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Universiadi di Napoli 2019: le tre donne che hanno lasciato un segno indelebile

Atlete in corsa durante una gara


A cura di Cecilia Montella  

A seguito della cerimonia di chiusura delle Universiadi di Napoli possiamo sicuramente dire che questi giochi universitari sono stati un grande successo per la città di Napoli e per l’Italia tutta: un successo organizzativo, con impianti sportivi meravigliosi, restituiti alla città, che rappresentano ora un prezioso patrimonio da tutelare e valorizzare, e soprattutto un successo di inclusione. 
Napoli è stata impeccabile nella sua bellezza e soprattutto ancora una volta è apparsa agli occhi del mondo come città aperta all’interculturalità.  
L’Italia dei tanti successi multietnici è arrivata sesta nel medagliere generale con 15 ori, 13 argenti e 16 bronzi, ed è risultata l’unica nazione europea nelle prime 10 del medagliere generale finale. La voglia di interculturalità, di fratellanza e unità dei popoli arriva da questi XXX giochi olimpici universitari come una ventata d’ossigeno su un mondo profondamente logorato dagli egoismi e dagli individualismi; di fondamentale importanza si è rivelata la questione del superamento delle disparità di genere nel mondo dello sport e centrale la lotta ad ogni forma di discriminazione di genere e all’omotransfobia. 
La svolta è arrivata dalle atlete stesse che hanno preso parte ai giochi e che hanno lanciato al mondo un segnale fondamentale di inclusione ed equità. Ecco brevemente le storie di tre atlete protagoniste delle Universiadi, che si sono distinte, oltre che per i risultati ottenuti in campo, soprattutto per aver veicolato una cultura improntata alle pari opportunità ed all’uguaglianza di genere.  
Layan Ragab, Arabia Saudita
"La 30a edizione delle Universiadi estive è un punto di svolta". Ne è sicura Layan Ragab, 18 anni, tennista dell'Arabia Saudita, una delle cinque atlete della delegazione saudita sul Golfo fino al 13 luglio. Come darle torto: fino a 10 anni fa, le donne saudite non potevano praticare alcuno sport, se non privatamente. Ora Layan rappresenta il proprio Paese a Napoli.
Una vera e propria sliding door apertasi grazie alle politiche sportive volute dal principe Mohammed bin Salman, parte integrante del suo progetto Vision 2030 che punta a dare all'Arabia Saudita una nuova immagine internazionale di sé. Tutto ha avuto inizio con il permesso concesso alle donne, nel 2018, di assistere ad eventi sportivi allo stadio da sole, anche se con diverse restrizioni. Ora Layan si gode il suo primo evento internazionale. Nonostante la sconfitta per 6-0, 6-1 sul campo del Tennis Club Napoli, proprio sul lungomare, ammette che l'esperienza è stata grandiosa. "Questa volta più che mai partecipare è stato più importante del risultato. 
Si tratta del mio primo torneo all'estero e sono sicura che non sarà l'unico". Ma Layan è consapevole che non tutti sono pronti al cambiamento, nel suo Paese, non solo tra gli uomini ma anche tra le stesse donne. "Ciononostante, per la mia generazione questi progressi sono importanti, li attendevamo. Vogliamo fare sport, viaggiare, conoscere altre culture e le altre atlete ci possono insegnare molto. È importante per crescere sia come sportiva che come persona". La sua carriera è appena cominciata, avendo cominciato a giocare a tennis appena sei anni fa. Studia marketing all'università e sa che la racchetta potrà essere lo strumento con il quale potrà conoscere il mondo. La sua presenza qui è simbolo di qualcosa che va ben al di là delle righe che delimitano il campo da tennis.  
Dutee Chand, India
