A cura di Nicola Dario Casolare
"Lo squalo era un pesciolino
rosa". Questo il titolo di un articolo pubblicato il 13/07/2014 dalla
testata giornalistica de "Il tempo",
dedicato al racconto del coming out che vede protagonista il trentaduenne
nuotatore australiano cinque volte campione olimpico Ian Thorpe, il quale in
un'autobiografia del 2001 aveva smentito la propria omosessualità. Sulla scorta
della pubblicazione di quest'articolo e delle numerose ricerche presenti in
letteratura sul rapporto che lega sport e il fenomeno dell'omofobia è nato
l'interesse di indagare questa relazione. L'obiettivo della ricerca dunque è
quello di esplorare il vissuto esperienziale, la percezione soggettiva
dell'omofobia nel suo declinarsi in ambito sportivo attraverso la
somministrazione di un questionario breve, scorrevole e di facile accesso
edificato mediante il riferimento agli impianti teorico-empirici reperibili
nella letteratura scientifica internazionale.
I primi item di questo self report costruito ad hoc sono volti
a reperire informazioni di carattere demografico, per cui accanto al genere,
all'età e alla regione di residenza è stato chiesto di specificare
l'orientamento sessuale. Successivamente i partecipanti erano chiamati ad
indicare se praticassero o meno attività fisica, e in caso di riposta
affermativa specificarne la tipologia. I quesiti successivi sono stati tratti
dalla "ATLG scale revised 5-items short
version # 1" di Herek, dalla "Homophobia scale" ( Write-Adams-Bernat 1999),
dall'indagine presentata da Morrow e Gill
"Perception of homophobia and heterosexism in physical education", ed
infine dal "Trangender specific companion
report" (Smith-Cuthbertson-Gale 2012); i quali sono stati adattati alle
finalità della ricerca. Una volta realizzato si è proceduto al reclutamento
della popolazione campione. A tal scopo il test è stato pubblicato sotto forma
di link su Facebook (nei gruppi
"magistrale di psicologia", "magistrale
di lettere" dell'Università degli studi di Napoli Federico II e dell'Università
degli studi di Torino; "Bullismomofobico.it"; "Mai più odio di genere") e
nei Forum sportivi (internet www.forsumsky.it in particolare nei gruppi "Serie A fan
club; Calcio mania; Basket; Altri sport"; "Napolimagazine" e
"Calcionapoli.news") per poi diffondersi a macchia d'olio grazie ad un
opera di condivisione degli utenti stessi.
L'analisi dei dati è stata
condotta mediante l'ausilio del software di elaborazione statistica "SPSS" (Statistical Package for Social
Science). Al fine di verificare l'esistenza di una
differenza significativa tra uomini e donne ottenuta ai punteggi "ATG" e "ATL" è stato utilizzato un test non parametrico per confronto tra
medie (Mann-Whitney Test) in quanto i
dati raccolti, formanti la popolazione campione reclutata, non erano
distribuiti secondo una curva normale. Per la "ATG scale" lo score riportato dal campione femminile evidenzia che
le donne risultano essere meno omofobe (RM=58.42)
rispetto agli uomini (RM=84.81) in
maniera statisticamente significativa (U=1475.5***).
Allo stesso modo anche rispetto alla "ATL
scale" il campione maschile si presenta come più omofobo (RM=85.34) a confronto delle donne
coinvolte nell'indagine (RM=58.01) in
modo statisticamente significativo (U=1443.5***).
