A
cura di Claudia Cantice.
Giugno è il mese del Pride, dunque un periodo estremamente
importante per la storia della comunità LGBTQ+ e occasione per ripercorrere le
origini storiche da cui sono nati i moti di rivendicazione sessuale che hanno
dato avvio a manifestazioni, parate, eventi organizzati e soprattutto -secondo
una più alta accezione- hanno consentito di allentare le catene
dell’oppressione e delle discriminazioni per liberare l’orgoglio LGBTQ+, di cui
il mese del Pride è la rappresentazione più vivida.
La storia del Pride inizia nel 1969 con gli ormai divenuti
famosissimi Moti di Stonewall. Negli Stati Uniti degli anni ‘60 era presente
una forte repressione riguardo la libera espressione dell’identità sessuale ed,
infatti, accadeva molto spesso che la polizia americana facesse irruzione nei
locali frequentati da persone della comunità LGBTQ+ per poi procedere
all’arresto per “indecenza e oscenità”- senza che nessuno potesse opporre
resistenza. Fu una notte in particolare - quella tra il 27 e il 28 giugno 1969
- che le cose cambiarono e da lì non si tornò più indietro. Un gruppo di
poliziotti cercò di arrestare diverse persone presenti nel bar “Stonewall Inn”
di New York e, per la prima volta, ci fu chi osò ribellarsi a tale ingiustizia
dando vita a violenti scontri che proseguirono nei giorni successivi. Successivamente all’accaduto, fu
fondato il Gay Liberation Front (GLF) che ispirò la nascita di altre
associazioni di liberazione sessuale in diversi Paesi e, dall’anno
successivo, nel mese di giugno furono e sono tutt’ora organizzati pride in
tutto il mondo a favore dei diritti della comunità LGBTQ+. Nella notte dei Moti
di Stonewall tra gli scontri erano presenti due persone che sono rimaste nella
storia non solo americana, ma mondiale, come personalità indiscusse e pioniere dell’attivismo
LGBTQ+ degli anni ‘60 e ‘70: Marsha P. Johnson e Sylvia Rivera. In questo
articolo della newsletter di giugno vogliamo condividere con voi
approfondimenti delle loro vite di attiviste che hanno ispirato e continuano ad
ispirare intere generazioni, e nel cui ricordo riecheggia la fame di rivalsa
della comunità LGBTQ+.
Marsha P. Johnson era una donna transgender afroamericana
e attivista rivoluzionaria per i diritti LGBTQ+. Nata
il 24 agosto 1945 nel New Jersey e cresciuta in una famiglia afroamericana
della classe operaia, dopo il diploma si trasferisce a New York ed entra nel
mondo drag adottando il nome Marsha P. Johnson, dove la “P” stava per “Pay It
No Mind” (non badarci), tipica risposta che soleva usare con chi chiedeva
informazioni sulla sua identità sessuale. Non molto tempo dopo essersi
trasferita a New York incontra Sylvia Rivera, con la quale instaura un profondo
rapporto d’amicizia e condivide lotte e spirito di attivismo. Marsha, insieme a
Rivera, diventa un’icona di rivolta quando partecipa in prima linea ai Moti di
Stonewall e guida la scia di proteste creatasi in seguito. In un’intervista
realizzata per un libro nel 1972 afferma che la sua ambizione era «vedere le persone LGBTQ+ liberate e libere e
avere gli stessi diritti che le altre persone hanno in America». Nel 1990 riceve la diagnosi di HIV: di questo avvenimento e del
contrasto allo stigma verso la malattia ha parlato pubblicamente in
un’intervista del 26 giugno 1992. Muore all’età di 46 anni il 6 luglio 1992 ed
il suo corpo viene trovato nel fiume Hudson. La sua vita di fervida attivista
ha ispirato diversi film e documentari quali: “Pay It No Mind: Marsha P.
Johnson” del 2012; “The Death and Life of Marsha P. Johnson” e “Happy Birthday,
Marsha!” del 2017. Nel 2015 è stato fondato il “Marsha P. Johnson Institute”
che si occupa della tutela dei diritti delle comunità transgender.
