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I Social Web, spazio controverso che costruisce e distrugge: il caso di Silvia Romano

Tessere con la scritta hate speech


A cura di Giovanna Celardo  

Silvia Romano è una giovane donna moderna, che rompe gli schemi della nostra società e all’età di 23 anni sceglie di partire come volontaria per conto dell’Onlus Africa Milele, un’associazione che si occupa del sostegno all’infanzia. Silvia si è laureata a Milano in una scuola per mediatori linguistici con una tesi sulla tratta degli esseri umani. Ha sempre avuto una spiccata sensibilità verso la vita e tutte le opportunità che questa offre, mettendo a disposizione il proprio talento e la propria gioia di vivere per le esigenze dei più deboli, in modo particolare dei bambini e dei ragazzi in Kenya.       
Durante la sua esperienza di volontariato è stata rapita a scopo estorsivo, mentre era nel suo appartamento il 20 novembre 2018 da un gruppo di uomini armati. È stata picchiata, schiaffeggiata e tenuta prigioniera per 18 mesi, durante i quali ha subito vari spostamenti. E’ stata trasferita in Somalia e tenuta prigioniera dal gruppo jihadista Al-Shabaab, considerato vicino ad al-Qaeda.
Silvia Romano il 10 maggio è stata liberata nelle vicinanze di Mogadiscio, la capitale della Somalia. Al suo ritorno in Italia, il popolo del web è impazzito letteralmente, sono stati condivisi numerosi post, che la ritraggono sorridente, mentre va incontro alla sua famiglia e ai ministri che erano presenti. Iniziano a trapelare numerose informazioni, che la espongono al mondo mediatico: gli inquirenti dicono che Silvia, ora ha un altro nome Aisha ed è diventata islamica. Ha confidato alle persone che l’hanno riaccompagnata in Italia, di essersi convertita di sua spontanea volontà, di non aver subito violenze, ha letto il Corano e ha scritto dei diari, che poco prima della sua liberazione le sono stati sequestrati. Come ha potuto convertirsi, abbracciare un’altra religione, quella del popolo che l’ha rapita e sottomessa? Giudica inferocito il web, quando vengono pubblicate le foto. Indossa il jilbab, un vestito lungo, tipico della tradizione islamica. Una donna occidentale che abbraccia la cultura del paese che l’ha tenuta prigioniera.
È una cosa blasfema, insorge il web. Sindrome di Stoccolma? Qualcuno prova a difenderla e ad azzardare qualche teoria, per spiegare il suo comportamento, che gli Italiani non riescono a comprendere. Dev’essere necessariamente traumatizzata, ribadisce il web. È incinta? Nelle foto è ritratta mentre si tocca la pancia. L’avranno violentata, oppure si è sposata con uno dei suoi aguzzini, commenta il web. L’Italia è un paese in cui è evidente che, talvolta, le vere prigioni sono quelle mentali, fatte di stereotipi e pregiudizi, che rischiano di diventare etichette che si attaccano alla pelle. Silvia ne è la vittima, in quanto donna, in quanto islamica. Giudice di questa condanna è stato il web, che si è diviso tra chi difendeva il suo diritto all’autodeterminazione e alla libertà di vestirsi come preferiva, di professare la religione islamica, di cambiare il suo nome e la voce degli haters, più aggressiva e più spietata, che ha commentato in modo feroce la sua scelta.
Quest’odio ha subito un’evoluzione crescente, culminato poi anche in un episodio violento, di chi ha scagliato bottiglie di vetro contro la sua finestra. Silvia fa rabbia all’Italia, perché le donne devono apparire deboli e bisognose di cure, non sorridenti e felici di essere a casa. Silvia rientra in Italia da donna libera e questo fa esplodere la rabbia degli utenti del web, che si aspettavano di incontrare una donna provata dalla prigionia, che magari avrebbe fomentato l’odio contro i suoi persecutori, mentre lei addirittura ne abbraccia la cultura. Alle polemiche risponde il premier Conte, che definisce il suo rientro in Italia “un bel giorno in un momento di grande difficoltà”. Dopo la quarantena ci aspettavamo un popolo più solidale ed empatico alle esigenze di una giovane donna, invece sembra che il web amplifichi la violenza e l’aggressività. Questo fenomeno è definito hate speech – “incitamento all’odio”, che avviene attraverso i Social, come Facebook e Twitter. L’hate speech è espressione di odio e intolleranza verso una persona o un gruppo e può sfociare in reazioni violente. Queste intolleranze possono essere generate da ogni sorta di discriminazione: razziale, etnica, religiosa e di genere. Silvia dallo sguardo fiero, emblema di una donna che ha lottato strenuamente per quello in cui crede, è soltanto una delle tante vittime di questo fenomeno.

 

 

 

 
 

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