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Dalla perdita del figlio immaginato all'accettazione del “nuovo bambino”: bambini gender non-conforming e genitori.

Mano rosa


A cura di Camilla Esposito.    

Il genere è una caratteristica che connota intensamente la persona fin dalla nascita. Non ci viene attribuito un sesso alla nascita solo perchè il nostro sistema legislativo lo impone, ma anche e soprattutto perchè ciascuno di noi ha bisogno di identificare e riconoscere un bambino o una qualunque persona come uomo o donna, maschio o femmina. Tale connotazione risulta di fondamentale importanza per 'decidere' come entrare in relazione con un bambino, con una persona. Chiaramente ciò è ancor più vero per un genitore. Ecco perchè può essere molto complesso per i genitori di un bambino con Disordini della Differenziazione Sessuale (DSD) accogliere la richiesta, per necessità mediche, di dilazionare nel tempo l'assegnazione del genere: tali genitori dichiarano, appunto, particolari difficoltà nel relazionarsi ai loro bambini, esprimendo il bisogno di essere supportati nel sostenere questa “indeterminatezza” (Massara et al., 2012). Altro aspetto di grande complessità per i genitori di bambini e adolescenti gender non-conforming o transgender o con Disforia di Genere sta nell'accettare quella mancata corrispondenza del figlio reale con il figlio atteso e immaginato, come descrive bene uno stralcio tratto da Il mio bellissimo arcobaleno: Crescere un bambino di genere non conforme di Lori Duron: “Quando arrivò il secondo figlio maschio, Matt e io eravamo convinti che avremmo rifatto tutto daccapo (…). Pensavamo che i nostri due bambini in fin dei conti non avrebbero avuto interessi molto diversi. A uno sarebbe piaciuto il baseball, l'altro avrebbe preferito il calcio. A uno sarebbero piaciuti i LEGO mentre l'altro avrebbe preferito i modellini Hot Wheels. Ci aspettavamo che i loro gusti nelle “cose da maschietti” potessero essere un po' diversi. Quello che non immaginavamo era che a uno dei nostri figli potessero piacere i “giocattoli da bambine”, i “vestiti per bambine”, e che preferisse frequentare le bambine in generale. Mai, neanche in un milione di anni, avremmo potuto immaginare che avremmo avuto un bambino che dentro si sentiva una bambina”.
Anche Camilla Vivian, madre di un 'bambino in rosa', descrive un'esperienza positiva attraverso il blog e poi l'omonimo libro Mio figlio in rosa.
Ma le esperienze dei genitori non sono tutte vissute come positive, e anche quando lo sono hanno attraversato momenti di complessità. Alcuni genitori faticano ad accettare le caratteristiche dei propri figli, sono angosciati di fronte a questa condizione e forzano i loro bambini a comportarsi in modo più tipico. Altri genitori si sentono in colpa, sentendosi responsabili del comportamento atipico; temono di aver commesso errori educativi. Talvolta vengono così assorbiti dalla questione del genere che perdono di vista il figlio nelle sue caratteristiche globali e guardano ad ogni evento della vita attraverso le lenti della atipicità di genere. Per cui se il bambino mostra, per esempio, delle difficoltà scolastiche, esse vengono associate ad un isolamento dai compagni oppure all'angoscia legata alla sua identità di genere atipica. D'altro canto, però, queste credenze dei genitori non corrispondono a dati di realtà e favorisono una stigmatizzazione, favorendo una giustificazione e una deresponsabilizzazione del figlio, autorizzato a non affrontare le difficoltà. Tutto ciò può finire per confermare il sentimento di inadeguatezza e diversità che il bambino vive. È anche stato osservato come le reazioni dei genitori varino in base ad aspetti culturali e contestuali. 
Le reazioni genitoriali sono differenti, per esempio, in funzione del sesso assegnato alla nascita: rispetto ai comportamenti cosiddetti da “maschiaccio” manifestati da figlie con sesso femminile alla nascita, sembra esserci maggiore accettazione da parte della figura paterna, rispetto ai comportamenti da “femminuccia” manifestati dai figli con sesso maschile alla nascita. Questa differenza riflette il funzionamento degli stereotipi di genere nelle società occidentali, in cui i ruoli di genere per i bambini maschi sono definiti in modo più rigido di quelli delle bambine (Freeman, 2007).
Dallo studio di Gregor e collaboratori del 2015 sono emersi cinque temi chiave che si succedono nell'esperienza di questi genitori: (1) la perdita del figlio immaginato; (2) un processo di negazione o rimozione; (3) insicurezza su diagnosi e prognosi, dunque rispetto a quale sia la scelta migliore per lo sviluppo del figlio; (4) sentimenti contrastanti rispetto alla possibilità di cosentire al figlio la libera espressione di genere; (5) l'accettazione del “nuovo bambino” da parte dei genitori, ma anche di come gli altri, il contesto sociale, vedranno questo bambino.
È chiaro che quando si parla della presa in carico di bambini e adolescenti transgender e gender non-conforming è essenziale il coinvolgimento della famiglia. I genitori possono sentirsi spaventati e disorientati di fronte alle richieste dei propri figli di adeguamento tra identità fisica e identità di genere e possono aver bisogno di un proprio spazio in cui elaborare le emozioni e i cambiamenti cui andranno incontro. Accanto ad un sostegno più strutturato, quale può essere quello clinico, può essere utile per i genitori anche un'esperienza di condivisione e rispecchiamento con altri genitori che affrontano o hanno affrontato le loro stesse esperienze. Ne sono un esempio i libri e i blog sull'argomento, prima citati. Oppure la partecipazione a gruppi di auto-aiuto, come il gruppo Agedo, associazione che riunisce genitori e parenti di persone LGBT+.    

Riferimenti:
Duron L., (2013), Il mio bellissimo arcobaleno: Crescere un bambino di genere non conforme, Lit Edizioni Srl.  
Graglia M., Nadalin D. A. (2016), Disforie di genre. Attualità e prospettive, Rivista di Sessuologia, vol. 40, n. 2.  
Gregor C., Hingley-Jones H., e Davidson S. (2015), Understanding the Experience of Parents of Pre-pubescent Children with Gender Identity Issues., Child e Adolecent Social Work Journal, 32 (3), 237-246.  
Massara D., Manzon M., Cavarretta M. R., e Einaudi S. (2012), Crisalide e farfalla. Quale identità?, Terapia familiare, 98, 21-36.

 

 

 

 
 

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