Questo risultato sembra confermare che la costruzione dell'identità di genere segue
una logica binaria e funziona per antagonismo-contrasto. Quest'aspetto sembra
essere particolarmente esplicito nella dimensione maschile. Un vero uomo
difatti è tale se la sua struttura di personalità si configura come
diametralmente opposta alla donna cosi come all'omosessuale, considerato alla
stregua di un non-uomo, un maschio mancato che assume tratti comportamentali e
psicologici tradizionalmente ascritti alla dimensione femminile. Essere gay in
una società eterosessista e androcentrica vuol dire trasgredire e soprattutto
tradire in virilità. Tale violazione è suscettibile di severe condanne e
coincide essenzialmente con un avvicinarsi del viril sesso alla femminilità. Questo processo di femminilizzazione del maschio
sfocia in un rendere passivo ciò che è concepito come innatamente votato
all'attività in funzione del meccanismo riproduttivo finalizzato alla
conservazione della specie. Il processo di socializzazione che conduce alla
formazione dell'identità di genere maschile è strutturato attorno e veicola
l'ideale del maschio virile. Essere maschio vuol dire essere rude, competitivo,
aggressivo: il vero uomo è macho e il macho è per definizione eterosessuale; in
quanto tale implica il doversi dissociare dalle donne e dagli omosessuali. Al
fine di affermare ed essere riconosciuto come "sesso forte" l'individuo deve provare a se stesso e agli altri di
non essere effeminato, pena la marginalizzazione. Per non essere relegati nella
dimensione della cosiddetta "diversità"
quindi occorre non provare o non voler nutrire desiderio verso altri uomini né
divenire per loro oggetto d'interesse e piacere. Di conseguenza il timore di
essere considerato una "checca" o un "finocchio" è pressante e costituisce
uno degli elementi cardine che sostanziano la costruzione identitaria poiché
l'essere gay rappresenta l'antitesi del ruolo maschile tradizionale. In questo
senso i valori maschili-machisti sono considerati positivamente per cui il non
essere ad essi congrui determina fenomeni discriminatori di esclusione morale.
Dunque accanto alla competizione, al timore di essere considerati deboli e al
controllo dei sentimenti l'omofobia sembra configurarsi come uno degli elementi
costitutivi che modella la formazione dell'identità di genere. Il pregiudizio
omofobico perciò necessita paradossalmente di essere rinforzato.
Operando un confronto di medie
tra soggetti reclutati tramite Facebook e soggetti reclutati nei forum sportivi
dei punteggi ottenuti alle scale "ATG e
ATL" emerge che i soggetti ingaggiati nei forum sportivi sono più omofobi (RM-ATG=88.64; RM_ATL=88.46) di coloro
che hanno reperito il questionario tramite Facebook (RM-ATG=58.74; RM-ATL=58.84) in maniera statisticamente
significativa (U-ATG=1192.0***;
U-ATL=1200.5***). Questo risultato conferma che nella dimensione sportiva è
forte e consolidato l'agire del pregiudizio omofobico che fa dello sport il
tempio della "hegemonic masculinity
culture" , intesa da Connell come la costruzione
delle regole di genere volte a garantire la posizione dominante degli uomini
che ad essa si conformano cui si associa la subordinazione delle donne nella
società. L'archetipo di mascolinità crea essenzialmente una gerarchia nelle
strutture societarie al cui vertice sono posti i maschi eterosessuali. Al gradino più basso di un
siffatto ordine piramidale ci sono le donne e gli omosessuali. Al sesso
maschile è connesso il cliché che dipinge, vuole e decreta per il maschio la
necessità di aderire agli ideali di forza e virilità affinché possa essere
considerato in quanto tale, cioè maschio. Come evidenzia Messner
nell'immaginario comune l'atleta incarna l'idea di ciò che significa essere
uomo. Pertanto lo sportivo deve inevitabilmente presentarsi ed essere percepito
come conforme al concetto di uomo macho e virile il cui significato risiede
