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OMOSESSUALITA’ E FAMIGLIA

un disegno che rappresenta una famiglia con colori rainbow


A cura di Francesca Diletta Iavarone

In Italia stiamo attraversando un periodo storico che mette a dura prova tutte le conquiste legate alla libertà di espressione del proprio modo di stare al mondo e, a quanto pare, si continuano a fare grandi passi indietro. Uno dei diritti che tutti e tutte dobbiamo continuare a difendere, perché non garantiti, riguarda la possibilità di esprimere la propria sessualità e, più precisamente, il proprio orientamento sessuale, senza il timore di essere ostacolati e che questo ostacolo sia legittimato da uno Stato.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte sanzionato lo Stato italiano a causa dell’assenza di una normativa che disciplinasse, nel dettaglio, il tema delle coppie gay; l’omosessualità, come uno dei naturali e possibili orientamenti sessuali, sembra ricadere nuovamente in un tabù, come se dovesse restare motivo di colpa in cerca di una sua remissione.
È ormai noto che ultimamente si sia tenuto il XIII Congresso Mondiale delle Famiglie a Verona, che si è proposto di promulgare e celebrare l’idea, soprattutto politica, che esista un solo tipo di famiglia naturale, quella formata da un uomo, da una donna e dai figli. Tutto il resto dell’umanità che non rientra in questa categoria ben definita appare “viziosa”, “depravata”, “disturbata”, bisognosa di una preghiera dei dichiaratamente “sani” affinché possa guarire.
Eppure, già nel ’73, l’APA (American PsychiatricAssociation), si era esposta riguardo la depatologizzazione dell’omosessualità, proponendo di eliminarla dal DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) in cui era riportata come deviazione sessuale; grazie anche all’attivismo LGBTQ+, è stata definitivamente depennata dalla lista delle patologie mentali con la pubblicazione del DSM-IV, nel 1994, in accordo con l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità).
Ancora oggi, però, la società mette al servizio della comunità LGBTQ+ una serie di “opportunità per curarsi dal male”, offrendo terapie di conversione o riparative, che possano di nuovo zittire identità sessuali che non rientrano nella rappresentazione eteronormativa; spesso, queste proposte terapeutiche coinvolgono anche adolescenti, che la maggior parte delle volte si trovano in famiglie che sono già spaventate o disorientate di fronte ad un coming out di un figlio o di una figlia. Molti genitori eterosessuali, da più testimonianze, si confrontano con la loro difficoltà nell’accettazione dell’omosessualità del/la figlio/a e, se non sostenuti e accompagnati nell’elaborazione, rischiano di contribuire alla condanna di quest’ultimo/a, convincendolo/a ad iniziare un percorso riparativo. Ci si aggrappa alla speranza che tutto possa ritornare come prima e che sia solo una fase in potenza di essere superata, senza la consapevolezza dell’annullamento della vera identità del/la figlio/a, che potrebbe assumere su di sé la colpa di non corrispondere al desiderio genitoriale.
Lo stato confusionale in cui possono incorrere i genitori può essere ricondotto anche alla conoscenza limitata dell’omosessualità, che si aggiunge ai luoghi comuni e agli stereotipi che la riguardano.
Da che le ricerche che esplorano le realtà familiari connesse all’omosessualità si soffermavano sul fattore genetico e ambientale come predisponente all’omosessualità, oggi, invece, considerano la famiglia in quanto fattore di rischio/di protezione nello sviluppo psicosociale della persona omosessuale; la scarsa informazione e i provvedimenti “riparativi” che ne seguono, insieme a tutta la serie di aspettative eteronormative, potrebbero incidere in maniera molto dannosa sulla formazione e la crescita di un/a figlio/a che ha riconosciuto la propria omosessualità.
Anche i genitori che sembrano più pronti ad accogliere un coming out e che sono più informati, però, fanno i conti con una serie di difficoltà sociali che si presenteranno nella vita del/la figlio/a; quest’ultimo/a, infatti, esplicitando la propria omosessualità, entra a far parte di quella che viene considerata una minoranza, spesso rifiutata, incolpata e diffamata da una buona fetta della società, che crede di allontanare da sé ed eliminare un problema chiudendo gli occhi.
Intanto, la comunità LGBTQ + accumula disprezzo ma esiste e resiste, con non poche difficoltà. Le politiche vigenti promuovono la disinformazione su questo tema, non collaborano alla creazione di una rete sociale che possa sostenere il riconoscimento della propria identità; così facendo, anche il sistema familiare ne risente, rendendo ancora più complesso il lavoro di elaborazione e la possibilità di vivere in maniera armoniosa. Non poter esprimere, per un adolescente, la propria vera natura prima di tutto in famiglia, può comportare gravi disagi, non solo sociali ma anche psichici, e un malessere di fondo che fatica a rientrare in mancanza di un riconoscimento.
Ciò che permette all’essere umano, fin dall’infanzia, di sperimentare il proprio sentimento di esistenza, è l’essere visto; questo significa avere l’opportunità di crescere in un contesto che permetta l’emersione della propria autenticità, l’espressione della propria identità in tutte le sue parti, che sia anche affettiva e sessuale. Talvolta viene imposta la necessità di una scissione dell’identità dell’individuo che rispecchia quella sociale; da una parte omosessualità-malattia, dall’altra eterosessualità-sanità, come se si dovesse scegliere da che parte stare. Anche culturalmente, ad esempio, c’è una divisione tra credenza religiosa e accettazione dell’omosessualità, le due non sembrano poter viaggiare insieme, pur se esistono alcune realtà che ne permettono un’integrazione, sempre, però, sottolineando l’orientamento sessuale della persona, aspetto che viene comunemente tralasciato nel caso dell’eterosessualità. Sembra, infatti, che per molti punti di vista il cammino verso la libertà di espressione di identità diverse, anche apparentemente molto lontane dalle rappresentazioni sociali secolari, sia ancora molto lungo.
Nel frattempo, ci sono molte realtà associative, alcune nominate e diffuse poco, che si mobilitano e che collaborano attivamente alla realizzazione di sensibilizzazioni e reti di sostegno per famiglie direttamente coinvolte nelle tante questioni, ancora aperte, che riguardano l’omosessualità.

 

 

 

 
 

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