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Mondo del lavoro e popolazione LGBT+: come stanno le cose in termini di inclusione?

Pugno chiuso e scritta "humanity"


A cura di Claudia Cantice e Marta Enrica Giordano.

Il mondo del lavoro risulta essere uno dei principali contesti in cui si esplica la linea di confine fra integrazione ed emarginazione sociale di un individuo. Le persone LGBT+ sono maggiormente esposte, rispetto al resto della popolazione, a discriminazioni e micro-aggressioni nei diversi ambienti con i quali si interfacciano, tra cui quelli lavorativi, per ragioni connesse a stereotipi e pregiudizi fortemente denigratori che da sempre imperano nei loro confronti sulla base della loro identità di genere e del loro orientamento sessuale.                                                                 
Considerando nello specifico l’ambiente lavorativo, nell’articolo vengono riportati una serie di dati che descrivono la complessità e problematicità delle esperienze lavorative delle persone LGBT+; la questione è poi ampliata tenendo conto di quanto la diffusione e la gravità di atteggiamenti pregiudizievoli verso la comunità LGBT+ comprometta lo stesso ingresso nel mondo del lavoro, condizionando di fatto le scelte e, di conseguenza, gli stili di vita delle persone interessate.
Sembra giusto riportare che a livello legislativo esista comunque una normativa che tutela dalle discriminazioni sul luogo di lavoro: il Decreto legislativo n. 216 del 2003, attuativo della Direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, afferma che: “Tutti gli Stati membri dell’Unione europea sono tenuti ad adottare disposizioni necessarie per prevenire e reprimere le discriminazioni basate su religione, età, disabilità e orientamento sessuale, sia dirette che indirette, nell’ambito dell’impiego pubblico e privato, nell’accesso alla formazione professionale e nell’affiliazione a organizzazioni di lavoratori o datori di lavoro”. Oltre al fatto che la normativa andrebbe quantomeno modificata aggiungendo le discriminazioni per identità di genere (dal momento che si nomina solo l’orientamento sessuale), la situazione generale ad oggi non può dirsi migliorata in termini di rispetto dei diritti sul lavoro delle persone LGBT+. Ciò che difatti accade nella realtà dei contesti lavorativi è ben diverso: basti pensare che secondo le testimonianze delle persone trans le discriminazioni sulla base della propria identità di genere sono agite sin dalle fasi di selezione.                                                                                                                                                
Per dare un’attenta panoramica in merito all'argomento, si fa riferimento all'indagine ISTAT condotta nell’anno 2020-2021 e pubblicata nel marzo 2022 -la quale si annovera tra le attività previste da un accordo di collaborazione tra l’Istat e l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR)- volta a rilevare le discriminazioni lavorative subite dalle persone LGBT+ che risultano in unione civile o che si sono unite civilmente in passato (secondo quanto riportato sul sito dell’Istat, successivamente verranno condotte indagini rivolte anche alle persone LGBT+ non in unione civile). L’obiettivo specifico dell’indagine è di fornire un quadro informativo sulla percezione e diffusione di forme di discriminazione, minacce e aggressioni che le persone LGBT+ possono aver subito nei contesti lavorativi italiani.                                                                                
Vengono così approfonditi diversi aspetti riguardanti l'ambito lavorativo, ad esempio: la ricerca del lavoro, il tipo di attività lavorativa, il clima e le relazioni negli ambienti di lavoro, le azioni intraprese a seguito di eventuali episodi di discriminazione.                                                                                     
ll’indagine hanno partecipato circa 21mila persone in unione civile, di cui la maggioranza dichiara un orientamento omosessuale o bisessuale e la percentuale rimanente un orientamento asessuale. Nella categoria di maggioranza, tra coloro che avevano reso noto il proprio orientamento nell’ambiente lavorativo, il 26% dichiara che il proprio orientamento ha rappresentato uno svantaggio nel corso della propria vita lavorativa in almeno uno dei tre ambiti considerati e cioè: carriera e crescita professionale, riconoscimento e apprezzamento, reddito e retribuzione. Una persona su cinque afferma di aver evitato sia di parlare della vita privata che di frequentare persone dell’ambiente lavorativo nel tempo libero per tenere nascosto il proprio orientamento sessuale.                                                                                                                                      
Circa sei persone su dieci hanno sperimentato almeno una micro-aggressione, nell’attuale (per gli occupati) o ultimo lavoro svolto (per gli ex-occupati). Per micro-aggressioni si intendono insulti sottili rivolti alle persone facenti parte di una categoria, spesso agiti in modo automatico e aventi una radice denigratoria. La più diffusa è: aver sentito qualcuno definire una persona con un epiteto dispregiativo per intendere che fosse gay o lesbica, e connotare azioni e simili come “cose da gay”. Una persona su tre riferisce di aver subito almeno un comportamento discriminatorio mentre cercava lavoro e il 34,5% dei partecipanti durante lo svolgimento del proprio lavoro. Circa una persona su cinque, occupata o ex-occupata in Italia, afferma di aver vissuto nel proprio ambiente lavorativo un clima ostile e aggressivo condito di umiliazioni e offese con riferimenti sessuali: di quest’ultimo comportamento le principali destinatarie sono state donne lesbiche o bisessuali, a conferma di come subiscano forme di discriminazione su più livelli: in quanto donne, e quindi vittime di sessismo, e in quanto persone LGBT+.                                      
In merito alle esperienze di discriminazione vissute dalla popolazione LGBT+ nell’ambiente lavorativo, c’è un ulteriore canale attraverso il quale è possibile venire a conoscenza dello stato delle cose. Secondo il Gay Help-Line, il numero verde nazionale contro l’omolesbobitransfobia, ogni anno oltre 20.000 persone LGBT+ segnalano difficoltà di accesso e/o minori opportunità nel mondo del lavoro. Il 15% denuncia mobbing, stalking e revenge porn sul posto di lavoro, ed atti discriminatori che colpiscono prevalentemente le persone trans; il 19% dichiara di aver ricevuto aggressioni, minacce e di essere stata vittima di bullismo.                                                                
E’ interessante constatare che la maggior parte dell’utenza che sceglie di accedere ai servizi di Gay Help Line non denuncia formalmente alle autorità poichè dichiara di non sentirsi “abbastanza tutelata e protetta”.
Le testimonianze e i dati raccolti dai diversi canali descritti sono estremamente importanti per, prima di tutto, acquisire consapevolezza sul reale stato delle cose in termini di mancata inclusione e tutela delle persone LGBT+ nel mondo del lavoro, con conseguente violazione dei diritti civili -seppur presente una normativa in merito- la quale però, nel concreto, è scarsamente rispettata. E successivamente, per mettere in luce la necessità di promuovere un approccio trasformativo della cultura e delle organizzazioni lavorative, incentivando adeguate sensibilizzazioni e formazioni sul tema delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.

Fonti:

-          https://www.istat.it/it/archivio/268470
-          https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2003;216
-          https://www.arcigay.it/articoli/gay-help-line-linea-diretta-contro-lomofobia/#.Y3z9ykmZPrd

 

 

 

 
 

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