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Tematiche LGBT+ nella musica

Note musicali colorate


A cura di Francesca Diletta Iavarone.

I want to break free    
I want to break free    
I want to break free from your lies                
You're so self satisfied I don't need you         
I've got to break free  
God knows, God knows I want to break free

“Voglio liberarmi, voglio liberarmi, voglio liberarmi dalle tue bugie, Tu sei soddisfatta di te stessa e io non ho bisogno di te, devo liberarmi, Dio sa, Dio sa che io voglio liberarmi”; è così che, nel 1984, iniziava “I want to break free” dei Queen, scritto dal bassista John Deacon e cantanto da Freddie Mercury per raccontare la liberazione da un amore colmo di negatività. La scelta del gruppo di apparire all’interno del video musicale in abiti femminili non  fu accolta di buon grado, tra polemiche, critiche e censure da parte dei media statunitensi, che non diffusero il video per sette anni. Così, i rapporti con la band britannica si incrinarono ma, nel tempo, il valore di quel brano musicale fu riconosciuto anche oltreoceano, posizionandosi nelle classifiche mondiali di maggior successo. Sulla scia degli anni dell’emancipazione sessuale, iniziò ad essere identificato come celebrazione di libertà da tutte le forme di schiavitù, sociale, sessuale, sentimentale, come un inno contro l’oppressione.           
La musica, in generale, ha sempre rappresentato un mezzo attraverso il quale la propria identità, i propri vissuti e le proprie emozioni potessero avere voce. Dall’inizio dei tempi, inoltre, è stata un canale di espressione culturale, acquisendo diverse caratteristiche tra colori, sfumature e ritmi, che potessero renderla riconoscibile e, talvolta, identificabile in certi valori.  
Anche la rivendicazione dei diritti è passata attraverso di essa, manifestando e urlando il dissenso nei confronti di politiche conservatrici e volte alla repressione della libertà individuale; tra tutte, quella sessuale. Il mondo LGBT+, gradualmente, si è raccontato anche in musica, arrivando alle orecchie di tutti e tutte in quanto affermazione di esistenza, fronteggiando molteplici ostacoli come nel caso dei Queen. Con loro siamo partiti da Londra, per poi arrivare in tutto il mondo, come hanno fatto le questioni di genere, che sono state diffuse e raccontate da diverse voci. Voliamo negli Stati Uniti dove, a partire dagli anni ‘80, troviamo Madonna Louise Veronica Ciccone, in arte Madonna, che è diventata, oltre ad essere la regina del Pop, una vera e propria icona gay, essendo ispirata in maniera decisiva, fin dai suoi primi lavori, dal mondo LGBT+.  Nell’89 uscì il brano “Express yourself”, in cui la comunità si riconobbe, oltre ad essere letto come messaggio profondamente femminista, e ne fece un inno.  
Ritornando ai giorni nostri invece, nel 2019, fu “Killers Who Are Partying” a iniziare così:

“I will be gay, if the gay are burned  
I'll be Africa, if Africa is shut down   
I will be poor, if the poor are humiliated       
I'll be a child, if the children are exploited”   

Sarò gay, se i gay sono bruciati, sarò l’Africa se questa viene fermata, sarò povera se i poveri sono umiliati o un bambino, se questi vengono sfruttati. Fu dedicata alla comunità LGBT+ e a tutti coloro i quali i diritti vengono negati, denunciando le persone di potere che innalzano muri e nutrono, alimentano l’odio della società con la propria propaganda.   
Arriviamo in Italia in cui, attraverso il cantautorato, c’è stata l’affermazione di ideologie, valori, posizioni politiche e rivendicazioni di giustizia. “Anime Salve”, uscito nel ‘96, si rivelò una raccolta delle umanità più disparate, di storie ricche e deboli, delle lacerazioni e delle rivoluzioni. Tra queste, De Andrè raccontò di “Princesa”, Fernanda Farias de Albuquerque, giovane contadina che nacque in un corpo maschile. Tra la volontà di ritrovarsi in una sessualità desiderata, la noncuranza di una madre e la brutalità della vita che affrontò, alla fine del racconto regalò il suo cuore ad un avvocato di Milano che, però, per paura del pregiudizio sociale, la fece vivere nella penombra.

