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COSTRUZIONI IDENTITARIE

L'identità di genere

a cura di Veronica Pinto

L'identità di genere, maschile o femminile, è una costruzione identitaria dai percorsi molto vari. Si tratta di un processo che ha origine nella primissima infanzia e prosegue per tutta la vita assumendo stabilità solo nell'epoca post-adolescenziale. Durante l'adolescenza, infatti, la questione identitaria assume carattere nucleare, fase di ridefinizione del Sé e dell'immagine di sé che si rimanda e che si percepisce. In questo periodo della crescita individuale si realizza una idea sempre più consapevole di se stessi che assume anche carattere sessuato in senso stretto. Questa fase di passaggio dalla vita infantile al mondo adulto, di cui si parla solo a partire dalla fine dell'800 e che, ancora oggi, in molte culture primitive non ha alcun valore normativo, oggi si costruisce per mezzo di sistemi molto diversi da quelli del passato. I sistemi e le gerarchie sociali di tipo collettivo facevano da substrato all'evoluzione dell'individuo entro la comunità, per mezzo di rituali iniziatici e fasi di celebrazione collettiva volti a sottolineare il passaggio da uno status sociale ad un altro. Questo passaggio assume, oggi, una connotazione decisamente più soggettiva ed individuale inserendosi poi in modalità sociali meno precise e definite. Di conseguenza, essere maschi o essere femmine oggi, assume un significato di maggiore instabilità sociale rispetto a quanto avveniva in passato. L'adolescente di oggi deve inserirsi in percorsi non più rigidamente organizzati (si stanno considerando la maggior parte delle società occidentali), bensì in aspettative di ruolo meno chiare che aumentano il livello di complessità e flessibilità. Se questo da un lato crea dinamismo e presumibilmente maggiore libertà individuale, dall'altro aumenta l'incertezza soggettiva, soggettività che risulta poco contestualizzata entro argini rassicuranti. L'ulteriore risvolto della medaglia sarebbe considerare questi argini come i limiti di una gabbia imposta dalla società alla personalità del singolo (si approfondisca, a questo proposito, la teoria Queer[1]).  
Parlare di identità di genere significa realizzare un discorso che concerne le aspettative relative all'essere maschio o all'essere femmina, entro determinati confini storico-culturali e psico-sociali. Non si tratta di un concetto meramente biologico[2], poiché non assimilabile al mero sesso di appartenenza riconosciuto alla nascita attraverso un atto prima medico, poi giuridico (da un punto di vista medico-biologico è osservabile fenotipicamente attraverso gli organi riproduttori esterni e geneticamente attraverso l'analisi del cariotipo, che in biologia identifica le femmine con cariotipo XX e i maschi con cariotipo XY). L'identità di genere riguarda strettamente aspettative di ruolo maschili o femminili entro una determinata cultura, la cui origine, definibile come identità nucleare di genere, si costituisce nella primissima infanzia, anticipando la consapevolezza della differenza anatomica dei sessi, già prima dei tre anni di età. Il fenomeno ha strettamente a che fare con il soggettivo sentirsi maschi o femmine ed è costruito a partire dal fatto che i genitori pensano al neonato come ad un essere sessuato (si pensi ad esempio, a quelle pratiche che genitori e parenti mettono in atto ancor prima che il bambino o la bambina nasca, attraverso l'acquisto di giochi, vestitini o l'allestimento della stanza con dei colori o delle forme considerate ad hoc per ciascun genere). Si tratta, inoltre, di un costrutto che ha a che fare con l'immagine di sé che si costruisce per mezzo del rispecchiamento nella relazione di base con i genitori. In definitiva si tratta di una costruzione che ha origine nella primissima infanzia e si fonda su un primitivo nucleo identitario che presenta sostanziali differenze di base tra maschi e femmine, differenze culturalmente connotate. Si potrebbe sintetizzare affermando che l'identità di genere rappresenta una costellazione di elementi che raccolgono in sé aspetti psicologici, interessi, valori e attitudini che sono associati in maniera univoca ad un sesso in base alle aspettative, ai ruoli e alle norme culturali di riferimento che ruotano attorno a quelle caratteristiche sessuate (Zammuner, 2000).  
