A
cura di Cimmino Claudia, Maria Francesca Di Maro, Alessia Lubrano, Camilla
Spadaro, Erika Rebbecchi, Lucia Rizzo, Maria Cristina Lucignano, Miriam Avolio,
Andrea Amatucci, Mariagiovanna Guitto, Chiara Galano, Schiano di Cola Alessia, Scotto
Lavina Sveva Nerea, Marcella Tufarelli, Dorotea Mainardi, Andreina Aiello, Emanuela
Orbinato, Rosa Matarese, Anna Rita Ferraioli, Miriana Michela
Al
mondo esistono violenze di ogni forma e quelle più taglienti sono senza dubbio
le microaggressioni. Il termine venne coniato da Chester Midllebrook Pierce, il
quale le definisce: “scambi sottili pungenti spesso automatici e non verbali
espressi sotto forma di critiche e/o battutine; descritte anche come “insulti
sottili rivolti a persone afroamericane, spesso automaticamente e
inconsapevolmente”. Esse sono profondamente subdole: non lasciano lividi sul
corpo come testimonianza concreta, per questo sono sottovalutate e banalizzate,
la vittima spesso viene etichettata come "esagerata".
Le
microaggressioni di genere sono un esempio di tale ambiguità: Glick e Fiske a
tal proposito parlano di sessismo ambivalente, delineando quello benevolo e
ostile. Il sessismo benevolo, per esempio, è sottile perché rimanda ad
espressioni galanti di superiorità maschile che limitano i ruoli delle donne e
perpetuano il dominio maschile. Il sessismo ostile invece è la forma prevalente
di sessismo, basato su un’antipatia dichiarata verso le donne, una loro
svalutazione e una discriminazione in tutti gli ambiti della vita sociale.
Le
microaggressioni prosciugano l'energia interiore di chi le subisce, portano a
un abbassamento dell'autostima e riducono o dirottano l'utilizzo di risorse per
il funzionamento adattivo e il problem solving. Gli autori di tali forme
subdole di violenza sono persone abili nel camuffare i propri pregiudizi,
oppure sono persone perbene inconsapevoli del razzismo, dell’eterosessismo e
della misoginia che nutrono? Gli psicologi ci dicono che è quasi impossibile
non avere pregiudizi, e che possono esistere inconsciamente, consciamente o ai
margini della conoscenza. Quindi possiamo dire che non siamo sicuramente in un
tribunale pronto a giudicare chi sbaglia e chi no ma nello stesso tempo è
necessario invitare alla riflessione in modo da rendere conscio l’inconscio e
smantellare strutture cognitive errate.
Le microaggressioni, inoltre, possono
essere divise in: microassalti, microinsulti e microinvalidazioni. I microassalti
sono atteggiamenti, convinzioni o comportamenti discriminatori consapevoli. I
microinsulti veicolano critiche sottili ma trasmettono un messaggio offensivo.
Le microinvalidazioni sono comunicazioni interpersonali che escludono i
sentimenti di determinati gruppi.
Le microaggressioni hanno molteplici modalità
con cui vengono trasmesse (verbali e non verbali), hanno molte forme
(microassalto, microinsulto, microinvalidazione) e veicolano messaggi palesi o
impliciti (temi denigratori o di esclusione). Le ricerche dimostrano che la
socializzazione e il condizionamento culturale instillano nelle persone
atteggiamenti e credenze inconsci diretti a gruppi specifici che si manifestano
in comportamenti discriminatori non intenzionali e spesso neurologicamente
interconnessi all’elaborazione emozionale legata al pregiudizio.
In
conclusione, possiamo dire che chi subisce una microaggressione deve spendere
energie psicologiche per discriminare la verità, proteggersi da insulti e
invalidazioni nonché cercare di capire come rispondere. Per questo motivo è
d’obbligo invitare le persone di ogni genere, etnia, età ed estrazione sociale
a riflettere sulla potenza devastante di questa morte dai “mille tagli” come la
definiva Maya Angelou, proprio con l’intento di sottolinearne la ferocia.