1. Contenuto della pagina
  2. Menu principale di navigazione
  3. Menu di sezione
 

Contenuto della pagina

OMOGENITORIALITA’ E FUNZIONI GENITORIALI: COSA VUOL DIRE ESSERE MADRE O PADRE?

mani di genitori e figli


A cura di Cecilia Montella

“Ogni bambino ha bisogno di una mamma ed un papà”, “E’ necessario che i bambini abbiano una figura maschile ed una femminile di riferimento”, “due mamme o due papà non possono essere genitori”: queste, come molte altre, sono le frasi che spesso si ascoltano nel momento in cui si tratta il tema tanto attuale quanto delicato dell’omogenitorialità.
Ma cosa vuol dire essere genitori? E soprattutto, il genere o l’orientamento sessuale dei genitori può influenzare le loro capacità di essere madri o padri “sufficientemente buoni”?

Oggi sappiamo che essere genitori non significa soltanto mettere al mondo dei figli e neppure semplicemente dare cure a qualcuno che ne ha bisogno. Esercitare una funzione genitoriale adeguata vuol dire fornirsi di uno spazio mentale e soprattutto relazionale dove un “tu” può nascere in sicurezza e, piano piano, sentirsi se stesso perché autonomo e perché pensato da qualcuno.
La funzione genitoriale comprende una serie di sotto-funzioni:
• Provvedere all’altro: conoscerne l’aspetto, il funzionamento corporeo, mentale e le emozioni;
• Garantire protezione: creare interazioni e relazioni che garantiscano l’accudimento e rispondano ai bisogni di protezione;
• Entrare in risonanza affettiva con l’altro;
• Garantire regolazione: mettere l’altro nella condizione di regolare i propri stati affettivi e i propri comportamenti;
• Dare dei limiti, una struttura di riferimento, un format (cioè esercitare una funzione normativa);
• Garantire una funzione transgenerazionale, immettere l’altro in una storia, in una narrazione dalla quale emerge una continuità simbolica o generazionale.

Come possiamo osservare, nessuna di queste funzioni si riferisce ad un genere specifico, anche se esse sono state storicamente e stereotipicamente associate ai due generi differenti. Per esempio alla “maternità” viene solitamente attribuita la funzione di cura e di soddisfacimento dei bisogni del bambino, mentre alla “paternità” viene attribuita una funzione più normativa.
Questa divisione dei “ruoli genitoriali”, però, si fonda sullo stereotipo per cui la donna sarebbe accogliente, sensibile, empatica e quindi capace di soddisfare i bisogni del bambino, mentre l’uomo forte, autoritario e quindi avrebbe il compito di stabilire le regole della famiglia e di farle rispettare. Come risaputo, tuttavia, gli stereotipi servono alla mente umana per semplificare la realità e forniscono una visione ristretta e parziale del mondo; per questo risulta importante riuscire a sganciare le funzioni e i ruoli dal genere di appartenenza dei genitori.
Una mamma, ad esempio, non è detto che sia “amorevole” e che si dedichi alla cura dei piccoli, come un padre non è detto che sia autoritario e normativo. Andando in questo senso anche gli aggettivi “materno” e “paterno” andrebbero spogliati dei propri significati: chi non ha mai sentito frasi del tipo “devi fare il padre, fatti rispettare!” oppure “è una donna molto materna, si prende cura degli altri”? Difficilmente questi aggettivi con le funzioni a loro annesse si potrebbero attribuire al genere opposto, definendo quindi un uomo “materno” o una donna “paterna”, eppure sappiamo che le funzioni genitoriali non hanno alcun legame biologico o “naturale” con il genere, ma solo una connessione culturale e sociale legata al ruolo e alle funzioni della madre e del padre.      

Le funzioni genitoriali, dunque, possono essere esercitate anche in contesti familiari in cui i ruoli non sono necessariamente legati a differenze di genere dei partners, come nel caso delle famiglie omogenitoriali. Due padri o due madri possono esercitare tutte le funzioni citate all’inizio, a prescindere dal loro genere e dal loro orientamento sessuale.
A sostenere tale ragionamento teorico subentrano anche le ricerche scientifiche: l’Associazione Italiana di Psicologia (AIP, 2011) ricorda che le affermazioni secondo cui i bambini, per crescere bene, avrebbero bisogno di una madre e un padre, non trovano riscontro nella ricerca internazionale sul rapporto fra relazioni familiari e sviluppo psico-sociale degli individui. Inoltre la maggioranza delle ricerche mostra come i figli dei genitori omosessuali abbiano uno sviluppo equilibrato ed adattato e buone relazioni con coetanei ed adulti in percentuale sovrapponibile a quello dei figli di eterosessuali, e non presentino un'incidenza maggiore di omosessualità o problemi legati all'identità di genere (Vaughan 2008, Tasker 2010).
Tutti gli autori sono concordi nel sottolineare come molti dei problemi che le famiglie omoparentali incontrano siano effetti secondari del pregiudizio. La stigmatizzazione che i bambini con due mamme o due papà e le loro famiglie possono subire è certamente un aspetto importante che influisce sul loro sviluppo e li può colpire sia direttamente, sia indirettamente, minando l'armonia e il buon funzionamento della famiglia. Il benessere psicologico personale del genitore omosessuale, che ha impatto immediato su quello del figlio, è comprensibilmente correlato al grado di dichiarabilità e di accettazione della propria identità nell'ambito della famiglia d'origine e dell'ambiente sociale e lavorativo, e, come per le famiglie monoparentali, al grado di sostegno familiare e sociale su cui può contare.
A questo riguardo sembra cruciale l'affermazione di Lingiardi (2007) su come una realtà sia più facilmente riconosciuta come normale quando è normata e, per fortuna, l’essere padri o madri omosessuali sta diventando un fenomeno sempre più visibile e normalizzato. Secondo i dati dell'Istituto Superiore di Sanità, in Italia sarebbero circa centomila i figli cresciuti da genitori omosessuali, in Francia più del doppio, negli Stati Uniti si stima che i genitori omosessuali siano tra i 6 e i 10 milioni, e circa 14 milioni i loro figli, compresi quelli nati da relazioni eterosessuali (Lingiardi 2007). La realtà oggi si presenta in modo multiformee non può più essere codificata o decodificata attraverso criteri orientati a definire come disfunzionalità tutto ciò che devia dalla standardizzazione normativa di un modello (quello coniugale nucleare di tipo eterosessuale) inteso come unico termine di comparazione. Risulta, quindi, necessario adottare una prospettiva pluralista, che faccia emergere la possibilità di classificare le molteplici forme familiari/genitoriali, all’interno di un’ottica inclusiva e non stigmatizzante, presentando la pluralità come valore, ricchezza, possibilità, e non come minaccia, disordine, crisi.
In un’ottica d’inclusione e di rispetto dell’altro, che possa trasformare la differenza in ricchezza è opportuno considerare le strutture concettuali e sociali non come rigide e precostituite, ma come adattabili e duttili in relazione alle trasformazioni sociali e culturali.

 

 

 

 
 

© 2013 - bullismoomofobico.it