 
Le influenze sociali degli stereotipi culturalmente definiti (ossia quella serie di ampie categorie che riflettono le impressioni e le convinzioni che gli individui appartenenti ad una certa cultura, posseggono su ciò che significhi essere maschi o essere femmine) sono osservabili nei bambini in tenera età, tra i due e i tre anni. Sono molti gli studi che hanno evidenziato come i bambini in questa fase siano in grado di compiere attribuzioni stereotipiche quando viene loro chiesto quali attività sono più propensi a fare maschi e femmine. Ad esempio: i maschi sono più adatti a giocare a calcio, a guidare la macchina, a lavorare fuori casa; le femmine sono più adatte a cucinare, a cucire, a fare acquisti. La capacità del bambino e della bambina di riconoscersi come maschi o femmine, dunque, è molto precoce. Già a partire dai diciotto mesi si assiste ad una primaria discriminazione di aspetti che interessano l'estetica culturale dell'appartenenza di genere (in particolare capelli, vestiti e accessori vari). Sono diverse le prove sperimentali che hanno evidenziato la capacità dei bambini di prendere il disegno giusto quando viene loro chiesto: "quale di questi bambini sei tu?". E alla stessa età si osserva anche la capacità di indicare un bambino o una bambina, proprio a partire da questi connotati estetici, osservando disegni o foto che li ritraggono. Tutto questo prima ancora che venga acquisita la capacità di discriminazione genitale (Levorato, 2002). Questo è, ovviamente, associabile non solo alle funzioni o alle caratteristiche estetiche, ma in particolare alle caratteristiche cognitive ed emozionali: i maschi sono forti, bravi in matematica, non piangono mai, sono schematici; le femmine piangono spesso, sono sensibili, brave in italiano, creative. In sostanza si osserva come bambini di due anni abbiano già interiorizzato qualche conoscenza sugli stereotipi di genere e sul ruolo sessuale (Schaffer, 1996). La capacità di associare caratteristiche di personalità alle femmine e ai maschi è osservabile già a partire dai cinque anni.
Nel corso dell'infanzia sono identificabili tre fasi relative all'acquisizione della nozione di genere:
 - L'appartenenza ad un genere è osservabile anche in tempi successivi quando, a partire dai due anni, i bambini riescono a discriminare il loro essere maschi o femmine.   - La stabilità di genere, invece, compare in quel periodo in cui il bambino e la bambina concretizzano che il sesso di una persona resta invariato per tutta la vita. Questo si osserva a partire dai quattro anni di età, fase in cui il bambino e la bambina sono in grado di stabilire se da piccoli fossero maschi o femmine, oppure, se una volta adulti saranno come la mamma o come il papà (più genericamente, saranno maschi o femmine).   - La costanza di genere, poi, consistente nel rendersi conto che il genere rimane lo stesso a dispetto delle apparenze, si osserva intorno ai 6-7 anni. A partire da questo periodo i bambini realizzano che una femmina rimane tale anche se ha tagliato i capelli o che un maschio rimane tale anche se ha i capelli lunghi, ad esempio. Questa acquisizione completa si verifica intorno ai 7 anni di età, nel periodo in cui si manifestano quei progressi cognitivi evidenziati anche dalle prove piagetiane di conservazione della materia. (Schaffer, 1996)Tra i fattori originanti l'evoluzione dei ruoli di genere, oltre quelli cognitivi, è possibile indicare anche i pari, la scuola o i contesti di apprendimento formale, informale e non formale, la cultura, i media e in particolare la famiglia. Si tratta pur sempre di una risultante multifattoriale (familiare, biologica, cognitiva, sociale ecc.).  