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La storia della Pedagogia di Genere: Ancora convinti che esista la Teoria Gender?

Un altro anno scolastico si è concluso per gli studenti delle scuole dell'infanzia e primarie. È stato l'anno della fantomatica "teoria gender" sulla quale si è già detto molto quest'anno: si è detto cos'è, ovvero un fantasma, un qualcosa che non esiste, uno spauracchio inventato da movimenti conservatori e tradizionalisti al fine di ostacolare il progresso di educazione affettiva e civilizzazione di quelli che saranno i futuri cittadini del mondo, ovvero i bambini. E nonostante le risposte della comunità scientifica in merito, questo fantasma sembra proprio non essere sconfitto, tant'è vero che già circola sui social una nuova "petizione" dal titolo #CharmingPrinceForElsa (un principe azzurro per Elsa) che esorta la Disney a creare nel sequel del famoso cartoon una storia in cui Elsa possa finalmente coronare il suo sogno e quello di tutte le bambine, ovvero quello di trovare un bel principe azzurro da sposare. Infatti il personaggio di Elsa ha fatto molto scalpore poiché ella non ha un principe al suo fianco e subito si è pensato che possa essere lesbica, cosa inaccettabile!!!Quello che sicuramente non è la teoria gender è la Pedagogia di Genere ovvero la riflessione sulla differente educazione che gli insegnanti mettono in atto, in maniera più o meno consapevole, rispetto ai bambini e alle bambine (Leonelli, 2011). La Pedagogia di Genere ha già una sua storia il cui inizio è simbolicamente scandito dalla pubblicazione nel 1973 del volume di Elena Gianini Belotti Dalla parte delle bambine, un indagine sugli stereotipi e le discriminazioni di genere insite nelle pratiche educative di bambini e bambine in contesti scolastici e familiari (Gianini Belotti, 1973). Si inaugura così la prima fase degli Studi di Genere, la fase dell'uguaglianza tra i sessi. Sono gli anni Settanta e il dibattito sulla differenza tra sesso e genere inizia ad infiammarsi anche in Italia, complici i movimenti femministi, la legge sul divorzio, l'avvento della contraccezione chimica, l'apertura dei primi asili nido, espressione del desiderio delle donne di lavorare oltre che di essere mamme, ci si inizia ad interrogare sull'assenza delle donne nei contesti del "sapere ufficiale". L'obiettivo di questa fase è la rivendicazione della parità di diritti, accesso, ed esperienze tra uomini e donne, soprattutto per quanto riguarda l'istruzione. Le bambine di tutti i ceti proseguono il loro ingresso nelle scuole e all'inizio degli anni Ottanta in Italia si riesce ad arrivare alla parità degli iscritti anche nelle scuole superiori grazie anche all'accesso a percorsi scolastici e formativi, fino a quel momento ritenuti esclusivi per gli uomini, aprendo così anche alle donne la possibilità di intraprendere svariate carriere e di entrare in taluni ambiti sociali dai quali fino a quel momento erano escluse. L'enfasi posta sul concetto di uguaglianza tra i sessi non è priva di criticità: a fine anni Ottanta molte studiose hanno l'impressione che dietro questa pretesta estrema di uguaglianza non si nasconda un'omologazione del femminile al maschile.  Questo è l'interrogativo da cui nasce la seconda fase di ricerche della, la fase della differenza, che anima il decennio 1990-2000. Emancipazione per le donne non significa quindi semplicemente liberarsi dalla supremazia maschile, ma di affermare la loro specificità facendola vivere nei tanto bramati contesti del "sapere ufficiale".  È la fase dell'attenzione a come le donne guardano il mondo e i contesti in cui sono calate, di reazione a una conoscenza tutta al maschile: nelle scuole si incoraggiano le insegnanti a porsi come autorità per le giovani generazioni e le bambine a intraprendere percorsi educativi in cui vengano esaltate le loro potenzialità fino a divenire "soggetti creanti del sapere". Tuttavia anche l'eccessiva valorizzazione del femminile ha i suoi pro e contro: se da un lato gli studi sulla differenza del femminile evidenziano il valore aggiunto che le donne rappresentano per la società, dall'altro è come se si volesse inviare l'implicito messaggio per cui le donne sono meglio degli uomini ricadendo così proprio nelle discriminazioni sessuali e di genere per le quali tanto si è combattuto e si continua a combattere. Se ci si interroga infatti su quale aspetto specifico renderebbe le donne diverse e migliori degli uomini, si rischia di riportare le differenze di genere sul piano delle differenze biologiche, poiché specifica del femminile è la capacità di procreare. Un fenomeno non previsto neanche dalle più appassionate femministe è il backlash, che letteralmente significa contrattacco. È la tendenza che sembra aver investito le donne negli ultimi decenni, un movimento che renderebbe peggiore la vita delle donne attraverso l'imposizione di ruoli determinati dalla cultura, dai mass media, dalla religione e... dagli uomini. È come se fosse in atto una tendenza regressiva delle donne rispetto alle conquiste dei femminismi degli anni Settanta, una tendenza che prevede la riduzione della donna a oggetto, sessuale o materno, come spesso viene presentato dai mass media. L'ultima fase di studi della Pedagogia di Genere, che inizia nel 2000 e continua fino ad oggi, ha come parola chiave complessità: è una fase di superamento del pensiero della differenza edi "complessificazione" della categoria di genere. L'intento è quello di superare la dicotomia maschile-femminile e prendere in considerazione altre questioni come quelle che riguardano le cosiddette minoranze di genere  tra cui omosessuali, transex, transgender, donne migranti, disabili, ecc.. Alla luce di questo excursus, si rende ancora una volta necessario intervenire nei contesti scolastici ed educativi al fine di prevenire e contrastare ogni forma di discriminazione e pregiudizio a partire dalla decostruzione degli stereotipi di genere. Per far ciò, è necessario che gli educatori siano sempre informati sui cambiamenti in corso e formati sugli Studi di Genere in modo tale da poter proporre e realizzare progetti di Educazione e Pedagogia di Genere costruiti ad hoc, che promuovano la partecipazione attiva di bambini e giovani stimolandone un sapere critico e favorendo il loro sviluppo nel pieno rispetto di ogni individualità e differenza. I percorsi di educazione di genere all'interno dei primi due primi due gradi di scuola, primaria e secondaria, prevedono generalmente due fasi: nella prima c'è una proposta, uno stimolo che può essere una favola, un disegno o una fotografia, presentati con lo scopo di far emergere le rappresentazioni stereotipate di uomini e donne insite in bambini e bambine; nella seconda fase si organizzano attività che consentono ai bambini di esplorare situazioni diverse rispetto a quelle apprese quotidianamente, laboratori che hanno come obiettivo quello di guardare oltre i modelli tradizionalmente conosciuti dei ruoli di genere (Leonelli,  2011). Dunque, a quanto pare, nulla di tutto quello a cui femministe e non solo hanno dato vita in questi decenni ha a che fare con quella che viene definita teoria gender (che, ricordiamo, non esiste!).  
Dopo questa panoramica, c'è ancora qualcuno che creda esista la teoria gender? Chiediamolo ad Elsa ...
Bibliografia
Leonelli S., (2011). La Pedagogia di genere in Italia: dall'uguaglianza alla complessificazione.
Università di Bologna
Gianini Belotti E., (1973). Dalla parte delle bambine. Feltrinelli, Milano

 

 

 

 
 

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