A cura di Alessia Cuccurullo
Quando si parla di coming out si pensa alla popolazione LGBT, solitamente giovane, che dichiara il proprio orientamento sessuale. Ci siamo chiesti, però, cosa avvenga dall'altro lato e quali emozioni provano coloro che ascoltano il coming out di una persona cara. Abbiamo quindi chiesto a Fiorenzo Gimelli, presidente di AGEDO Nazionale, di raccontarci la sua esperienza.
Lei è il presidente nazionale di AGEDO, ci racconterebbe un po' questa
realtà associativa?
L'acronimo AGEDOsta per
Associazione di genitori, parenti, amici di persone LGBT, Lesbiche, Gay,
Bisessuali e Transgender.AGEDO è nata 25 anni fa da un piccolo gruppo di mamme
lombarde che hanno deciso di rompere il muro di silenzio in cui erano costretti
a vivere i loro figli. AGEDO all'inizio si occupava soprattutto di accoglienza,
cioè di intervenire per alleviare, ridurre il panico in cui cadono molte
famiglie quando i figli fanno coming out. Teniamo conto che parliamo di 25 anni
fa: la situazione era ancora più pesante di oggi e la visibilità sociale e il
riconoscimento erano inferiori. Da allora è stato fatto un cammino piuttosto lungo:
io sono il terzo presidente dopo due grandi mamme, Paola dall'Orto e Rita de Santis.A
partire dal nucleo centrale che era, l'associazione si è allargata perché tutti
coloro che sentivano di avere dei problemi cercavano di contattarla; pian piano
si sono formati gruppi in altre zone, in altre aree e oggi siamo 22 sedi costituite
e praticamente riusciamo a coprire quasi tutto il Paese, isole comprese.
L'associazione è costituita da una somma di associazioni territoriali e,
appunto, è aperta a tutti coloro che sono sensibili alle tematiche e al mondo LGBT.
L'attività oggi si è allargata oltre i confini dell'inclusione e dell'accoglienza
per le famiglie che attraversano una crisi: partecipiamo al dibattito politico,
per sostenere le posizioni LGBT,per la parità di diritti; cerchiamo di fare
formazione e informazione, lo facciamo anche entrando nelle scuole,
organizzando convegni, partecipando a dibattiti. Siamo un'associazione che si
pone come elemento di raccordo tra il mondo LGBT e il mondo non LGBT.
L'11 ottobre giornata coming out, cosa è per lei il coming out?
Per me è,in generale, la giornata
della visibilità, è dire a tutti quello che si è, non vivere con vergogna la
propria condizione.Con il coming out rivendico di essere quello che sono e
rivendico gli stessi diritti che hanno gli altri. È l'azione più alta che possa
fare una persona.Ed è importante non solo per i ragazzi, non solo per le
persone LGBT. Io invito sempre le famiglie al coming out perché è il primo atto
politico, di rivendicazione e di testimonianza che questa è la normalità, delle
nostre vite e dei nostri figli. È un atto di militanza, un atto di coraggio
civile: in questo modo facciamo vedere alla società intera quante persone sono
non eterosessuali e quindi quanto sia necessario avere diritti.
Ci racconterebbe il coming out di sua figlia?
Io ho una figlia di 30 anni, che
ha fatto coming out a 24. Eravamo a tavola ci ha detto:"vi devo dire una cosa..."
e ce l'ha detto!Il nostroprimo pensiero è stato che avrebbe avuto più difficoltà
di altri.Ci siamo abbracciati.Non abbiamo avuto particolari scossoni, siamo
riusciti a mettere in pratica quello che spesso si dice in teoria. Abbiamo un
amico, un ragazzo omosessuale, che ha fatto coming out con noi dopo 15 anni e
quello che abbiamo sempre pensato è quanto avrà sofferto a non poter parlare
liberamente con suo padre e con sua madre. Forse questo ci ha aiutato. Comunque
il coming out è stato un atto sereno, ci ha riempito di orgoglio, perché
secondo me quando un figlio fa coming out con i genitori significa che c'è
condivisione con loro, che ha un buon rapporto con loro, che ha piacere di
essere in sintonia e ha piacere di mettersi in contatto con loro e metterli al
corrente dei suoi sentimenti.