Pur avendo la sua origine nella primissima infanzia, per proseguire fino alla preadolescenza, è durante l'adolescenza che lo sviluppo dell'identità di genere, con esso il bisogno di auto ed etero definizione, diventa preponderante. Già con la preadolescenza e per tutta l'adolescenza i ragazzi e le ragazze sono chiamati a gestire la serie di trasformazioni cui sono sottoposti sotto l'influsso ormonale puberale. A livello cognitivo l'adolescente acquisisce la capacità di rappresentarsi in una serie molteplice di opzioni possibili, cosa che aumenta il grado di incertezza e i conflitti sia intrapersonali, sia interpersonali. In questo periodo, il vissuto del rapporto con il proprio corpo riveste un ruolo centrale rispetto ad altri compiti evolutivi dello sviluppo e influenza in maniera diretta la definizione del genere, nonché la propria competenza nel relazionarsi con gli altri e nel costruire rapporti affettivi significativi. Secondo Gambini è possibile rilevare una forte correlazione tra la capacità dell'adolescente di accedere alla sessualità in maniera serena e la capacità di autodefinire il proprio genere (2007). Il contatto con gli altri, in particolare i coetanei, determina lo sviluppo dell'orientamento preferenziale verso relazioni più profonde e la costruzione di relazioni sentimentali svolge una funzione supportiva per la costruzione del concetto di sé. A tal proposito si può sottolineare come, proprio per questa particolare correlazione tra l'accesso sereno alla sessualità e la capacità di autodefinire il proprio genere, gli adolescenti che si identificano come omosessuali o bisessuali, in alcune particolari circostanze, anche a partire dai modelli rimandati e rimarcati fortemente dalla società, possano vivere una fase di confusione identitaria. Solo più tardi, con il passare del tempo, si accorgeranno di riuscire ad identificarsi chiaramente nel proprio sesso di appartenenza e che quella breve fase disforica di non riconoscimento della propria individualità e identità di genere ha a che fare più con la necessità di aderire ad un modello (coppia maschio-femmina), piuttosto che ad un non riconoscimento della propria identità generale e sessuale. Allo stesso modo, gli adolescenti che successivamente si identificheranno come transessuali, potranno vivere una prima fase in cui l'attrazione per il proprio sesso biologico li induca ad identificarsi come omosessuali (lesbiche o gay), individuando solo più tardi la strada più consona alla definizione personale e alla costruzione dell'identità personale. Nello sviluppo dell'identità sessuale e dell'identità di genere influiscono numerosi aspetti di ordine biologico, sociale, culturale, ambientale, emotivo. I cromosomi sessuali e l'assetto ormonale regolano lo sviluppo di caratteri sessuali primari e secondari[3]. Lo sviluppo puberale, nonché lo sviluppo della capacità riproduttiva sono elementi in grado di influenzare l'identità sessuale, il comportamento, gli atteggiamenti e l'orientamento sessuale. Si deduce, dunque, quante e in quale misura le più varie condizioni influenzino lo sviluppo dell'essere umano nelle sue componenti basilari, tra cui l'identità di genere. Sono vari i filoni di ricerca ad essersi interessati al modo in cui i bambini interiorizzano il concetto di genere. In particolare, la teoria dell'apprendimento evidenzia che la tipizzazione sessuale si verifica sulla base del rinforzo ricevuto. Sostanzialmente il comportamento adatto al proprio sesso, socialmente e culturalmente riconosciuto, viene premiato, enfatizzato, incoraggiato. Al contrario i comportamenti considerati inidonei sono puniti, sminuiti, ridicolizzati. Sono proprio i padri ad agire in modo differente nei confronti dei propri figli o delle proprie figlie contribuendo alla forte differenziazione di genere (Schaffer, 1996): ad esempio tendono a giocare più facilmente con i figli, rispetto a quanto non facciano con le figlie, soprattutto se si tratta di giochi come il calcio, la lotta, i soldatini e simili. In questo, molto spesso, la madre viene riconosciuta depositaria dei "segreti femminili" e dunque la figura genitoriale preposta a svolgere giochi come truccarsi, fare la mamma, fare le pulizie. Inoltre, i padri, sono soliti tollerare maggiormente comportamenti maschili delle figlie (fino alla preadolescenza) rispetto ad atteggiamenti e comportamenti femminili dei propri figli (sin dalla tenera età). Inoltre, discutere dei sentimenti è per i genitori più facile con le figlie che non con i figli. Questo modello si replica in maniera pressoché identica anche nel gruppo dei pari, che adottano atteggiamenti e comportamenti differenziati a seconda del sesso con cui si relazionano e hanno aspettative specifiche a seconda del sesso del soggetto con cui entrano in relazione (Santrock, 2008).