nell'essere e nel riuscire a porsi in contrapposizione a ciò che forte e virile
per natura non lo è: la donna e l'omosessuale. L'atleta è quindi chiamato ad
esemplificare il senso stesso di essere uomo in contrasto a ciò che vuol dire
essere donna o gay secondo i dogmi della cultura d'appartenenza. Lo sportivo
dunque è il macho per antonomasia. Di conseguenza essere gay diventa una
minaccia per l'immagine degli sport maschili nella misura in cui l'omosessuale
costituirebbe l'antitesi di ciò che coincide con l'essere macho, virile e
aggressivo. Di qui la mistificazione del "diverso"
e la manifestazione ampiamente documentata di forme di ostilità maggiore e il
minor grado di tolleranza/accettazione dell'omosessualità maschile rispetto a
quella femminile; quest'ultima concezione sembra essere confermata dalla
percezione delle squadre femminili come più tolleranti e aperte al coming out. In congruenza a questi risultati il
campione femminile si configura come meno eterosessista (RM=78.40) dei partecipanti uomini (RM=56.57) in maniera statisticamente significativa. In questa
direzione la persistenza di stereotipi legati al genere riassumibili nel clichè
dell'uomo e della donna moderna che vede ancora in auge il binomio
femminilità-maternità e maschio-virile-procacciatore di reddito, la
partecipazione delle donne è spesso soggetta a stereotipi, pregiudizi e
discriminazioni. Le donne infatti spesso vengono etichettate come mascoline o
poco femminili nella misura in cui il loro prender parte alle pratiche sportive
si pone in netta antinomia rispetto alla nozione e al significato normativo e
streotipico che tendenzialmente si attribuisce alla femminilità. Come risultato
di ciò le atlete spesso si trovano poste dinnanzi alla messa in discussione
continua della propria identità sessuale solo perché impegnate nello sport. La
paura di essere etichettate o identificate come lesbiche possiede la potenza di
limitare, intimidire la presenza delle donne nello sport oppure viceversa
spinge le atlete a comprovare o esibire costantemente la propria
eterosessualità; lo sport
costituisce il sito all'interno del quale la mascolinità egemone si riproduce e
si rinforza, in accordo con le concezioni di Griffin e Messner. Uomini e donne
spesso si trovano ad essere posti nella condizione di esprimere comportamenti
iper-mascolinizzati e iper-femminilizzati al fine di sentirsi ed essere visti
come adeguati e conformi ai prototipi dettati e sanciti dalla norma
eterosessita, al fine di contrastare rispettivamente per il maschio e per la
femmina una femminilizzazione e una defemminilizzazione. In questo senso un
atleta donna, inserita in un ambiente essenzialmente maschile, è spesso
percepita come meno capace di un uomo nonché costretta a manifestare la propria
congruenza con gli standard che definiscono la femminilità. Dalle donne ci si
aspetta cordialità e calore, dagli uomini forza e autorità. Di conseguenza una
donna che pratica sport è trattata alla stregua di un trasgressore, poiché
rischia di sconfermare e deludere le aspettative connesse al genere. Le
sportive pertanto si trovano a vivere una situazione ambigua e contraddittoria.
Da un lato non devono assumere comportamenti troppo femminili altrimenti
rischiano di essere ridicolizzate, banalizzate e sessualizzate ma dall'altro
neanche essere troppo mascoline poiché rischierebbero di essere demonizzate e
tacciate di omosessualità . In questo senso le donne al di la del proprio
effettivo orientamento sessuale per il solo fatto di essere inserite in un
ambiente considerato tradizionalmente maschile sono etichettate come lesbiche.
Questo aspetto risulta essere particolarmente evidente se consideriamo i
cosiddetti "sextiping sports",
introdotti da Zinkhan, secondo cui esisterebbero degli sport più consoni alle
donne piuttosto che agli uomini e viceversa: emblematico è il binomio
calcio-danza.
