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OMOFOBIA: TRA STIGMA, PREGIUDIZIO ED ESCLUSIONE MORALE

l'immagine rappresenta i simboli del maschile e del femminile per sottolineare che l'amore non ha limiti


a cura di Nicola Dario Casolare

L'omonegatività, più comunemente definita come omofobia, è un costrutto complesso e multidimensionale che "designa due aspetti differenti di una stessa realtà: una dimensione personale di natura affettiva, che si manifesta attraverso il rifiuto degli omosessuali, e una dimensione culturale di natura cognitiva: in quest'ultima non è l'omosessuale in quanto individuo ad essere preso di mira dal rifiuto ma l'omosessualità come fenomeno psicologico e sociale"[1].

L'omofobia nella sua costitutiva complessità multilivellica non può prescindere dall'ideologia sessista. Il "sessismo" è quel fenomeno a partire dal quale i rapporti sociali tra i sessi e la stessa sessualità vengono organizzati in base al principio tale per cui esisterebbe un ordine naturale dei sessi che porta a discriminare un sesso rispetto all'altro. Generalmente secondo questa differenziazione "naturale" tra uomo e donna, viene decretata la complementarità, o meglio la sudditanza del femminile rispetto al maschile in funzione di una presunta superiorità di quest'ultimo. L'ordine sessuale costituito dal sessismo si riflette da un lato nella costruzione dicotomica dei ruoli di genere secondo cui il maschile sarebbe caratterizzato dalla sua appartenenza all'universo esternosociale-politico, opposto al femminile che coincide con l'essere madre-nutrice ed esisterebbe attraverso e per lo sguardo dell'uomo. Dall'altro esso sancisce anche una determinata gerarchizzazione della sessualità che del pregiudizio omofobico ne è il fondamento. Questa concezione piramidale delle sessualità mira essenzialmente a porre al vertice l'orientamaento eterosessuale sulla base di un'aribitraria superiorità biologica e morale attribuita ai comportamenti e alle relazioni eterosessuali. Una siffatta sessualità è tale nella misura in cui esiste una controparte, un opposto rappresentato da tutte le altre forme di sessualità viste come incomplete, perverse, criminali, patologiche e immorali in quanto rischiano di demolire la civiltà contemporanea, minandone il funzionamento e la sopravvivenza. In questo modo si delinea il profilo di una forma di dominazione sessuale che prende il nome di "eterosessismo". Nel tentativo di conciliare questi diversi aspetti Herek pone l'accento sul concetto di "stigma sessuale".  Secondo Smith e Asher alla base del processo di stigmatizzazione c'è la percezione di una minaccia per il perceiver e per il gruppo, che sostanzialmente mina l'efficacia e il funzionamento dell'ingroup. In questo senso la stigmatizzazione si verifica nel momento in cui i principi e le norme su cui il gruppo è fondato vengono violati. Nel caso dello stigma sessuale ciò che viene minacciato è l'antinomia di genere maschile-femminile su cui si fondano i ruoli sociali, ed esso si declina su diversi livelli specularmente interconnessi tra loro. In questa direzione Herek colloca ad un livello culturale la dottrina "eterosessista" intendibile come un un sistema ideologico volto a discriminare, denigrare e negare comportamenti, identità, soggetti e relazioni non eterosessuali. Questo concetto poggia su principi quali l'"eterocentrismo", che indica la centralità dell'eterosessualità non come norma ma come discorso dominante condiviso nel sostrato culturale, e l' "eteronormatività"ossia l'imposizione dell'eterosessualità come norma poiché ritenuta l'unico orientamento sessuale corretto legittimato socialmente. L'eterossessismo è una forma di pregiudizio appreso fin dall'infanzia proprio perché permea il tessuto culturale radicandosi in contesti familiari, scolastici e sociali in cui il bambino cresce. La sua diretta conseguenza è il rifiuto dell'omosessualità o il considerarla come un argomento tabù di cui non parlare o su cui al massimo ironizzare. Mediante tale concezione viene sottolineato pone come il pregiudizio antiomosessuale non sia soltanto un fenomeno ascrivibile alla dimensione psicologico-soggettiva ma soprattutto a quella socio-culturale che tende ad etichettare l'omosessualità come deviante rispetto alla norma eterosessuale. L'"orientamento altro" rispetto a quello riconosciuto in quanto "normale" viene trattato alla stregua di un peccato, una malattia o "semplicemente"una stranezza poiché "anormale", "innaturale", "inferiore" e "disgustoso". Su un piano individuale è possibile individuare l' "enacted stigma", ossia lo stigma agito inteso come l'espressione manifesta, diretta e palese dei pregiudizi sessuali agiti mediante il comportamento. Rientrano in questa categoria fenomeni quali la discriminazione lavorativa, i crimini dettati dall'odio, l'utilizzo di epiteti e uno slang antigay nonché l'evitamento e l'ostracismo delle "sexual minorities" In una ricerca del 2005 rilevò come il 21% degli intervistati (adulti dichiaratamente omosessuali) fosse stato vittima di violenze fondate sull'orientamento sessuale. Più nello specifico gli omosessuali maschi, in congruenza con il binarismo di genere, riportarono una maggiore rilevanza di esperienze discriminatorie con una percentuale del 38% rispetto all'11-13% riscontrato in lesbiche e bisessuali sia maschi che femmine. Il 49% del campione racconta di aver esperito in prima persona abusi verbali. I soggetti vittime di soprusi legati al genere presentano una maggiore incidenza di alterazioni dello stato psichico. In un altro progetto di ricerca Herek confrontò un campione di soggetti vittime di abusi legati all'orientamento sessuale con individui che, invece non avevano vissuto siffatte esperienze. Dall'analisi dei dati raccolti emerse che nei primi ci sono livelli più elevati di sintomi depressivi, postraumatici da stress e ansiogeni. Dunque essere vittime di crimini d'odio (hate crimes) acuisce i livelli di "psychological distress". A questo si associa lo "stigma percepito" ("felt stigma"): consapevolezza del soggetto dell'atteggiamento discriminatorio che la società assume verso l'omosessualità. Esso è espresso attraverso fenomeni quali l'evitamento di comportamenti non conformi agli stereotipi di genere e l'avere contatti fisici con persone dello stesso sesso; nonché il dichiararsi eterosessuale per evitare di essere stigmatizzati. In altri termini, lo stigma percepito determina il ricorso a specifiche strategie di coping che se da un lato sono funzionali al prevenire episodi di violenza, dall'altro limitano fortemente la libertà d'espressione individuale, riducendo le opportunità di socializzazione e supporto aumentando così il rischio di scivolare in problematiche psicologiche. Esiste un'ulteriore modalità mediante cui questa forma di stigma si pronuncia. In quanto minoranza sessuale spesso il soggetto omosessuale decide di occultare il proprio orientamento; e chi tenta di passare come "sano", spacciandosi per etero, finisce per adottare delle strategie comportamentali verbali e non che assumono paradossalmente una coloritura discriminatoria. In questo modo dà prova della propria "normalità". Ciò gli consente di avvicinarsi al modello normosessuale vigente ed essere accettato dal gruppo dei pari. Infine c'è lo "stigma interiorizzato" ("internalized stigma") la cui definizione è speculare allo stigma percepito che diventa oggetto di introiezione. Più nello specifico è l'accettazione personale dello stigma sessuale come una parte integrante del proprio sistema di valori e della propria concezione di sé[2].  