La teoria dell'apprendimento sociale ritiene l'imitazione un meccanismo fondamentale nello sviluppo del comportamento di genere. Si attribuisce un ruolo preponderante al modellamento da parte del mondo adulto: il bambino, osservando il mondo adulto che lo circonda e i propri coetanei, è incoraggiato a prestare attenzione selettiva agli individui dello stesso sesso adottando un modello di comportamento emulativo nei loro confronti. In base a questa teoria, i bambini non apprendono solo per rinforzo diretto, ma anche per rinforzo vicario (Bandura, 1977). Questa tipologia di rinforzo si realizza allorquando i comportamenti osservati e messi in atto da altri sono rinforzati. L'apprendimento, in questo caso, è di tipo indiretto. La cultura di appartenenza e i relativi processi di socializzazione svolgono un ruolo fondamentale nell'orientare la scelta di modelli sociali e culturali considerati in linea con il genere di appartenenza. Per verificare l'importanza e l'imponenza delle influenze sociali e culturali nello sviluppo degli stereotipi di genere, Schaffer (1996) rileva, attraverso un esperimento, come le persone reagiscano diversamente quando viene loro mostrato un neonato dal nome e dall'abbigliamento neutro se viene loro detto che si tratta di un maschietto o una femminuccia:
Nel primo caso reagiranno sottolineando le caratteristiche considerate tipicamente maschili ("Scommento che è un tipo tosto"; "Scommetto che è vivace"). Nel secondo caso reagiranno sottolineando le caratteristiche considerate tipicamente femminili ("Non è carina?"; "Secondo me è molto dolce e affettuosa"). L'approccio cognitivo ha ulteriormente approfondito la questione, affiancando ai processi del rinforzo e dell'imitazione, anche una serie di aspetti cognitivi. Il bambino non riceve passivamente le informazioni dall'esterno, ma le integra e le interpreta in maniera attiva applicandole selettivamente al comportamento personale e altrui. In questa ottica Kohlberg (1966) ritiene che l'identità di genere sia l'origine del comportamento che si associa al genere: le bambine imiterebbero i modelli femminili per una consapevolezza interna e spontanea di essere femmine e a partire da questa categorizzazione costruiscono parte della propria identità, così come i bambini (Levorato, 2002). Sono varie le ricerche che hanno evidenziato come bambini di tre anni, che risultano rispondere in maniera più corretta sulle prove dell'identità di genere, mostrino poi una più netta preferenza per i giochi propri del loro sesso. È tuttavia necessario sottolineare che questo senso di appartenenza così definito non si evidenzia in tutti i bambini per caratteristiche proprie, presumibilmente innate. Sin dalla tenera età, nell'età prescolare, si possono facilmente notare differenze interindividuali tra bambini e bambine appartenenti a gruppi pressoché omogenei. Alcuni di questi, infatti, mettono in atto in maniera più automatica dei comportamenti ritenuti dalla società aderenti al genere di appartenenza. Altri, invece, avranno comportamenti più sconfinanti, meno definibili: è il caso di quelle bimbe che vengono criticamente definite dei "maschiacci" e dei bambini che vengono definiti "docili e sensibili".  
Le teorie cognitive dello schema sessuale hanno cercato, invece, di combinare la teoria dello sviluppo cognitivo accanto a quella dell'apprendimento sociale. Partendo dal presupposto che uno schema è una vera e propria struttura cognitiva, ossia una rete di associazioni che guidano la percezione del singolo individuo (Santrock, 2008), lo schema di genere si struttura a partire da una serie di modelli da imitare. Esso compare per la prima volta quando i bambini iniziano ad avere cognizione di cosa sia adeguato al proprio genere secondo la cultura di riferimento: a partire da questa fase i bambini si rendono conto che esiste una differenza fra maschi e femmine e cominciano conseguentemente a classificare anche sé stessi. Al contrario, lo schema sessuale, è una struttura maggiormente complessa che si compone nel corso dello sviluppo e si caratterizza per una serie di elementi che si coordinano nel tempo (Martin, Wood, Little, 1990). Costrutti cognitivi e comportamenti si sviluppano non consecutivamente, bensì parallelamente; quindi l'osservazione dei comportamenti propri e altrui porta allo sviluppo di strutture di genere che a loro volta producono una consapevolezza in grado di indirizzare il comportamento (Schaffer, 1996). In maniera molto semplicistica si può pensare a quella fase in cui ha inizio l'autoriconoscimento di essere maschi o femmine: a prescindere dai reali desideri personali o dalle reali inclinazioni, si avrà la tendenza, per un periodo più o meno lungo, a mettere in atto comportamenti e ad operare delle scelte che abbiano strettamente a che fare con il proprio genere. Questo è tanto più evidente in bambini, pre-adolescenti e adolescenti che pur avvertendo una dissonanza tra ciò che desiderano e ciò che l'ambiente in cui vivono richiede, tendono ad accomodarsi alle aspettative di ruolo. Ad esempio: una bambina a cui piace portare i capelli corti, potrebbe adeguarsi al contesto facendoli crescere; un bambino a cui piace danzare, potrebbe accondiscendere a frequentare la scuola calcio per adeguarsi alle aspettative di ruolo.
