A cura di Daniela Rubinacci
Da
Maggio a Settembre molte sono le piazza del mondo che si colorano di
arcobaleno, molte le strade che raccolgono gli inni di rivendicazione dei
diritti LGBT+. A percorrerle non solo i membri delle comunità LGBT+, ma quanti
credono che una società civile debba garantire uguali diritti a ciascun essere
umano. Tante voci e tanti corpi gridano non solo
l’orgoglio, ma anche la necessità di un cambiamento sociale e legislativo che
riconosca il valore delle differenze e le tuteli. Il movimento LGBT+, infatti,
non riguarda solo diritti e libertà legislative, ma anche libertà sociali e
culturali che spesso non vanno alla pari con la legge.
Da
Bruxelles (18-20 maggio) passando per Shanghai (8-18 giugno) fino a Dallas
(15-16 settembre) migliaia di manifestanti si uniscono con un obiettivo che non
conosce differenze di lingua, cultura o etnia.
Rispetto
al contesto europeo, se è vero che le rivendicazioni dei diritti sono le medesime
in tutti i paesi europei, non si può dire lo stesso per la situazione
legislativa di ciascun paese.
Il
Parlamento europeo è intervenuto più volte chiedendo agli stati membri di
legiferare in materia antidiscriminatoria con risoluzioni che ribadivano la
necessità che venissero adottate legislazioni antidiscriminatorie in vari ambiti
dalle legislazioni nazionali.
«
Il Parlamento europeo [...] ribadisce il suo invito a tutti gli Stati membri a
proporre leggi che superino le discriminazioni subite da coppie dello stesso
sesso e chiede alla Commissione di presentare proposte per garantire che il
principio del riconoscimento reciproco sia applicato anche in questo settore al
fine di garantire la libertà di circolazione per tutte le persone nell'Unione
europea senza discriminazioni;» (Risoluzione del Parlamento europeo del 26
aprile 2007 sull'omofobia in Europa, art 8).
Il
26 settembre 2000 l’ Assemblea parlamentare ha approvato, con la maggioranza
del 77 per cento, una nuova raccomandazione (n. 1474) a tutti gli Stati membri affinché
sia introdotta una completa legislazione antidiscriminatoria che da una parte
riconosca la parità di diritti per le coppie omosessuali e dall’altra condanni
le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale.
Molti
Stati europei hanno adottato iniziative per allinearsi alle due direttive UE
del 2000: la direttiva sull'uguaglianza razziale (2000/43/CE), che vieta, nella
vita di tutti i giorni, la discriminazione fondata sulla razza o sull'origine
etnica, e la direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione
(2000/78/CE), che vieta la discriminazione, in materia di occupazione e
formazione, fondata sulla religione o le convinzioni personali, la disabilità,
l'età o l'orientamento sessuale.
Il
31 marzo 2010 il comitato dei ministri del Consiglio d'Europa ha adottato una
raccomandazione agli stati membri riguardante le "misure per combattere la
discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere".
L'appartenenza
all'Unione europea non solo esige l'abrogazione delle legislazioni persecutorie
degli omosessuali, ma, con il Trattato di Amsterdam, esige l'approvazione di
legislazioni che regolamentano la questione, tuttavia i termini di questa
clausola non sono ancora stati attuati in molti dei paesi dell'Unione.
Tra
le principali rivendicazioni nell’ambito dei diritti LGBT+ c’è sicuramente il
riconoscimento del matrimonio alle coppie dello stesso sesso. Questa nasce
dall'esigenza di eliminare dalle legislazioni la disparità di trattamento
basata sull'orientamento sessuale, sul presupposto che il rapporto omosessuale
sia una espressione della sessualità e che il diritto al matrimonio sia un
diritto inalienabile della persona. Tuttavia, rispetto al matrimonio non tutti
gli stati membri si sono mostrati d’accordo.
Infatti il matrimonio egualitario tra persone dello
stesso sesso non è riconosciuto in tutti gli stati membri: a dicembre 2017 due
persone dello stesso sesso possono accedere all'istituto del matrimonio in: Spagna,
Francia,
Regno Unito,
Germania,
Portogallo,
Belgio,
Lussemburgo,
Paesi Bassi,
Danimarca
(compresa la Groenlandia), Finlandia,
Islanda,
Norvegia,
Svezia,
Irlanda,
Malta.
Il percorso di questi Paesi non è stato veloce: più di 16 anni hanno
distanziato l’istituzione del matrimonio nei Paesi Bassi ( 1° aprile 2001) dalla legalizzazione del matrimonio tra le coppie
omosessuali in Austria che sarà possibile solo 1 gennaio 2019.
Altri Paesi hanno optato per le unioni civili, come
l’Italia, l’ultimo ad approvarle. L’Estonia è l’unico Stato baltico a prevedere
questo istituto giuridico. La maggior parte dei Paesi dell’Est non ammette né
il matrimonio per le coppie omosessuali né l’unione civile. Nel 2016 l’Italia
ha introdotto le unioni civili per le coppie omosessuali , ma non le adozioni,
e allo stesso tempo ha regolamentato per la prima volta le convivenze fra
eterosessuali.
Nel giugno 2018 la Corte di Giustizia dell’Unione
Europea ha riconosciuto la validità del matrimonio egualitario in tutti i paesi
membri "ai sensi della libera circolazione delle persone”. Cosa vuol dire
questa sentenza? Significa che sebbene il matrimonio egualitario non sia
approvato in tutti i singoli stati membri, deve esserne riconosciuta la
validità, qualora esso sia stato celebrato nell'Unione Europea in uno stato
senza tale regolamentazione.
Piccoli passi in Europa si sono fatti e tanta strada
c’è ancora da percorrere e chi partecipa al Pride questi passi li fa fisicamente e non scende
in piazza solo per sé: in molte parti del mondo le persone LGBTQI sono punite,
torturate e allontanate dalle loro comunità. In 72 paesi, secondo la più
recente ricerca dell’organizzazione internazionale ILGA, essere omosessuali è
un reato. Se in molte parti del mondo i Pride sono occasioni gioiose, piene di
divertimento e allegria, in altre non c’è niente da festeggiare: sono
soprattutto manifestazioni militanti e rivendicative per quanti combattono
innanzitutto per la loro sopravvivenza e per la loro incolumità.