A cura
di Maria Cristina Maglia
Il Razzismo si fonda su un’ipotesi scientificamente errata, come dimostrato
dalla genetica delle popolazioni, che la specie umana possa essere divisa in
“razze” differenti dal punto di vista biologico, alimentando la convinzione
preconcetta per cui esisterebbe una gerarchia “naturale”, sulla cui base una
“razza” sarebbe superiore o inferiore ad un’altra per caratteristiche fisiche,
intellettuali, etiche e morali. Esso ha origini nel XIX secolo, momento storico
in cui la Gran Bretagna, con la sua ricchezza, attuò un piano di civilizzazione
delle proprie colonie (india, Nuova Zelanda, Sud Africa) utilizzando lo sport
come strumento principale, in particolare il cricket ed il rugby. Nel 1936,
Hitler fece lo stesso durante le Olimpiadi di Berlino, al fine di diffondere la
supremazia della “razza” ariana. In quella data,però, a vincere ben quattro
medaglie d’oro fu Jesse Owens, un velocista di colore, statunitense.
In generale, lo sport, che in origine designava un’attività di tipo ricreativo,
attualmente include qualsiasi attività ludica di tipo agonistico, individuale o
di squadra.
Ancora oggi, si assiste a numerosi episodi di avversione razziale in ambito
sportivo, che fanno sì che lo sport non sia più considerato come una palestra
di vita promotrice di valori come la lealtà, la condivisione, il rispetto e la
sana competizione, facendo purtroppo
prevalere un atteggiamento discriminatorio.
In particolare, il razzismo nel calcio italiano si manifesta in diverse forme,
vi sono aggressioni di tipo fisico, ma anche di tipo verbale, come gli
striscioni contro i giocatori di colore della squadra avversaria, fatti
soprattutto dalle curve della tifoseria Ultras, o i cori. Più raramente le avversioni
riguardano i giocatori di colore della propria squadra.
Una componente molto frequente delle conversazioni sportive sui social media
sono i messaggi d’odio. Essi rientrano nel fenomeno generale dell’ “Hate Speech”,
e lo sport che attira più commenti di questo tipo è proprio il calcio. Recentemente
è stata svolta una ricerca dal Centro Coder dell’Università di Torino, proprio
in relaziona alla prevenzione e del contrasto all’Hate speech, la quale ha
mostrato che sui social la maggior parte degli episodi di hate speech
riguardano il calcio. Su Facebook i post che contengono notizie sul calcio,
raccolgono il 12,3 % dei commenti di odio. Mario Baloteli e Romelu Lukaku
sarebbero gli sportivi maggiormente colpiti dai commenti di Hate speech (16,7%
solo su Facebook), a cui sono rivolti commenti contenenti insulti e
discriminazioni razziali. Per quando riguarda le squadre di calcio, l’Inter
sarebbe la più colpita dai commenti contenenti linguaggio d’odio su Facebook,
mentre su Twitter è il Napoli ad averne di più.
In generale, molti degli episodi di razzismo, anche in ambito sportivo, sono
legati alle posizioni ed ai movimenti di estrema destra, fascisti e
neofascisti, i quali caratterizzano alcuni gruppi ultrà, che sono stati
protagonisti dei più gravi episodi di razzismo.
Alcuni studi sociologici degli anni ’90 hanno interpretato tali episodi come
forme di “rituali” della partita.
In Italia,il sociologo Alessandro Dal Lago (1990) ha sostenuto l’ipotesi di
tali avversioni come vere e proprie forme di rituali del calcio. Da questo
punto di vista, il calcio comporterebbe proprio la suggestione della violenza
come possibilità rituale. Nel nostro contesto, per tutti gli appassionati ed i seguaci, il calcio
porta alla creazione di una sottocultura con simboli e linguaggi specifici, che
promuove ed orienta verso comportamenti specifici. La violenza sociale potrebbe
essere uno di questi: il calcio, in quanto sport ed in generale come fenomeno
sociale di massa, implica la possibilità rituale di violenza, una violenza sia
pratica sia simbolica. In quest’ottica, gli insulti razzisti rappresentano una
delle armi con cui le tifoserie estreme sosterrebbero, anche attraverso
l’azione diretta, la partita, talvolta concepita come una vera e propria
“battaglia” nei campi degli stadio.