Lo sviluppo dell'identità è condizionato fortemente anche dallo sviluppo affettivo e relazionale. Infatti, lo sviluppo del concetto di sé ha origine dai legami di attaccamento (Bowlby, 1969) con la formazione di modelli operativi interni, ossia rappresentazioni mentali delle relazioni intessute con le figure di attaccamento (genitori o altri significativi). Le rappresentazioni mentali hanno la funzione di veicolare la percezione e l'interpretazione degli eventi da parte del soggetto, dandogli la possibilità di prevedere e creare aspettative su ciò che succederà nella propria vita relazionale. La Ainsworth ha evidenziato il ruolo dei modelli di attaccamento sul comportamento infantile e sullo sviluppo del concetto di sé. Tali modelli sono: sicuro, insicuro-ambivalente e insicuro-evitante. Diversi sono gli studi che hanno sottolineato l'importanza degli stili di attaccamento nello sviluppo della funzione esplorativa, delle rappresentazioni mentali relazionali, della scelta del partner e del funzionamento di coppia, delle rappresentazioni mentali sui comportamenti di accudimento (Carli, 1995). Pur sottolineando la multifattorialità degli aspetti che incidono sullo sviluppo del sé e dell'identità di genere, diversi studi evidenziano l'importanza della qualità delle prime relazioni affettive del bambino.
Se è vero che l'identità personale non è un dato, ma una costruzione, quindi un processo che dura per tutta la vita, è pur vero che questa costruzione assume particolare rilevanza in certi specifici stadi dello sviluppo personale. In questo processo costruttivo entrano in gioco non solo le dotazioni naturali, bensì le relazioni intersoggettive cui l'individuo risulta esposto e di cui si mostra protagonista. Se la costruzione dell'identità assume, in tal senso, una forte connotazione sociale e relazionale, è pur vero che necessita di una spinta pedagogica. La costruzione della propria identità corrisponde in larga misura al processo formativo dell'individuo e basandosi fortemente su una relazione tra individui, queste relazioni avranno un carattere ancor più significativo a seconda del livello di consapevolezza e autonomia delle persone implicate. È inevitabile un riferimento agli stereotipi di genere e alla cultura del pregiudizio che caratterizzano ogni singola società e in molti casi entrano prepotentemente nel merito di quegli stessi processi di costruzione identitaria personale. Sostanzialmente, nella costruzione della propria identità e nello sviluppo di momenti critici di tale costruzione, gli stereotipi di genere e la cultura del pregiudizio hanno un peso non indifferente. Per molto tempo si è ritenuto che le categorie sociali, inclusi stereotipi e processi di stereotipizzazione, fossero l'esito di una attività di primario stampo cognitivo. Si ritiene, infatti, che le categorie sociali fungano da scorciatoia mentale nella gestione della realtà che, presentando un elevatissimo numero di stimoli, potrebbe risultare incomprensibile. In realtà, se da un lato questo è vero, dall'altro gli stereotipi generalmente associati alle diverse categorie sociali non vanno a determinare scorciatoie di pensiero, bensì atteggiamenti, comportamenti e disposizioni reazionarie verso una persona in funzione della sua effettiva o presunta appartenenza categoriale. Le categorie sociali e gli stereotipi precedono la formazione del pregiudizio, di cui rappresentano il versante cognitivo. E' opinione comune considerare i processi che inducono alla formazione di categorie sociali e relative immagini, ossia gli stereotipi, siano naturali ed abbiano una funzione neutrale, proprio perché attivate a livello cognitivo. In realtà, il rischio risiede proprio nell'uso che si fa di queste categorie sociali e della conseguente formazione di bias pregiudizievoli. Si può (e il più delle volte succede) incappare in inferenze scorrette che implicato un certo grado di distorsione cognitiva e che spingono ad assimilare ad un caso singolo i tratti generali di una specifica categoria. Il rischio dello stereotipo sta proprio nella forza che esso ha nel determinare la personale percezione dei casi individuali, costringendo la persona a deformarli fino ad accordarli con l'immagine generale precedentemente acquisita in maniera automatica e non pensata. Questa situazione si aggrava nel momento in cui viene articolato un giudizio di valore sulle immagini o le caratteristiche riconosciute come distintive di quella categoria, predisponendo uno spazio all'instaurarsi di un pregiudizio e della messa in atto di atteggiamenti e comportamenti ad esso fortemente legati. Si innesca, dunque, una catena causa-effetto di tipo lineare che vede il pregiudizio innestarsi su un giudizio valoriale, elaborato