Nei gruppi sportivi fare coming out non si rivela essere una
scelta conveniente poiché fingersi eterosessuali a volte sembra essere
funzionale a preservare le relazioni di gruppo e a garantire la continuità del
supporto economico e pubblicitario offerto dagli sponsor. A motivo di ciò
spesso gli atleti tendono a dichiararsi gay o lesbiche al termine della propria
carriera. E'soprattutto nel mondo del
calcio maschile che l'omosessualità è censurata in quanto tabù. Il calcio è tra
le tante attività sportive quella che insieme al baseball, al basket o al
pugilato è simbolo per eccellenza di machismo e mascolinità. Per un calciatore
gay "uscire allo scoperto, dall'armadio"
significa esporsi al rischio di diventare oggetto di discriminazione da parte
dei compagni di squadra, della tifoseria e dei media. A ciò si legano grossi
interessi di natura economica connessi alle logiche del calcio-mercato e alla
spettacolarizzazione dei calciatori che si muovono nella direzione di
insabbiare e proteggere da eventuali scandali. La presenza del fenomeno
omofobia nello sport, conclamato dal campione di ricerca, si esprime attraverso
una vasta gamma di modalità quali molestie negli spogliatoi, continue
incitazioni da parte dei coach volte ad ottenere uno sforzo maggiore nelle
performance e mediante il rimarcare costantemente la linea di confine tra il
contatto fisico tollerato-tollerabile (fraterno, desessualizzato) e il contatto
omoerotico e omosessuale bandito e denigrato. A tal proposito Pronger parla di "homoerotic paradox". In base a questo
principio la cultura dell'eteronormatività favorisce, in maniera contraddittoria, da un
verso il contatto tra atleti maschi fino a farlo diventare quasi esclusivo (si parla
di homosocial contact: pensiamo alla
fisicità di cui le locker room sono intrise), dall'altro non tollera né approva
l'omosessualità rispetto alla quale spesso assume un atteggiamento denigratorio
volto essenzialmente ad ostentare, rafforzare e affermare la mascolinità. Le
forme di contatto bandite, perché in netta antitesi con il machismo sportivo,
sono ad esempio l'empatia, l'intimità fisica, la compassione dunque tutte
quelle emozioni tradizionalmente ascrivibili all'universo femminile; per cui
comportamenti che richiamano affetto reciproco come il prendersi per mano,
baciarsi e scambiarsi tenerezze sono riservati alle coppie eterosessuali. Parimenti
l'ipotesi di agire la sessualità (acting
out sxuality) ossia la possibilità di intrattenere una qualsiasi forma di
relazione sessualmente connotata con un proprio compagno d squadra è percepita,
vissuta come qualcosa di estremamente sgradevole, come qualcosa da evitare a tutti
i costi poiché tale comportamento costituirebbe una minaccia
all'eteronormatività che permea il discorso sportivo nonché la possibilità di
creare un legame con i compagni di squadra. In questo senso il riferimento alla
sessualità, nelle sue diverse sfaccettature, incistata all'interno della
cultura machista (quale è l'ambiente sportivo) assume i connotati di modo per
mezzo del quale affermare e rinforzare il binarismo di genere favorendo e
acuendo inevitabilmente la sua diretta emanazione, ossia l'omofobia. Tutti
questi aspetti spingono l'individuo omosessuale a rimanere "in the closet", cioè mantenere segreto il proprio orientamento. Il
timore convinto di essere "malato", "perverso" e "sbagliato", causata
dall'endemica omo-ostilità fallocratica,
può essere una condizione che affligge il soggetto omosessuale tanto da
spingerlo a contrastare o mimetizzare la propria identità precludendosi
fortemente la possibilità di accedere e prender parte attivamente a determinate
discipline sportive "esclusivamente appannaggio" del maschio eterosessuale.
Riferimenti bibliografici
Herek
G.M. (1994), "Assessing heterosexuals'attitudes toward lesbian and gay men: A
review of empirical research with the ATLG scale", Theory, search and clinical
applications. Psychological perspectives on lesbian and gay issues, volume 1,
pp. 206-228
Messner
Michael A. (1992), "Power at play: sports and the problem of masculinity (2end
ed.)", Boston, MA: Beacon Press
Morrow
Ronald G., Gill Diane L. (2003), "Perception of homophobia and heterosexism in
physical education", Research quarterly for exercise and sport, volume 74, No.
2, pp 205-214
Pronger B. (1990), "The arena of masculinity: sports,
homosexuality, and the meaning of sex", New York, NY: St. Martin's
Smith M., Cuthbertson S., Gale N. (2012), "Out for
sport. Tackling transphobia in sport", Equality network lesbian, gay, bisexual
and trangender rights in ScotlandWright Lester W. Jr, Adams Henry E., Bernat J.
(1999), "Development and validation of the homophobia scale", Journal of
psycopathology and behavioral assessment, volume 21, No. 4, pp. 337-347
Zinkhan G., Prenshaw P., Close AG. (2004) "Sex-typing
of leisure activities: A test of two theories", Advances in consumer research;
31:412-419