Dunque, il calcio rappresenta un campo di investimenti simbolici, come
sostenuto da Dal Lago, sia per i dirigenti, che per i giocatori, ma anche per
gli spettatori. Su di esso vengono investite aspirazioni,passioni, emozioni e
desideri.
Per la tifoseria, la partita, intesa come occasione di confronto rituale, può a
seconda delle circostanze trasformarsi o meno in momento di intenso scontro. I
fattori che incidono su tale possibilità sono di tipo storico (ossia le
relazioni tradizionali di alleanza o ostilità presenti tra le squadre e le
tifoserie) e di tipo situazionale (qual è il comportamento dei gruppi rispetto
a ciò che sta accadendo nel campo).
calcio è un gioco ed uno spettacolo sociale, che può divenire anche simbolo di
dinamiche sociali e politiche: ad esempio, la squadra del Napoli per i suoi
tifosi costituisce un simbolo e rappresenta l’immagine nazionale della sua
città, costituendo un mezzo per realizzare la possibilità di rivalsa del Sud
sul Nord.
Il 27 Dicembre 2018, durante la partita Inter-Napoli, Koulibaly difensore della
squadra partenopea, è stato vittima di cori razzisti da parte degli interisti.
Durante tale partita, lo scontro tra tifoserie ha anche portato alla morte di uno
degli ultrà interisti. Koulibaly è poi stato espulso nel corso del gioco. Un
altro episodio simile è accaduto a Mario Balotelli nel 2013, durante la partita
Milan-Roma, in cui i tifosi romani lo presero di mira, insultandolo con il
verso della scimmia.
Dunque gli stadi possono diventare luoghi di aggressione e di manifestazione di
posizioni ed avversioni a sfondo xenofobo-razzista. Ciò accade per differenti
motivi, legati alla composizione socio-culturale delle curve italiane,
caratterizzate prevalentemente da soggetti popolari con scarsa istruzione, i
quali fanno parte di quella fascia della popolazione più incline a sviluppare
forme di razzismo e di discriminazione in generale. Inoltre, da un punto di
vista psicologico, per la tifoseria la partita è un momento che implica una
disinibizione delle emozioni e dei comportamenti collettivi. In “Psicologia
delle masse e analisi dell’Io” (1921) Freud
descrive le caratteristiche delle masse, le quali costituiscono un
particolare tipo di connessione sociale, il cui funzionamento elude il pensiero
individuale per disperdersi nelle idee dominanti del gruppo, inteso come unico
corpo senza limiti e senza confini. In quest’ottica le masse sono dominate dal
non pensiero, conferendo a ciascun membro una sorta di anonimato che offre, per
questo motivo, una sorta di sollievo dalla responsabilità individuale. Per
Freud nella massa i singoli vivono sentimenti di potenza illimitata, è il
ritorno ad uno stato mentale primitivo caratterizzato dall’assenza di regole e
di limiti, in cui tutto diventa possibile. La condivisione, il sentirsi
tutt’uno con gli altri, in questo caso con la tifoseria, spinge ad una sorta di
intolleranza per le differenze, per ciò che non è coerente con lo scopo
dominante in quest’ultima. Nel caso del calcio, il pensiero implicito si
potrebbe tradurre così: chi non tifa la squadra della mia tifoseria è un
nemico, ancor di più se hai un elemento di differenza come il colore della pelle,
hai qualcosa da attaccare necessariamente.
Per concludere, il difensore del Bayern, Jerome Boateng, in relazione alla
morte di George Floyd avvenuta recentemente negli USA, ha dichiarato che
“Nessuno nasce razzista. Tutto comincia dall’educazione dei bambini”. Ciò ci
rimanda all’importanza dell’educazione, attraverso la scuola e lo sport, il
quale rappresenta un ambito che dovrebbe promuovere la condivisione e la
solidarietà, costituendo uno strumento volto a sensibilizzare al rispetto e alla
diversità come risorsa e non come limite.