proprio a partire dai processi cognitivi puri. Si tratta di una modalità ipersemplificata con cui nella vita quotidiana si percepiscono persone o cose e che determinano la nostra interazione con esse. Ritenere che la categorizzazione sociale abbia esclusivamente aspetto cognitivo, piuttosto che valutativo, ha lo svantaggio di veicolare l'idea che non esista alcuna dimensione valoriale di fondo nel fatto che le persone vengano distinte a partire da macro-categorie di base. Ma questa distinzione in categorie non si ferma, purtroppo, ad un livello superficiale, bensì scende nel dettaglio determinando giudizi di valore. L'idea comune, che affonda le basi in una convinzione ingenua, è che sia possibile rappresentare la realtà sociale in maniera oggettiva e che sia sufficiente sospendere i giudizi di valore in merito. Questo atteggiamento ingenuo non rende conto del fatto che nella costruzione di qualsiasi categoria sociale e dell'immagine di essa, esiste sempre una dimensione soggettiva che ha carattere storico, culturale e sociale. Qualsiasi insieme di caratteristiche venga attribuita ad una certa categoria sociale dipenderà dal punto di vista che si è scelto di descrivere. Dunque, il puro livello di elaborazione cognitiva delle informazione è inesorabilmente intriso di componenti valutative. Non esiste un modo per elaborare in maniera neutrale o oggettiva la realtà. Non è possibile categorizzare, così come non è possibile entrare in relazione con il mondo. L'idea che la costruzione di categorie e stereotipi non influenzi i processi di costruzione identitaria, non rende conto dell'alto rischio di manipolazione che parte dal processo di elaborazione cognitiva per invadere poi, inevitabilmente, anche l'espressione di giudizi di valore. A tale annoso problema non esiste una soluzione, l'unica strada praticabile è quella della diffusione di una cultura delle differenze che diano spazio alle varie forme di espressione del Sé a valore costruttivo e non distruttivo. 
Quanto detto fino ad ora rende conto della serie di modalità intervenienti nella costruzione dell'identità di genere e di come la realtà sociale in cui si è immersi determini necessariamente una serie di processi che da un lato hanno il merito di semplificare alcune questioni, dall'altro possono operare un danno enorme complicando fino allo sfinimento la possibilità di autorealizzazione del singolo. Sostanzialmente se la costruzione dell'identità di genere ha esiti piuttosto positivi nelle personalità cisgender, ossia in quelle persone che si riconoscono pienamente (a prescindere dalle sfumature comportamentali, relazionali e di scelta personale) nel sesso che la natura gli ha assegnato e che vengono riconosciute dalla società a partire dal binarismo maschio-femmina, l'altro lato della medaglia è il rischio che la costruzione identitaria delle persone transessuali possa incorrere in esiti negativi, non tanto per il grado di sofferenza individuale, quanto proprio per l'altissimo tasso di stereotipia e pregiudizio che la società riserva a chi cerca di collocarsi nel mondo trovando la propria personale stabilità e serenità.
Essere maschi o femmine oggi sta assumendo caratteristiche nuove e questo cambiamento sociale deve poter offrire lo spazio per una revisione di quella che è l'idea della mascolinità e della femminilità. Si tratta di prendere atto che essere donna, eterosessuale, casalinga e mamma non è l'unica possibilità e che, dall'altro lato, essere uomo, eterosessuale, lavoratore autonomo o dipendente e padre non è l'unica possibilità di vivere una vita piena e consapevole. Esistono una serie di forme alternative, apparentemente nuove, anche se da sempre esistenti, per dare spazio ad una costruzione identitaria soddisfacente. Dare spazio ad una cultura delle differenze in tutti i contesti, in particolare in ambito educativo, offre la possibilità di rivedere il concetto di categoria e i relativi giudizi di valore. Categorizzare, inteso come dar nome alle cose, non è un problema in sé. Il problema risiede nel fatto che a partire da queste categorie si possa incorrere nel rischio di strutturare, cosa che è purtroppo già accaduta nella storia e tutt'oggi accade, una società basata sul pregiudizio e sulla discriminazione. Questo tipo di società implica una serie di ricadute sui processi di costruzione dell'identità di genere e sessuale, coinvolgendo tutti gli attori sociali e non solo alcune categorie. Si tratta di un problema del singolo che si realizza a livello socio-culturale e, pertanto, va tenuto strettamente in considerazione, non soltanto dai professionisti del settore, ma da chiunque entri in relazione più o meno diretta con bambini, pre-adolescenti ed adolescenti.

