliosa decostruzione di come un semplice sentimento possa innescare un processo di radicale cambiamento nelle persone, avvicinandole fino a che in esse si faccia spazio il più nobile dei sentimenti, tale da non contemplarli più separati l’uno dall’altro.
Johnny cavalca l’onda delle cattive consuetudini e, nonostante l’altro lo accetti per ciò che è, risulta complesso per lui mettere definitivamente da parte l’alcool ed il sesso occasionale. Sono necessarie, infatti, settimane prima che il giovane capisca che deve cambiare registro e che - se vuole conseguire un miglioramento delle proprie condizioni sentimentali e di vita - è richiesto uno sforzo ulteriore anche da parte sua. È difficile, ma necessario.
Al culmine di un tragitto emotivo nella propria sfera introspettiva, Johnny impara dunque a comunicare, riconoscere i propri errori e decide di cambiare.
In definitiva, “La Terra di Dio” non alimenta lo star system americano, nemmeno di quelli che del cinema LGBTQA+ ne sono il simulacro. Respinge qualsiasi tentativo di trovare una denuncia sociale o un messaggio trasversalmente ricettivo. L’azione posta in essere dal regista è quella di tenere traccia di un sentimento denominato amore, quando coinvolge due persone che probabilmente da tempo hanno dimenticato cos’è e, pertanto, di convogliarlo come grande elemento di appeal per i più giovani facendone conoscere la natura di purezza e trasversalità.
La circostanza che si tratti di due uomini, è solo indicativa del fatto che la realtà e la natura siano molto più varie di quanto non si creda, ma ciò è solo uno dei canovacci del film, seppur quello prevalente. E di questo aspetto possono giovarne non solo i fruitori mediali, bensì le giovani generazioni e l’intera collettività.
Il suo è un messaggio per le menti illuminate e desiderose di verità e giustizia affermando che: una parte dell’amare significa migliorare sé stessi, il proprio partner e il rapporto interpersonale instaurato, rendersi conto di chi si è, assumersi le proprie responsabilità e trovare dei punti d’incontro con le proprie ambizioni ed aspettative al fine d’intraprendere un percorso di crescita vincente.

 

 

 

 
 

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