A cura di Alessia Cuccurullo e Daniela Rubinacci
Il delicato tema dei flussi migratori, tanto attuale oggi, ci porta inevitabilmente a dare il via ad una riflessione che riguarda la condizione delle persone trans* migranti e che tocca anche questioni delicate, come quella delle vittime della tratta a scopo di sfruttamento sessuale.
La Dott.ssa Carmen Bertolazzi, giornalista, attivista e presidente dell'associazione Ora d'Aria, è da molti anni impegnata nella difesa dei diritti delle persone transessuali/transgender detenute, vittime di tratta e in stato di vulnerabilità. La nostra intervista del mese è ricca, articolata e davvero interessante; cerca di fare un pò di luce su un tema complesso, grazie al contributo di questa professionista appassionata.
Il numero
delle vittime della tratta a scopo di sfruttamento sessuale sta aumentando esponenzialmente. Nella sua esperienza quante vittime
sono persone transgender?
Al momento il
commercio di corpi umani rende più di ogni altra merce, quali armi e droga. D’altra
parte la domanda non si affievolisce, anzi. Al mercato si chiede sempre
qualcosa di diverso, di più giovane o di più intrigante. Abbiamo quindi di
fronte due fenomeni: da una parte la potenza di fuoco delle criminalità e delle
mafie internazionali il cui unico obiettivo è fare soldi, e dall’altra una
sessualità maschile che non si preoccupa minimamente di chiedersi se la persona
che ha di fronte è un bambino o una bambina, e se la persona è consenziente.
Qui non parliamo di sex workers, che è altra cosa. Qui parliamo di riduzione in
schiavitù di persone e di altre che ne usufruiscono pagando.
Le persone
trans fanno parte di questo mercato, e negli ultimi tempi è accresciuto il
numero in maniera consistente. Perché, naturalmente, c’è maggiore richiesta.
Fornire i numeri è impossibile. Si dice che circa il 17-20% delle persone su
strada siano trans.
Partendo
dalla sua esperienza, quali sono le difficoltà che le persone transgender migranti devono affrontare?
Serve un po’
di storia per arrivare all’oggi. In passato le persone trans che venivano in
Europa, avevano un sogno. Arrivare nelle capitali dello spettacolo e della
moda, soprattutto Milano e Parigi, e avere successo. Magari si prostituivano
anche, ma all’interno di un progetto e di una fascinazione. Inoltre allora in
Europa era più facile trovare dei chirurghi per soddisfare il proprio
desiderio, la trasformazione del proprio corpo.
Le trans pioniere,
che si erano buttate nell’avventura per prime e che magari a un certo punto erano
tornate in patria, aiutavano le giovani prestando soldi per il viaggio e fornendo
gli indirizzi giusti. Non a gratis, certo, ma dietro una sorta di percentuale
che si materializzava in genere in un regalo d’oro. Ma era un onorevole
accordo, quasi in amicizia.
Poi le cose
sono cambiate e sono subentrate le organizzazioni criminali. Oggi si recluta
nelle favelas, nei paesini più isolati, via internet e si promette una vita
facile e proficua. Molte devono scappare dalla persecuzione della gente e della
polizia in quanto persone trans, e dopo minacce e ferimenti sono disposte a
tutto pur di andarsene. Magari non si nasconde che c’è di mezzo la
prostituzione, ma si parla di locali, di clientela perbene e ricca. Una volta
arrivate in Italia scoprono che c’è un pezzo di marciapiede – peraltro da
pagare –, orari terribili, il freddo,
minacce ai parenti e un debito infinito, che si rimpolpa sempre con nuove
richieste di soldi. Si paga tutto, e il triplo, dall’affitto del posto letto
alla spesa, agli ormoni illegali.
A quel punto
si è nel girone infernale.
Qualche trans forte riesce a ribellarsi e a contrattare
la chiusura del debito, altre riescono a trovare clienti che le aiutano, ma la
maggior parte resta intrappolata. Una volta uscite dal giro criminale, comunque
si trovano in un paese senza un permesso di soggiorno e senza prospettive di
lavoro. Continuano quindi a prostituirsi, in una situazione di estrema
fragilità e debolezza, sempre sotto ricatto.
Secondo lei,
lo stigma sessuale aggrava le loro già critiche condizioni?
La nostra
non è una società per persone trans, lo vediamo tutti i giorni. Nelle scuole,
nei posti di lavoro, ovunque c’è pregiudizio e stigma.