...E un suo coming out?
Mia figlia lo ha detto a tutti i
parenti: la nonna, mio fratello, i miei cugini... C'è stata una condivisione
generale.
Lei pensa che sia cambiato il rapporto con sua figlia?
No, non penso che sia cambiato
perché mi sembra che ci fosse una buona condivisione prima e ci sia una buona
condivisione oggi. Abbiamo condiviso anche le sue questioni sentimentali,
quando sono andate bene e quando sono andate meno bene. Quando l'ho vista in un
atteggiamento affettuoso con la sua prima compagna mi sono emozionato.
Come immagina il futuro di sua figlia?
Spero per lei sereno. Lo immagino
assolutamente non diverso da quello che sarebbe se fosse eterosessuale.
Quali sono per lei reazioni non giustificabili ad un coming out?
Il rifiuto, la negazione, il dire
"è una moda, sarà solo una fase". Tutte
le reazioni che non siano di empatia, di messa in comune di sentimenti. Tutto
quello che non riconosce la bontà dei sentimenti, degli orientamenti, tutto
quello che va contro questo è negativo.
Che cosa è per lei l'impegno con AGEDO?
Io conoscevo già AGEDO, ma molto
poco prima che mia figlia facesse coming out. Non avevamo particolari problemi,
ma dopo un po' ho pensato che fosse bene incominciare a
incontrare altri genitori, anche per capire di più. Secondo me il nostro
impegno è quello di testimoniare la normalità delle nostre vite, il mio impegno
è di dire che noi siamo persone come tutte e i nostri figli hanno diritti
esattamente come tutti e devono essere giudicati per le loro azioni e non per
l'orientamento sessuale.
Cosa vuole dire, in conclusione, agli studenti che ci leggono?
Secondo me sarebbe interessante
mettere in evidenza l'importanza del coming out per le famiglie. Io sono
convinto di una cosa: che il mondo non è pieno di omofobi, è pieno di persone
che non sanno e non conoscono e la necessità è quindi di far sì che le persone
conoscano. Questo permette a tutte le persone di capire e di comprendere, è un
atto che aiuta questa società a conoscere e accettare i suoi componenti per
quello che valgono e non per gli stereotipi e i pregiudizi che vengono
tramandati di generazione in generazione. Ciò che cerco di dire ai genitori, ai
parenti è che devono fare tutto questo in accordo coi figli, perché non si può
fare nulla che i figli non vogliano. Se noi consideriamo che solo una minoranza
di ragazzi fa coming out in famiglia è drammatico, vuol dire che non si fidano,
non hanno confidenza. Se mia figlia non avesse fatto coming out avrei pensato
addirittura che da qualche parte avevo sbagliato qualcosa nel rapporto, che mia
figlia non si fidava di noi.
Un altro punto è che la scuola
affronti queste tematiche come istituzione, per evitare fenomeni di omofobia e
bullismo. È necessario che si istituiscano corsi all'affettività, che sono
importanti non solo per i ragazzi omosessuali, ma per tutti, in modo che uno
impari a capire cosa gli sta succedendo, soprattutto in età adolescenziale, e
possa poi gestire le proprie situazioni.
In questo senso noi In Italia ci scontriamo purtroppo
con grossissime resistenze, che arrivano soprattutto dal mondo cattolico. Bisognerebbe
tenere separate l'informazione e ciò che invece sono le scelte valoriali. Informare
le persone su quello che sta avvenendo mentre crescono, su ciò che sono gli
impulsi, su quello che sta avvenendo dovrebbe essere fornito dall'istituzione.