“Nel dormiveglia della corriera       
Lascio l'infanzia contadina  
Corro all'incanto dei desideri                      
Vado a correggere la fortuna…”

Fabrizio De Andrè è stato uno dei maggiori poeti italiani, che ha narrato di vite emarginate nella loro autenticità e crudeltà, toccandone l’umanità che a occhi poco attenti e disinteressati passa inosservata.
Da Genova arriviamo a Napoli, dove Pino Daniele, a partire dagli anni ‘70, ha unito la storia della musica partenopea con quella del blues americano, risultando uno dei musicisti più innovativi  del panorama italiano. Nel ‘79 uscì un album, a cui il suo nome diede il titolo, che conteneva anche la canzone “Chillo è nu buono guaglione”, una delle prime ad affrontare il tema dell’omosessualità e della transessualità; si parla di un ragazzo che viene definito “ricchione”, come termine dialettale di comune utilizzo 50 anni fa, senza un’intenzione dispregiativa, e viene mostrato
uno spaccato che rientra nelle molteplici rappresentazioni della convivenza tra “il napoletano comune” e il “femminiello”, anche se oggi il discorso verrebbe ampliato maggiormente. Tra l’insieme di tracce antiche di travestitismo, una più esplicita transessualità e la prostituzione, che diviene l’unica scelta decisiva per accumulare soldi per un’operazione, emerge sicuramente con molta chiarezza uno sguardo sociale che pesa come un macigno sul desiderio di sentirsi “normale”, che il protagonista vorrebbe urlare, attraverso una disperata ricerca di riconoscimento.

E mi chiamerò Teresa          
scenderò a far la spesa         
me facce crescere 'e capille  
e me metto 'e tacchi a spillo             
inviterò gli amici a casa        
a passare una giornata         
senza avere la paura 
che ci sia una chiamata
e uscire poi per strada           
e gridare so’ normale!           
e nisciuno me dice niente      
e nemmeno la stradale.          

Arrivando ad artisti e artiste che hanno esordito in tempi recenti e che hanno affrontato tematiche LGBT+ nei loro lavori, potremmo annoverare Stromae, pseudonimo di Paul Van Haver, cantautore e musicista belga. Attraverso il brano “Tous les mêmes” del 2013, l’autore ha voluto raccontare gli stereotipi più comuni che donne e uomini attribuiscono all’altro sesso, attraverso esempi sia verbali che non verbali, nell’alternarsi di luce verde e rosa, che lo aiutassero a manifestare il binarismo culturale. Oppure, ancora, negli anni 2000, Kylie Minogue pubblicò “All the Lovers”, in cui ha trattato il tema dell’amore in maniera universale mostrando, nel video, una montagna umana che si abbraccia tra ammiccamenti sensuali e avvalorandone la ricchezza delle differenze di genere, come protesta contro l’omofobia e le forme di discriminazione sessuale. Poi c’è Pink, cantante statunitense, che nel 2010 pubblicò “Raise Your Glass”, dando voce a tutti gli oppressi della società occidentale e affrontando, tra le varie tematiche, anche quella dei diritti LGBT+. Lady Gaga, ancora, nel 2011 ha lanciato il singolo “Born this Way”, che ha ricevuto anche qualche critica per il riscontro di alcuni elementi in comune proprio con “Express Tourself” di Madonna. Anche in questo caso, però, il brano è nato con l’intento di celebrare la libertà individuale, di essere e amare chi si vuole, donando alla comunità LGBT+ un nuovo inno che continui ad accompagnare la rivendicazione di esistenza e riconoscimento delle differenti identità di genere.
Ci sarebbe tanto ancora, dato il panorama musicale che si è offerto per celebrare le differenze come risorsa autentica e viva, denunciando l’oppressione culturale che continua a manifestarsi sotto varie forme.  Mi fermo qui, consapevole che anche la musica  abbia accolto da sempre le “differenze”, intrecciandosi e dialogando con culture lontane e vicine, “contaminandosi” perché più forte e ricca. Si è ricreata continuamente, avvalorando la sua natura universale e proponendo uno spunto privilegiato su come il mondo possa essere abitato.











 

 

 

 
 

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