A cura di Daniela Scafaro
Una delle prime differenze che i
bambini percepiscono riguarda l’essere maschio o femmina; il genere nella sua
articolazione con gli altri aspetti identitari è un tema centrale nelle
interazioni di ciascun soggetto, interazioni che sono cariche di
condizionamenti veicolati, fin dai primi anni di vita, da media, famiglia,
scuola etc... La socializzazione di genere è proprio il processo di costruzione
e negoziazione delle differenze, delle identità e dei ruoli che avviene
nell’interazione tra gli attori sociali (Rossi, 2009; Leonelli, 2011).
Nel più
ampio quadro della socializzazione di genere rientra l’educazione di genere intesa
quale insieme dei comportamenti che gli educatori mettono in atto, in maniera
più o meno intenzionale e consapevole, rispetto ai vissuti, ai ruoli e alle
relazioni di genere di coloro verso i quali hanno una responsabilità educativa (Leonelli,
2011).
Pensare
alla dimensione di genere nei processi educativi chiama in causa in primis la
funzione della scuola e la relazione degli insegnanti con i loro studenti. La
legge 107/2015 di riforma della scuola prevede l’educazione alla parità tra i
sessi e la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di
discriminazione nelle scuole di ogni ordine e grado. La scuola è infatti un
luogo di primaria importanza per educare le nuove generazioni al rispetto e
alla valorizzazione delle differenze, per promuovere relazioni di genere
equilibrate e paritarie e per favorire una riflessione sugli stereotipi nella
sfera domestica e professionale.
È fondamentale che ci sia un’ottica di genere
nei contenuti disciplinari e nei libri di testo proposti, così come è fondamentale
che gli insegnanti siano consapevoli dell’importanza rivestita, rispetto a tali
questioni, anche dalle modalità relazionali e linguistiche adottate. (Guerrini,
2017).
La
pedagogia di genere, invece, si colloca su un piano meta-riflessivo e, a
partire dalla rilevazione dei modelli impliciti relativi al genere (cui
quotidianamente si fa riferimento nella pratica educativa), mira a stimolare
una riflessione critica su di essi, cercando di chiarire come si traducano in
pratiche attraverso regole, rinforzi e sanzioni. Se non è oggetto di
riflessione critica, infatti, l’educazione di genere può favorire la spinta omologatrice
e il disconoscimento della soggettività, al contrario, quando è pensata, contribuisce
al superamento degli stereotipi e alla promozione di una costruzione di
identità libere da condizionamenti.
La
nascita della pedagogia di genere in Italia si ha negli anni ’70. Complice il fermento
politico e culturale promosso dai movimenti femministi (sono gli anni della
legge sul divorzio, della contraccezione chimica, e del decadimento
dell’immagine della donna solo come moglie e madre), il dibattito sulla
differenza tra sesso e genere infiamma e si comincia a metter l’accento sul
ruolo della cultura nella veicolazione di ciò che “è da donna” e ciò che “è da
uomo”. Questa è una fase di grandi conquiste e l’enfasi è sul concetto di uguaglianza
tra i sessi, che verrà ben presto problematizzato da alcune studiose che vi
scorgeranno il tentativo di aggirare la questione della differenza attraverso
un’omologazione del femminile al maschile.
Così, a partire dagli anni ’90, ciò
che viene ad essere in primo piano in questo filone di studi è la possibilità
di coniugare l’emancipazione con l’affermazione delle specificità connesse
all’esser donna. Tuttavia anche questa fase non è stata esente da derive
connesse al rischio di una visione discriminatoria “a parti inverse”. Se ci si
interroga infatti su quale aspetto specifico renderebbe le donne diverse e
migliori degli uomini, si rischia di riportare le differenze di genere sul
piano delle differenze biologiche, col rischio di «naturalizzare le differenze,
riposizionarle nel dualismo oppositivo maschio/femmina, allontanando il
discorso dall’unica evidenza documentabile: ciò che accomuna le donne è di
avere ricevuto un’educazione diversa da quella degli uomini» (Leonelli, 2011,
pag. 8).
L’ultima
fase di studi della pedagogia di genere, ancora in corso, vede il superamento della
dicotomia maschile-femminile e una complessificazione del concetto di genere. L’accento
è certamente sul peso dei condizionamenti socio-culturali che ciascun individuo
riceve, ma al contempo sul ruolo attivo che ciascuno può rivestire
nell’interpretare tali condizionamenti.
È proprio per questo che l’educazione assume un ruolo centrale: essa può
infatti ostacolare o al contrario favorire il percorso di interpretazione della
propria appartenenza di genere e il riconoscimento del proprio corpo in quanto
corpo sessuato.
È
dunque necessario che gli educatori siano formati sulle tematiche di genere in
modo da stimolare nei loro giovani interlocutori un sapere critico e rispettoso
di ogni individualità, che possa favorire uno sviluppo autentico della propria
soggettività.
Riferimenti.
Leonelli
S., (2011). La Pedagogia di genere in Italia: dall’uguaglianza alla
complessificazione. Ricerche di Pedagogia e Didattica (2011), 6, 1.
Guerrini,
V. (2017). Educazione e differenza di genere. Una ricerca nella scuola
primaria. Pisa: Edizioni ETS.