A cura di Emilia De Simone e Claudia Cantice.
Il 24 maggio è il
Pansexual & Panromantic Awareness e Visibility Day, giornata dedicata alla
celebrazione e visibilità della comunità pansessuale e panromantica.
Per questa occasione abbiamo pensato di approfondire il tema della
pansessualità e di raccogliere una testimonianza diretta, realizzando
un’intervista.
Abbiamo incontrato
Sara in videochiamata e, dopo le presentazioni, le abbiamo chiesto per prima
cosa se sapesse che il 24 maggio è la Giornata della Consapevolezza e della
Visibilità Pansessuale e Panromantica. Sara, in effetti, ci risponde che non ne
aveva la minima idea! “Credo che ogni
generazione sia un po’ più indietro rispetto a quella successiva, vengono fuori
sempre nuove cose ed è difficile rimanere sul pezzo. Comunque, buono a sapersi!”
Contente di aver fatto
scoprire noi qualcosa a lei, procediamo con l’intervista e partiamo con la
prima domanda.
Claudia: Questa domanda forse è un po’
personale, ma volevamo chiederti che cosa vuol dire per te essere pansessuale?
Sara: Partiamo dal presupposto che ho sempre
avuto difficoltà ad empatizzare con questo tipo di termini, da piccolina
pensavo “esistono troppe etichette, è un’ulteriore divisione”, solo crescendo
mi sono resa conto della loro utilità. Detto ciò, continuo a non riconoscermi
del tutto nelle definizioni perché non sempre le comprendo fino in fondo. Penso
che la pansessualità sia un ramo della bisessualità, anche la bisessualità può
essere non binaria, possono piacere più generi. Nella pansessualità, però, viene specificato che “non importa” quale sia
il genere, ed è una definizione nella quale mi sono ritrovata solo quando l’ho
scoperta. Avevo 14 anni quando ho scoperto che mi piacevano anche le ragazze,
all’epoca non avevo idea di cosa significasse il termine “pansessuale”, non lo
avevo mai sentito, l’ho imparato verso i 18 anni e mi ci sono ritrovata molto.
Ad esempio, quando altre mie amiche bisessuali mi dicevano “mi piace questa
ragazza, perchè mi piacciono le ragazze così” e io mi chiedevo “ma perchè se ti
piace come persona, allora ti piace in quanto appartenente alla categoria
-ragazze di un certo tipo-”? Da lì in poi ho capito che cos’era la
pansessualità, o almeno ho dato un’interpretazione mia di questa definizione e
mi ci sono ritrovata. Ciò detto alla fine è un termine, un termine utile per
darti un nome quando hai 14 anni, vedi che non ti ritrovi nelle cose che
vengono rappresentate nei film, nei cartoni animati o anche solo nelle
esperienze delle altre persone e pensi: “questo
termine restituisce dignità alla mia esperienza”, in questo senso mi ci ritrovo.
Claudia: Quindi è qualcosa di più di una
semplice etichetta, è proprio un modo di rispecchiarsi, di ritrovarsi.
Sara: Questo penso che valga un po’
per tutte le etichette, alla fine penso sono cose in cui ci si può rispecchiare
anche se vanno prese per quello che sono, delle descrizioni non delle vere e
proprie categorizzazioni, c’è una differenza tra le due cose. Siamo persone in
evoluzione, nel corso della tempo possiamo cambiare visione della vita, le
etichette non devono diventare un limite, ma uno strumento.
Emilia: Grazie Sara per la tua preziosa
testimonianza. A volte è sufficiente ascoltare un’esperienza diretta per
illuminare zone d’ombra e perplessità!
Sara: Ma figurati, sono solo le riflessioni di
tutta una vita!
Emilia: Continuiamo con la prossima domanda?
Sara: Andiamo!
Claudia: Forse in parte hai anche già
risposto, ma volevamo chiederti che cosa avresti voluto sapere prima di essere
tu a scoprire la pansessualità?
Sara: All’epoca, innanzitutto, avrei voluto
sapere che esisteva. Quando ho fatto coming out, avevo 14 anni, l’ho fatto come
persona bisessuale, ma poi mi sono resa conto che non mi ritrovavo nella
definizione e nemmeno nelle esperienze delle altre persone, quindi la cosa
principale che avrei voluto sapere è l’esistenza di questo orientamento
sessuale. Poi, ti posso dire che un’altra cosa che sarebbe stata molto utile
(non solo a me in quanto Sara, pansessuale di 25 anni, ma in generale a
chiunque in questo mondo) è un po’ di educazione sessuale ed affettiva a scuola.
Avrei voluto sapere che esistono diversi orientamenti sessuali, che non esiste
solo l’eterosessualità, che ci sono tanti modi diversi di avere rapporti.
Questo sarebbe stato molto utile e forse mi avrebbe risparmiato qualche
paturnia.
Claudia: Questo è un grande messaggio, ricalca
la necessità condivisa da noi tutt3, che studiamo e lavoriamo su questi temi.
Riconosciamo l’importanza di un’educazione sessuale e affettiva. Speriamo che
presto cambi qualcosa in questa direzione.
Sara: Vorrei aggiungere una cosa che, non per
me in quanto Sara, ma se fossi stata Saro avrei voluto sapere prima (e in
questo forse l’educazione sessuale sarebbe stata molto utile). Tra i ragazzi
questi tipi di orientamenti sessuali come la bisessualità o la pansessualità
sono molto meno accettati che tra le ragazze, lo stesso vale per
l’omosessualità. Con questo non voglio svalutare l’importanza che l’educazione
sessuale ha per le ragazze, ma forse se fossi stata maschio ne avrei potuto
giovare ancora di più. In quanto ragazza, la curiosità spinta dai cambiamenti
fisiologici mi ha portato ad informarmi, fino ad arrivare ad approfondire anche
i processi mentali legati alla sfera della sessualità e della emotività.
Invece, mi immagino che per un adolescente sia più difficile accedervi e
confrontarsi con altri del suo stesso sesso. Ho frequentato le scuole nel
quartiere di Soccavo, mi vengono in mente compagni di scuola che possono aver
faticato molto a fare i conti con la propria identità sessuale.
La testimonianza di
Sara è davvero preziosa e ci fa riflettere su quanto sia difficile mostrare (ma
anche scoprire) ciò che si è all’interno di una società binaria ed
eteronormativa. Ci viene in mente la definizione di omofobia della Treccani,
che individua tra le radici di atteggiamenti o comportamenti
omobilesbotransofbici anche la paura di
essere omosessuali. La possibilità di conoscere ed esplorare le possibili
declinazioni dell’identità sessuale e i vari orientamenti sessuali può essere
da un lato di grande supporto a chi è in fase di definizione, ma soprattutto
può prevenire e contrastare episodi di omobilesbotransfobia.
Sara concorda,
sostiene che la repressione e l’ignoranza siano alla base di questo tipo di
comportamenti o atteggiamenti - “Altrimenti
perché dovrebbe interessarti di quello che faccio io?”.
Per questo servono
momenti come questo, in cui c’è un confronto e un arricchimento reciproco,
conclude Claudia, incontrando l’entusiasmo di Sara che ancora una volta
sottolinea l’importanza di strumenti di
diffusione e sensibilizzazione su questi temi, in particolare sui social, dal
momento che se prima certe informazioni bisognava andarsele a cercare, oggi
capita anche di trovarsele davanti, leggerle e imparare qualcosa di nuovo!