In
prima linea insieme a Marsha c’è Sylvia
Rivera: nasce a New York, di origini portoricane e venezuelane. Abbandonata
dal padre e rimasta orfana di madre, cresce con la nonna che disapprova i suoi
atteggiamenti non conformi al genere maschile; così all’età di 11 anni si
allontana da lei iniziando a vivere in strada ed entrando in contatto con la
comunità drag della sua città, che sceglie il nome di Sylvia. In una delle
varie versioni diffuse sulla notte dei Moti di Stonewall, Rivera viene
ricordata per essere stata la prima ad aver lanciato una bottiglia contro i
poliziotti. Nel febbraio del 1970 fonda insieme a Marsha P. Johnson lo STAR
(Street Transvestite Action Revolutionaries), un gruppo dedicato a fornire
assistenza alle persone trans senzatetto - ma a causa di diversi problemi
l’idea fallisce. Nel 1999 viene invitata in Italia dal M.I.T (Movimento
Identità Trans) di Bologna e partecipa al World Pride del 2000 a Roma. Muore nel 2002 e nello stesso anno
viene fondato il “Sylvia Rivera Law Project” che fornisce servizi legali a
persone della comunità LGBTQ+.
Nel fare ricerche sulla vita di Sylvia Rivera per scrivere
questo articolo siamo venute a conoscenza di un’intervista che l’attivista ha
realizzato in occasione del World Pride di Roma, dove racconta quanto accaduto
la notte allo Stonewall Inn.
Pensiamo sia importante riportare qui alcune parti
significative del suo racconto (l’intervista integrale è presente sul canale
youtube dell’Istituto Italiano di Sessuologia di Roma). «La notte di Stonewall la polizia non era pronta a confrontarsi con le
azioni che noi, come individui, intraprendemmo. […] Ciò che accadde è che
semplicemente eravamo stanche e stufe ed io e altre compagne pensammo che era
il momento di fare qualcosa per liberarci. […] Entrarono e ci dissero di
separarci in tre diversi gruppi: persone gay da una parte, persone lesbiche da
un’altra, persone trans da un’altra ancora. Le donne lesbiche “mascoline”, che
a quei tempi venivano chiamate “drag-kings”, furono informate che dovevano
indossare almeno tre indumenti femminili, quella era la legge. Anche le persone
trans subivano la stessa legge ed erano trattate dalla polizia come la spazzatura
della comunità omosessuale […] Se li contrastavi, ti picchiavano o arrestavano.
Ma quella notte dimostrò che ne avevamo avuto abbastanza. Invece di scomparire,
iniziammo a tirare monetine alla polizia che stava davanti al bar e continuammo
ad insultarli. Non erano abituati alla nostra reazione. In un attimo la voce
circolò tra gli altri bar gay che si trovavano nel quartiere: molte persone
uscirono per aiutarci, la folla passò da 200 a più di 1000 persone e
cominciammo a lanciare bottiglie e rovesciare macchine. La rivolta così si
ingrossò. Fu un momento di liberazione;
la cosa più bella di quella sera fu vedere la rabbia sulle facce delle persone picchiate, avevamo il sangue
in faccia e sul corpo e non scappavamo perché non ci fregava niente di morire,
volevamo lottare per quello in cui credevamo».
Questa testimonianza è la prova del fatto che quando le parole
provengono dalle persone interessate risultano avere l’intensità cruda e
autentica di chi l’oppressione e la discriminazione l’ha vissuta
quotidianamente sulla propria pelle.
Grazie a persone come Marsha P. Johnson e Sylvia Rivera,
così come altri portavoce dei diritti delle persone LGBTQ+ di cui vi abbiamo
parlato in questi mesi nella nostra newsletter, si è resa possibile e concreta
la lotta per l’acquisizione dei diritti fondamentali della comunità e degli
spazi in cui urlare la propria libertà d’essere, di cui il Pride è la
manifestazione più famosa, significativa e gioiosamente colorata.
Fonti:
Marsha P. Johnson - Italia | Museo Nazionale di Storia
delle Donne (womenshistory.org)
Marsha P. Johnson - Stonewall, Citazioni &
Documentario (biography.com)
28 giugno 1969: quando
Sylvia Rivera cambiò la storia del movimento LGBT+ (blmagazine.it)
Sylvia Rivera - Wikipedia
Storia del Gay Pride:
il movimento LGBTQ+ in Italia - cataldi.com