Anche Dutee Chand, 23 anni, ha raggiunto un risultato storico per la sua carriera e per il suo Paese diventando la prima indiana a conquistare un oro nell'atletica femminile alle Universiadi. Per il suo successo nei 100 metri si sono scomodati perfino il primo ministro indiano Narendra Modi e il Presidente Ram Nath. Chand aveva già vinto la medaglia d'argento nei 100 metri ai Giochi Asiatici, il suo prossimo obiettivo sono i Giochi Olimpici del 2020. Ma l'indiana non è solo un'atleta tra le più brave in patria: è anche un punto di riferimento della comunità per i diritti gay essendo stata la prima a rivelare di avere una relazione omosessuale. "Essere innamorati non è un crimine", ha detto. La decisione della Corte Suprema indiana del 2018 di depenalizzare l’omosessualità le ha dato coraggio per fare coming out e parlare pubblicamente del proprio orientamento sessuale.
Chand è diventata, così, la prima personalità sportiva del suo Paese di un certo spessore a rivelare il proprio orientamento sessuale gay. Il prezzo da pagare è stato alto: i suoi compaesani l'hanno ripudiata, nel villaggio. I genitori, due tessitori analfabeti, avrebbero voluto che Chand e i suoi sei fratelli e sorelle seguissero le loro orme anche se si sono resi conto che l'atletica leggera l'avrebbe portata più lontana. A 16 anni è entrata in un programma di allenamento federale ed è diventata rapidamente campionessa nazionale. Prima di vincere sulla pista dello stadio San Paolo, Dutee ha dovuto combattere per affermare le proprie ragioni in un'aula di tribunale per ottenere di gareggiare tra le donne. Questo a causa dell'alto livello di ormoni androgeni nel suo corpo riscontrato nel 2014. Un fenomeno, conosciuto come iperandrogismo, che la accomuna alla campionessa del mondo degli 800 metri, la sudafricana Caster Semenya, che difende apertamente. Ecco perché la sua vittoria per molte persone va al di là del semplice orgoglio patrio.
"Ho raccolto tutto il mio potere e tutto il mio coraggio per parlare ad alta voce per dare l'esempio alle altre persone affinché possano parlare da sole ed apertamente di se stesse”, dichiara Chand.  
Daisy Osakue, Italia
Quella di Daisy Osakue nel lancio del disco è la prima medaglia dell'atletica azzurra alle Universiadi. La piemontese, che studia criminologia alla Angelo State University, in Texas, ha conquistato l'oro con il primato personale di 61,69, allungando la gittata di 34 centimetri rispetto al 61,35 che aveva realizzato nella stagione del college USA. Quella della pedana del San Paolo è la settima misura italiana di ogni epoca. Nata a Torino da genitori nigeriani, la sua vittoria ha anche un valore simbolico. Solamente un anno fa, fu presa di mira da alcuni uomini che le lanciarono un uovo dall'auto colpendola ad un occhio, mettendone a repentaglio la vista. L'incidente l'ha quasi costretta a saltare il Campionato Europeo di Atletica Leggera di Berlino nel 2018 ma, 10 giorni dopo l'attacco,
Osakue è riuscita a partecipare arrivando quinta. Osakue è diventata nel frattempo una paladina dei diritti civili e dell'antirazzismo italiano. Rifiuta l'etichetta di "italiana di seconda generazione":
Di parità di genere nello sport e di lotta all’omotransfobia si è anche discusso l’11 luglio al Villaggio degli atleti: è stata istituita una tavola rotonda, momento di riflessione e confronto importante e attualissimo, voluto dalla FISU, in presenza di Manuela Di Centa, con atleti, tecnici, dirigenti internazionali, giunti a Napoli per questi giochi universitari. La UISP, Unione Italiana Sport Per tutti, Arcigay  Antinoo di Napoli, la Fondazione GIC, Genere Identità e Cultura, il Centro Sinapsi dell’ Università Federico II e il Dipartimento di scienze motorie e del benessere dell’Università Parthenope con il supporto del Comune di Napoli hanno partecipato alla tavola portando alla discussione un contributo sintesi del lavoro svolto insieme in questi anni sul tema della parità di genere nello sport, una “carta di Napoli”, un decalogo  per il contrasto alle discriminazioni di genere nel mondo dello sport.
Questi stessi enti sono stati promotori dell’evento “Schiaccia il pregiudizio: un canestro contro l’omofobia”, che si è tenuto nel pomeriggio del 12 Luglio, coinvolgendo la cittadinanza tutta in un simbolico canestro contro il pregiudizio.  

 

 

 

 
 

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