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Scomparsa di Lucy Salani, testimone di libertà e resistenza

Immagine di Lucy Salani con un libro aperto


A cura di Claudia Cantice e Emilia De Simone.  

La comunità LGBTQIA+ piange la scomparsa di Lucy Salani, a quasi 99 anni. Lucy era nota per essere l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Salani, dopo la guerra, divenne anche un’attivista antifascista e per i diritti delle persone LGBT+ piuttosto nota, e la sua storia è stata raccontata in libri e documentari.  
Lucy Salani nacque a Fossano, in Piemonte, il 12 agosto 1924, da una famiglia antifascista. Trascorse parte della sua giovinezza a Bologna, finché allo scoppio della guerra, prima della sua transizione, fu chiamata in servizio dall’esercito italiano. Da allora, disertò due volte: la prima dopo l’armistizio italiano dell’8 settembre del 1943 e la seconda, quando fu costretta a unirsi alle truppe fasciste, in seguito all’occupazione da parte dell’esercito nazista di molti territori italiani. Venne scoperta e mandata nel campo di lavoro forzato di Bernau, in Germania. Riuscì ancora a scappare, ma nuovamente scoperta fu internata nel campo di concentramento di Dachau.
Dal momento che aveva disertato, fu contrassegnata con il triangolo rosso, il segno di riconoscimento dei prigionieri dei campi di concentramento: per i prigionieri ebrei, erano due triangoli gialli disposti a formare una stella, mentre quello rosso distingueva gli ebrei dai prigionieri politici, tra cui i disertori. A Dachau sopravvisse per sei lunghi mesi. Dai suoi racconti si apprende che era costretta a portare avanti compiti disumani, come quello di contare i cadaveri e assegnare loro, non un nome, bensì un numero. Resistette fino al giorno della liberazione da parte degli Alleati, quando poco prima di abbandonare il campo, le guardie naziste -ormai spalle al muro- cominciarono a sparare sui prigionieri dalle torrette di Dachau, colpendo Salani a una gamba, la quale fu ritrovata solo successivamente, viva, tra i cadaveri.
Dopo la guerra, Lucy tornò in Italia, visse tra Torino e Roma, spostandosi per un periodo anche a Parigi. Si sottopose all’operazione di riattribuzione del sesso a Londra, negli anni Ottanta, senza tuttavia rettificare all’anagrafe il suo nome di nascita, Luciano. Tornò a Bologna, città dove aveva trascorso la sua giovinezza, e dove è rimasta fino alla morte. Salani si è distinta come attivista antifascista e per i diritti delle persone LGBT+ e la storia della sua vita ha acceso l’interesse di molti. Infatti, è stata raccontata nel libro del 2009 “Il mio nome è Lucy. L’Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale” di Gabriella Romano, e più di recente nel documentario realizzato da Matteo Botrugno e Daniele Coluccini “C’è un soffio di vita soltanto” (2021). È stata anche intervistata nel documentario “Felice chi è diverso” (2014), diretto da Gianni Amelio.  
Per saperne di più: I registi, Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, hanno condiviso con lei gli ultimi anni di vita, lavorando al suo fianco per la realizzazione del documentario che racconta la sua storia. “C’è un soffio di vita soltanto” ripercorre la vita di Lucy tra le atrocità della deportazione e le difficoltà vissute derivanti dal suo essere donna trans in un’Italia ricca di pregiudizi.
I registi, alla notizia della sua scomparsa, hanno espresso la loro emozione con queste parole: “Abbiamo avuto il privilegio e la fortuna di conoscere Lucy qualche anno fa e da quel momento è iniziato un legame indissolubile, un legame che va al di là degli aspetti artistici e professionali. Lucy è diventata un punto di riferimento umano per noi e per le tante persone che hanno conosciuto la sua storia e che l’hanno amata per la sua resistenza, il suo orgoglio, la sua forza straordinaria. Lucy se ne è andata, ma il suo ricordo e la sua storia rimarranno scolpiti non solo nella memoria di chi, come noi, le ha voluto bene, ma anche nella memoria collettiva del nostro paese”.  
Lo scorso luglio il Comune di Bologna, città cui era legata, le ha conferito la Turrita di bronzo, riconoscimento per il suo essere stata testimone di libertà e resistenza. Come scritto nelle motivazioni di tale scelta: “La città intende darle tale onorificenza come un proposito e un auspicio ad essere sempre come la sua cittadina Lucy: città libera, resistente ai soprusi e alle ingiustizie, e custode di memorie, accogliente e plurale”.  
In questo mese in cui ricade la Giornata Internazionale della Donna, abbiamo deciso di incentrare la nostra newsletter su contributi aventi come filo conduttore l’obiettivo di mettere in risalto storie di donne che hanno sfidato pregiudizi e discriminazioni a più livelli, combattendo contro un sistema storico, politico, culturale e sociale che le voleva confinare in una posizione subordinata e sminuente.
Donne che hanno fatto la storia, come Lucy, che nella loro vita si sono fatte portavoce dell’esigenza femminile di ribellione ai soprusi di cui da sempre erano state vittime, e delle istanze rivendicative di condizioni di vita e trattamenti egualitari e rispettosi delle loro singolarità, qualità e unicità.  

 

 

 

 
 

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