 
BIBLIOGRAFIA
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Bowlby J., Attachment and loss, London: Hogarth Press, 1969 (tr. It. Attaccamento e perdita, Boringhieri, Torino, 1972).
Carli L., Attaccamento e rapporto di coppia, Cortina, Milano, 1995.
Comelli D., Scilligo P., "Percezione di sé e relazioni familiari nell'omosessualità maschile", Psicologia, Psicoterapia e Salute, vol. 7, 1, pp. 79-114, 2001.
Erikson E.H., Identity and the life cycle, Northon, Neww York, 1980.
Gambini P., "Sviluppo fisico e sessuale e costruzione dell'identità di genere in adolescenza: risultati di una ricerca empirica", Psicologia, Psicoterapia e Salute, vol. 13, 3, pp. 349-369, 2007.
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Levorato M.C., Lo sviluppo psicologico. Dal neonato all'adolescente, Einaudi, Torino, 2002.
Martin CL, Wood CH, Little JK., The development of gender stereotype components, Child Dev. 1990 Dec;61(6):1891-904.
Santrock J.W., Child Development, 2008, (ed. It. a cura di D. Rollo, Psicologia dello sviluppo, McGraw-Hill, Milano 2008).
Schaffer H.R., Social Development, 1996 (ed. It. A cura di A.O. Ferraris, Lo sviluppo sociale, Cortina, Milano 1998).
Zammuner V., "Identità di genere e ruoli sessuali", In S. Bonino (Ed.), Dizionario di psicologia dello sviluppo, Einaudi, Torino 2000
1] La Teoria Queer è una teoria critica sul sesso e sul genere che ha avuto origine negli anni '90 in seno alla vasta letteratura sugli studi di genere e supportata dalle teorie femministe. Tale teoria si pone l'obiettivo di mettere in discussione la naturalità dell'identità di genere e dell'identità sessuale, affermando che esse sono interamente o in parte costruite dalla società. L'individuo, quindi, non può essere descritto realisticamente con il mero utilizzo di macrocategorie generali e antitetiche quali "uomo/donna", "eterosessuale/omosessuale" ecc. [2] Oltre l'aspetto genetico riconosciuto (cariotipo maschile o femminile e tutte le possibili intersezioni), negli ultimi vent'anni la scienza si è adoperata al fine di individuare uno o più geni che rendano conto dell'ipotesi di una sessualità cerebrale, generata sin dallo sviluppo fetale e che si realizza e viene rimarcata nel corso della esistenza dell'individuo. Queste ricerche sono state condotto a partire da due campioni: soggetti con evidente intersessualità e soggetti transessuali. [3] In biologia i caratteri sessuali sono le caratteristiche anatomiche che consentono di identificare un individuo come maschio o femmina, ossia i due sessi rintracciabili nelle specie a riproduzione sessuata. L'anatomia consente di distinguere fra caratteri primari e secondari. I primi sono quelli relativi alla presenza dell'apparato genitale di genere (ovaie, utero e sesso femminile; testicoli e sesso maschile). I secondi, invece, caratteri che compaiono successivamente, nel corso dello sviluppo, in quella fase della vita umana identificata con il nome di pubertà, a forte carica ormonale, e che si realizza nel corso dell'adolescenza.  I caratteri secondari maschili sono per esempio: la crescita dei peli e della barba, l'allargamento delle spalle e il rafforzarsi dei muscoli, l'ingrandimento del pene, dei testicoli e della prostata. I caratteri secondari femminili sono per esempio: la crescita dei peli del pube, la crescita del seno, l'allargamento del bacino, l'inizio delle mestruazioni. 
 

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