A cura di Cecilia Montella.
Remake dell'omonimo film del 1988, all'epoca diretto da John Waters, questo brillante musical riesce a rimanere attuale nelle tematiche trattate e fornisce spunti di riflessione su argomenti di stampo sociale, divertendo allo stesso tempo il pubblico. Siamo a Baltimora, anni ‘60, il sogno di molte adolescenti è quello di partecipare come pubblico danzante ad un seguitissimo show musicale televisivo condotto dall’amatissimo showman Corny Collins (James Marsden). La protagonista Tracy (Nikky Blonski) è figlia di Edna (John Travolta), una timida e dolcissima stiratrice, e di un negoziante di scherzi di carnevale stralunato (Christopher Walken). Tracy è un’adolescente afroamericana assolutamente a suo agio con il suo corpo, che oggi verrebbe descritto “curvy”; ha il ritmo nel sangue ed ama ballare più di qualsiasi altra cosa. Insieme all’amica Penny (Amanda Bynes), fantastica da sempre di diventare la star dello show e conquistare Collins. La famiglia di Tracy cerca di proteggerla da eventuali delusioni ma, mentre la madre cerca di scoraggiarla avendo lei stessa qualche chilo di troppo e qualche delusione alle spalle, il padre Wilbur non vuole che la figlia sacrifichi i suoi sogni per paura, e si schiera dalla sua parte. Il destino farà il resto, perchè uno dei volti femminili dello show dovrà essere sostituito e Tracy deciderà, nonostante i dubbi della madre, di partecipare ai provini: non solo li supererà, ma diventerà la star dello show impressionando il suo idolo di sempre, realizzerà il suo sogno e combatterà affinchè ragazzi afroamericani possano partecipare alla trasmissione. Il messaggio che la pellicola trasmette è chiaro: la bellezza non dipende da quanto pesi, ma da quanto tu ti senti a tuo agio con te stessa, anche e soprattutto quando molti non esiterebbero a darti della “cicciona”. Grasso è bello, ma anche magro, ma anche alto o basso o comunque siano le differenze dei nostri corpi, sempre, fatalmente condannati a non rispecchiare i canoni estetici dettati dalle riviste di moda, dal cinema o dalla televisione. Attualmente si parla spesso di body shaming, intendendo con questo termine una critica sull'aspetto fisico che una persona subisce da parte di altri, attraverso dei commenti denigratori. Il body shaming è una sorta di bullismo praticato su chi si azzarda a mettere in mostra il proprio corpo senza curarsi se questo sia conforme o meno agli standard. Chi lo riceve può subire delle notevoli ricadute, in quanto rischia di interiorizzare l’occhio critico con cui il pubblico diffamante le osserva; le persone vittime di body shaming, infatti, rischiano con maggiori probabilità di sviluppare disturbi alimentari, stati depressivi e l’ansia di apparire sempre al meglio, con notevoli conseguenze sul proprio benessere psicofisico Al body shaming si contrappone la fat acceptance, cioè la capacità di accettare i propri “chili di troppo” senza considerarli, appunto, di troppo, ma semplicemente un tratto della propria persona, come il colore degli occhi o il timbro della voce. La fat acceptance si oppone, inoltre, al body goal, all’obiettivo di ottenere uno specifica forma fisica (per esempio cominciando una dieta) che nega la legittimità di tenersi il corpo che già si possiede, senza l’ansia di doverlo trasformare in qualcosa di più accettabile. Grazie alla diffusione della fat acceptance e dei modelli “curvy”, ci si sta (forse troppo lentamente) rendendo conto che occorre imporre un cambio di paradigma, non solo estetico, ma anche e soprattutto etico. In ballo c’è l’autostima, la capacità di accettarsi, il diritto alla felicità di milioni di donne, giovani o mature, che non possono e non vogliono rispecchiarsi nelle foto di corpi perfetti, ma che desiderano guardarsi allo specchio senza sentirsi in colpa, felici delle proprie rotondità, come Tracy Turnblad, assolutamente e correttamente convinta che per essere belle e attraenti, la migliore cosa da fare non è una dieta, ma imparare a sentirsi belle e desiderabili nel corpo che ci ha regalato madre natura.