Ma sulla strada sono
molto richieste, per paradosso è il momento in cui hanno un po’ di potere da
esercitare. Ma molte di loro vorrebbero fare altro, o comunque poter avere la
scelta di fare altro. O di gestire in proprio il lavoro sessuale.
Le andrebbe
di raccontarci come è nato il Progetto di accoglienza per persone trans vittime
di tratta e di sfruttamento?
L’associazione
onlus Ora d’Aria opera dal 1999 nel campo del contrasto alla tratta di esseri
umani, impegno che è possibile attuare grazie all’attenzione del Dipartimento
delle Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio, che da decenni
finanzia progetti di protezione e insieme a tutti gli enti coinvolti ha anche
elaborato un piani nazionale antitratta.
In
precedenza abbiamo seguito e protetto ragazze provenienti dall’Est Europa e
dall’Africa, incinte e con bambini piccoli. Un giorno la Questura di Roma
chiese se potevamo accogliere persone trans, perché anche a loro era palese che
esisteva una discriminazione. Non vi era un progetto dedicato a loro, e
l’inserimento nelle case sia per donne che per uomini presentava delle
criticità. E così come associazione abbiamo aperto le case per le persone trans
vittime di tratta.
Come sono
gestite le case di accoglienza per le persone transgender?
Al momento –
all’interno di un progetto di rete di cui è capofila la Regione Lazio, “Rete
Antitratta Lazio” - ospitiamo le persone trans in due
appartamenti attigui da 3 persone ciascuna, seguite da uno staff in cui sono
presenti anche operatori pari trans. Possono essere persone che sono appena
fuggite dalla strada, o che provengono da altri territori, dove non hanno
trovato una accoglienza o si trovano in pericolo perseguitate dalle
sfruttatrici.
All’inizio si cerca di fornire tutte le ospiti dei documenti, che
spesso sono stati loro sottratti, e si
pone grande attenzione allo stato di salute. Purtroppo nell’ultimo periodo
quasi tutte le ospiti scoprono di avere l’hiv e questo spiega quanta poca
prevenzione esista. Sono proprio i clienti a chiedere di non usare protezione,
disposti a pagare di più, e il sistema dello sfruttamento ovviamente non si
preoccupa della salute delle persone.
Il cambiamento
più faticoso all’inizio sta nel passare da una vita notturna a una diurna. Le
iscriviamo subito a un corso di italiano e appena possibile alle scuole medie
per ottenere la licenza.
Contemporaneamente si sceglie un corso professionale o
se vi è la possibilità, una borsa lavoro. Quest’anno abbiamo iscritto
una ragazza al Servizio Civile Nazionale. Sarebbe una bella vittoria ottenere
un posto. Quanto prima possibile, cerchiamo di costruire loro una vita in
autonomia, anche se sempre seguite dallo staff di progetto. Renderti
indipendente è più facile se hai una
relazione affettiva e un compagno. Quest’anno abbiamo celebrato la nostra prima
unione civile.
Grande attenzione poniamo alla questione del
genere, per cui vi è un accesso garantito al SAIFIP, il centro di riferimento
regionale presso l’Ospedale San Camillo di Roma. La scelta è personale: chi
vuole percorrere la strada
dell’adeguamento anagrafico, chi anche quello chirurgico. Le persone da noi devono sentirsi libere di
viversi come si sentono, non importa se transgender, bisessuali o gender
fluent. L’importante è che stiano bene con se stesse, e abbiamo l’opportunità
di crearsi una propria vita in serenità e legalità.
Ma è una strada
accidentata, piene di discriminazioni, criticità e rifiuti. Per le persone
trans vittime di tratta la discriminazione è doppia. Dalla loro hanno uno
spirito forte e indomito.
Quali iniziative
e quali politiche, nazionali o di governance transnazionali, dovrebbero essere proposte o implementate per contrastare la tratta delle persone transgender a scopo di sfruttamento sessuale?
Le politiche
necessarie sono le stesse per le donne e gli uomini e le persone trans vittime
di tratta: contrasto alla criminalità, informazione nei paesi di origine,
protezione nel nostro paese. Nella declinazione delle diverse attività, occorre
non discriminare le persone trans, che spesso non vengono credute e ritenute
affidabili nelle denunce, come se loro se la fossero andata a cercare. E
occorre tenere presente la loro specificità in tutto il percorso di protezione
e integrazione.
La vittima è una vittima, senza differenze di genere, identità
e orientamento. E va tutelata.
Grazie!