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L’insostenibile leggerezza dell’esser…donna.

Il ruolo dei media nella veicolazione del canone femminile.

Scultura di Picasso: donna che si guarda allo specchio


A cura di Daniela Scafaro.

In “
Psicologia della differenza di genere” (2005) Alessandro Taurino sottolinea come distinguendo due categorie - maschile/femminile, uomo/donna – si determini la strutturazione di precise immagini mentali configurate come rappresentazioni socialmente condivise della differenza sessuale. Sostanzialmente vengono stabiliti aspetto, comportamenti, aspirazioni e ruoli precisi che maschi e femmine devono avere all’interno della società: accade spesso, ad esempio, che caratteristiche estetiche come capelli corti o corpi estremamente scolpiti, vengano considerate poco femminili poiché stereotipicamente ed automaticamente associate alla maschilità. Gli stereotipi di genere sono tra i più frequenti e anche maggiormente condivisi dalla società: possono portare a una forte limitazione tanto per le donne quanto per gli uomini, nel pensiero così come nell’azione, poiché vengono influenzate scelte e aspettative riguardanti il futuro. Così, ad esempio, una donna può sentirsi spinta a non optare per un taglio di capelli corto, pur desiderandolo, per non rischiare di essere additata come poco femminile.  Ma qual è il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa nella veicolazione dell’ideale estetico femminile socio-culturalmente condiviso? media, in particolare la Tv, non fanno che intensificare tali stereotipati canoni di bellezza: il loro scopo, infatti, è proprio riprodurre e vendere modelli di bellezza femminile con un’intensità che non solo non sembra ridursi ma continua a crescere con il passare degli anni. Oggi, infatti, l'immagine idealizzata del corpo accompagna un numero sempre maggiore di momenti della nostra vita, dai cereali che mangiamo a colazione sino alle serate trascorse al cinema (Remaury B., 2006). È interessante osservare come, mentre per l'uomo vengano esaltati attitudini e abilità, per le donne il focus sia sulla bellezza esteriore. I modelli di riferimento femminili non sono solo più numerosi di quelli maschili ma decisamente ben più degradanti: la donna televisiva è presentata come subordinata agli uomini nei rapporti professionali e interpersonali, più facilmente soggetta a problemi di salute fisica o psichica, più bisognosa di supporto emotivo e maggiormente in balia di forze esterne (Signorielli N., 1989). Vi è dunque molta differenza fra la donna reale e quella rappresentata nella pubblicità. Nonostante negli ultimi anni il modo di rappresentare la figura femminile abbia subito delle evoluzioni, permane un forte stereotipo che la vede associata alla bellezza fisica e, benché sia difficile predire con esattezza l'impatto effettivo della stereotipizzazione di genere veicolata dai media (e della netta suddivisione di ruoli che ne consegue), è presumibile che possa avere delle influenze sulla crescita e sul modo di comportarsi e rapportarsi con l'altro sesso. Già nel 1983 Archer e colleghi evidenziarono come i media presentassero con maggior frequenza visi maschili e corpi femminili. La loro ricerca ha mostrato come ciò non faccia che rafforzare l’associazione tra maschi e qualità intellettuali, da un lato, e donne e qualità estetiche ed emotive, dall’altro: ciò che emerge è infatti che le persone ritratte con maggior focus sul viso sono giudicate più intelligenti (fenomeno del face-ism), mentre quelle che tendono ad essere “smembrate”, rappresentate solo con specifiche parti del corpo (fenomeno del body-ism) - ed è questo il caso delle donne - tendono ad essere (s)valorizzate per le proprie caratteristiche estetiche.  Lo smembramento del corpo femminile riduce l’identità al corpo o a parti di esso. La donna protagonista della pubblicità viene spogliata in senso reale e simbolico: l’oggetto-corpo, mero strumento da contemplare nella sua funzione di oggetto sessuale (Bartky S. L., 1990; Fredrickson B.L., Roberts T.A., 1997), diviene così un vero e proprio “bene di consumo” al pari di quelli pubblicizzati.  Il rischio per le donne è di far propria questa visione “dall’esterno” finendo con l’identificarsi riduttivamente col proprio aspetto esteriore che viene così ad essere costantemente monitorato. Il fenomeno del body-ism si riscontra massicciamente nella pubblicità: protagoniste degli spot dei nostri tempi sono parti anatomiche femminili più che donne “intere”. Ci sono spot in cui si vedono pochi dettagli (gambe, seni, glutei etc.) in una frantumazione che comunica sensualità ed erotismo spesso molto più del corpo nella sua interezza. Ciò che colpisce è che il corpo femminile venga usato al fine di pubblicizzare non solo prodotti in qualche modo ad esso connessi (quali biancheria intima, collant, profumi) ma soprattutto, ed è questa la maggior parte dei casi, per vendere prodotti che nulla hanno a che fare con la sessualità e la corporeità (dentifrici, pasta, bevande, medicinali, automobili etc.).  Si tratta di una vera e propria scelta di marketing dettata da logiche commerciali ben precise: puntare sulla sensualità del corpo femminile, spesso nudo, fa sì che questa qualità venga in qualche misura trasferita al prodotto rendendolo seducente e attraente agli occhi del consumatore.1  Tuttavia non solo limitare la donna in questi stereotipi è riduttivo e, come abbiamo visto, potenzialmente pericoloso ma il messaggio che i minori, in particolare gli adolescenti, ne ricevono è indubbiamente deformante per la loro crescita umana e sociale (Zanacchi A., 2004, p.139). La pubblicità resta dunque uno degli ambiti in cui la tipizzazione legata al genere e l’accento sul corpo femminile sono più marcati: la caratterizzazione maschio-femmina è, in sostanza, una dato ineliminabile della proposta pubblicitaria; perfino nella pubblicizzazione dei giocattoli il riferimento al genere del consumatore è sempre molto esplicito: gli spot riaffermano la proposta di attività “femminili” per le bambine (occuparsi dell'aspetto estetico, proprio o delle bambole, svolgere attività di tipo domestico ecc.) e di attività “maschili” per i bambini (competere, manipolare oggetti, fare sport etc.)” (Schwartz L.A., Markham W., 2002). Anche per quanto riguarda sit-coms, serie tv e simili, pur essendoci stato un importante incremento di personaggi femminili che, sempre più spesso rispetto al passato, ricoprono ruoli indipendenti e liberi da pressioni (familiari o lavorative), non sono ancora emancipate dalla pressione dell’ideale estetico che le vuole “belle a tutti i costi”.     Bibliografia Bartky S.L. (1990), Femininity and Domination: Studies in the Phenomenology of Oppression, New York: Routledge. Fredrickson B.L., Roberts T.A. (1997), Objectification Theory. Toward Understanding Women's Lived Experiences and Mental Health Risks, Psychology of Women Quarterly, Volume 21, Issue 2, pp 173–206. Grazioli E. (2001), Arte e Pubblicità, Mondadori. Remaury B. (2006), Il gentilsesso debole: le immagini del corpo femminile tra  
cosmetica e saluteMeltemi, Roma. Schwartz L.A., Markham W. T. (1985), Sex Stereotyping in Children's Toy Advertising, Sex Roles, January 1985, Volume 12, Issue 1, pp. 157-170. Signorielli N. (1989), Television and Conceptions about Sex Roles: Maintaining Conventionally and the Status Quo, Sex Roles, September 1989, Volume 21, Issue 5, pp 341-360. Taurino A. (2005), Psicologia della differenzdi genere, Carocci, Roma Zanacchi A. (2004), Pubblicità: effetti collaterali, Editori Riuniti, Roma. 

 

 

 

 
 

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