Le sue dirette espressioni coincidono con: "self stigma" (omofobia interiorizzata) ossia gli atteggiamenti negativi che gli omosessuali posseggono rispetto al proprio orientamento sessuale che risulta essere congruente con il processo di stigmatizzazione collocato a livello strutturale. In questo senso quindi il soggetto accetterebbe la valutazione negativa che la società ascrive all'omosessualità e di conseguenza orienterebbe questa ostilità verso i propri desideri e passioni omoerotiche. L'internalized stigma si palesa inoltre sottoforma di "pregiudizio sessuale"; cioè gli atteggiamenti negativi che l'eterosessuale cosi come l'omosessuale stesso paradossalmente nutre verso l'omosessualità e le minoranze sessuali. Alla base del processo di stigmatizzazione vi è il fenomeno dell' "esclusione morale" proposto da Staub (1987) e ripreso da Opotov (1990) intendibile come l'estromissione di individui e gruppi da una comunità morale, al cui sostegno si pongono una serie di meccanismi e fattori psicologici. In accordo con la teoria socio-cognitiva-interazionista dell'azione morale di Bandura, secondo cui le condotte aggressive e socialmente dannose sono il risultato dell'influenza reciproca di fattori individuali, ambientali e della condotta stessa che influenza retroattivamente soggetto e ambiente, è possibile avanzare l'ipotesi che le persone interiorizzano i principi morali condivisi nella cultura d'appartenenza attraverso la socializzazione. In questo senso posto che i valori morali vengono introiettati dagli attori sociali in quanto fruibili nel contesto in cui si è iscritti bisogna porre l'accento su quali meccanismi psicologici intervengono al fine di ridefinire l'azione dannosa, legittimandola, attraverso un processo di ristrutturazione cognitiva volto a rendere la condotta deplorevole "morale" e "giusta". I meccanismi finalizzati a tale scopo sono essenzialmente tre:"giustificazione morale" che autorizza la condotta dannosa facendo appello a principi altamente morali quali quelli religiosi, ideologici o nazionalisti; "uso di eufemismi" in grado di camuffare e ingentilire un'azione immorale (es. la Gestapo definiva le torture "interrogativi intensivi"); "confronti vantaggiosi" volti a sminuire la gravità delle azioni commesse operando un confronto con atrocità maggiori. A questi si connettono meccanismi volti ad occultare la responsabilità individuale ed altri che producono una specifica rappresentazione della vittima. Rispetto ai primi troviamo lo "spostamento della responsabilità" in cui l'individuo aderisce ad un sistema autoritario, si sente responsabile verso esso ma non in relazione alle azioni commesse; la "diffusione della responsabilità" e l'"ignorare o il distorcere le conseguenze delle proprie azioni". Per quanto riguarda le strategie esercitate sulle vittime delle condotte discriminatorie è possibile riscontrare il processo di "deumanizzazione" ossia la percezione dell'altro depauperato delle "fattezze" umane in modo da inibire l'empatia che si attiva nel contatto interattivo, e l' "attribuzione di colpa" che consiste nel ritenere la vittima responsabile della propria condizione oppure pensare più in generale che essa abbia ottenuto ciò che si merita. Tutti questi meccanismi, che riscontriamo nelle varie forme discriminatorie comprese quelle legate al genere sessuale, tendono quindi a disattivare i controlli morali alimentando i processi di esclusione e marginalizzazione delle "minoranze".
   
[1] Borrillo D (2009), Omofobia storia e critica di un pregiudizio, Dedalo, p. 17

[2]
Mentre il "felt stigma" risulta dalla consapevolezza che l'omosessualità è oggetto di stigma e non viene considerato se o meno il soggetto a livello personale lo approva, avalla, appoggia e legittima. 

 

 

 

 
 

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