A cura di Andrea Pennasilico
Get Out è un film del 2017, opera prima del regista Jordan
Peele. La pellicola è un’opera unica nel suo genere, classificandosi come
horror, ma predominante nell’aspetto thriller e soprattutto impregnata della satira
sociale che un tempo caratterizzava molto i film di questo genere.
Vedere un’opera prima, a basso budget, piena di provocazioni
sociali e figlia del genere horror ormai morente ottenere non solo un successo
al box office ma anche alla critica è un’immensa soddisfazione: il film ha
incassato più di 250 milioni di dollari ed è dato a 99% su Rotten Tomatoes e a
84/100 su Metacritic, è stato candidato a due Golden Globe e a cinque Oscar, di
cui ne ha vinto uno per migliore sceneggiatura originale.
Get Out inizia come una tranquilla storia di una coppietta
interraziale che decide di andare a trovare la famiglia della ragazza e si
prepara a dover affrontare l’ancora oggi scomodo primo incontro tra la famiglia
bianca di lei e il fidanzato nero. La pellicola è piena di piccoli accenni e
minuscoli easter egg che anticipano in modo molto sottile gli avvenimenti del
film, il regista ha scritto e diretto con una minuziosa attenzione nei
particolari che rende estremamente godibile una seconda visione del film, non tanto
per l’anticipazione di un vero e proprio finale a sorpresa, come per esempio
nel caso de “Il Sesto Senso”, ma per poter apprezzare le piccole scelte fatte
dai personaggi secondari in favore del loro scopo che verrà svelato alla fine
del secondo atto del film.
Lo sguardo dello spettatore penetra lo schermo e si incanala
negli occhi del protagonista, che si ritrova in una situazione scomoda con
un’atmosfera estremamente inquietante che sale in un crescendo dal dover fare i
conti con piccoli atti di razzismo cosparsi nelle conversazioni al dover
fuggire per salvarsi la vita.
La regia ci permette di vivere in modo
estremamente vicino le sensazioni e le esperienze di Chris, sentire la sua
paura, provare le sue ansie, percepire il suo sconforto, senza dover ricorrere
a mezzi di mediazione come una voce narrante. In particolare è sorprendente
come, pur non essendo afroamericano e quindi soggetto a quel genere di razzismo
nella sua vita quotidiana, lo spettatore può lo stesso immedesimarsi
completamente nei panni del protagonista per un’oretta, il che non solo ci permette
di immergerci maggiormente nella storia, ma può aiutarci a riflettere sul
genere di difficoltà che le persone appartenenti a minoranze etniche subiscono
giorno dopo giorno nei contesti sociali, specialmente grazie agli estremi che
vengono raggiunti verso la fine del film.
Sebbene Get Out sia una chiara allegoria della
marginalizzazione delle persone nere in America, la satira sociale non è
l’unico livello a cui può essere apprezzato il film: infatti anche volendo
analizzare la sola superficie esterna della pellicola ci troviamo di fronte ad
un film estremamente coinvolgente, tremendamente affascinante, profondamente
terrificante e ottimamente scritto e diretto, che abbandona i jumpscare per favorire
l’inquietudine al sussulto, denuncia il razzismo casuale delle persone bianche
di ceto medio-alto e tiene lo spettatore incollato allo schermo per tutta la
sua durata.
La vittoria agli Oscar 2018 rappresenta un evento molto
importante per questo film, dimostrando che un protagonista fuori dagli
stereotipi, una storia interessante, una produzione indipendente e un film di
denuncia sociale possono avere successo anche senza gli elementi intrisi di
cliché che vediamo nei film horror più classici e che questo film ha un impatto
talmente forte che può arrivare a vincere un premio ambito come gli Oscar
nonostante il fatto che sia uscito praticamente un anno prima, al contrario di
quasi tutti i film a caccia di nomination che escono pochi mesi prima della cerimonia.