A cura di Francesca Diletta Iavarone.
Vi sarà capitato di sentir parlare del Pride come se fosse un evento ormai inutile, grottesco per i suoi colori sgargianti, “carnevalesco” tra carri festosi in parata. Spesso ci si dimentica delle sue origini, tralasciando il valore che un evento mondiale di questa portata rappresenti, attribuendo ad esso la scelta di una forma senza sostanza che può rischiare addirittura di svilire la battaglia per i diritti LGBT+. Questo mese festeggiamo il Carnevale e ci sembra una buona occasione per riflettere sulle possibili connessioni che si riscontrano con il Pride, diventate ormai quasi luogo comune, che viene diffuso da esponenti politici, cittadini e talvolta dagli stessi membri della comunità LGBT+.
Ci sono diverse ipotesi sull’origine del Carnevale; quello che conosciamo oggi, di epoca cristiana, affonda le sue radici nel mondo greco attraverso le espressioni pagane dei riti dionisiaci, svolti in onore del dio Dioniso, incarnazione dello slancio primordiale ed istintuale che permane, vivo, in ciascun essere umano, anche civilizzato. La celebrazione avveniva in onore della vita, della prosperità e del buon raccolto; nel tempo, i rituali si sono trasformati, assumendo forme differenti, arrivando ad esprimersi, ad esempio, attraverso i Saturnali romani, di epoca imperiale. Il ciclo di festività avveniva in onore di Saturno, dio della rigenerazione, protettore delle campagne e dei raccolti, oltre che figura preposta alla custodia delle anime dei defunti. Questa celebrazione, inaugurata con grandi banchetti, era caratterizzata dal rovesciamento dell’ordine sociale, grazie al quale gli schiavi potevano considerarsi e comportarsi temporaneamente da uomini liberi, attuando una sorta di caricatura della classe nobile attraverso l’utilizzo di buffe maschere dai colori sgargianti. La rappresentazione aveva l’intento di promuovere la trasgressione dell’ordine vigente, ribaltando le regole, annullandole, per ristabilire un ordine alle porte del nuovo anno. Indossare una maschera o un abito permetteva di sperimentarsi in nuove identità sociali, proponendo un’alternativa rispetto alla norma imposta e mettendo in relazione un elemento performativo con una componente politica e identitaria.
Questi rituali sopravvissero fino al Medioevo, fin quando la Chiesa pose un forte limite modificandone anche le usanze, ad esempio attraverso il rogo di un fantoccio al culmine della festa, in rappresentanza dei mali dell’anno appena trascorso. Con l’avvento del Cristianesimo, a sparire è stata anche la maschera di Pulcinella, “pollicino”, che secondo alcune ipotesi trae origine dal personaggio di Maccus nelle Atellane romane, un genere di commedia popolare dai torni farseschi, e che è poi risorta nel ‘500 con la Commedia dell’Arte. Anche una maschera come la sua, oltre a far pensare in maniera più immediata al suo gesticolare, al saltellare, ad un’andatura goffa, a “Napoli, sole, pizza e mandolino”, tiene in sé un importante elemento simbolico che ha a che fare con una denuncia sociale; la maschera è la plebe stanca degli abusi e delle umiliazioni ricevute dalla classe alto-media borghese, un’identità che si ribella ai potenti e che si impone nell’affermare la sua esistenza. È la coesistenza di opposti, imbroglione e altruista, pigro e pronto ad ogni battaglia, mascolinità e femminilità, bene e male, opposti che si allontanano e poi si ritrovano sinergicamente. Vive in metamorfosi, entrando ed uscendo fuori di sé, espandendosi in infinite esistenze.
Da questa sintesi estrema, è interessante riportare alla luce il significato del Carnevale, quello della sovversione e della celebrazione della vita, un passaggio di rinnovamento simbolico al termine del quale un ordine viene rinnovato e vige fino alla celebrazione successiva.
Questo è per dire che se il Pride deve essere inteso come un Carnevale, non possiamo far altro che rievocare il valore che può condividerne, attraverso la resistenza identitaria e politica e l’affermazione della libertà espressiva, in ogni sua forma, piuttosto che osservarlo e configurarlo come corteo grottesco fine a sé. Scegliere di vestirsi, svestirsi, mascherarsi o meno al Pride è una forma che manifesta la necessità di rottura, essenziale per ristabilire equilibrio e abbattere le regole sociali imposte. È un inno alla vita, è la celebrazione del proprio orgoglio, un’affermazione combattiva di esistenza. Gioiosa sì, perché non si trascina solo il rancore di non essere creduti e visti, di essere umiliati, marginalizzati, perseguitati dal giudizio, ma urla ed esulta per il diritto di essere sé stessi in maniera autentica.
Il Pride diviene un vero e proprio rituale della comunità, che vuole sovvertire un sistema di imposizione precostituito e ristabilire l’equilibrio in ragione del diritto inalienabile di esistenza.
Attraverso il rituale, una comunità tramanda la memoria storica del suo vissuto, la conserva, la protegge e la ripropone per condividerne il significato e fare in modo che costituisca elemento di una responsabilità condivisa.