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cura di Maria Cristina Maglia.
L’espressione di genere può essere definita come l’insieme degli
elementi (comportamenti, caratteristiche fisiche, modo di muoversi e di vestire)
associati ad un genere, che una persona adotta per esprimere e presentare se
stessa in un particolare contesto socioculturale.
E’ importante sottolineare che l’espressione di genere non coincide
necessariamente con l’identità di genere.
Da sempre esistono dei modelli di riferimento, degli ideali estetici e morali,
che definiscono l’espressione di genere. Essi non sono criteri assoluti, bensì
variano a seconda dei differenti contesti socioculturali e nel corso del tempo.
Di seguito proverò a descrivere le diverse evoluzioni che hanno caratterizzato
questa dimensione nel corso del tempo.
Ogni epoca storica è stata segnata da differenti modelli di espressione di
genere, sia maschile che femminile. In particolare, rispetto all’espressione di
genere femminile, una costante che è da sempre associata alla femminilità è la
cura del corpo: la forma fisica, la cura della pelle, il trucco, i capelli
sistemati..
Durante l’epoca rinascimentale, la femminilità e l’espressione di genere femminile da un
punto di vista fisico consistevano in forme corporee sinuose ed abbondanti:
fianchi larghi, seno prosperoso, capelli lunghi e ben curati, pelle chiara,
eleganza nei movimenti.
Nel corso del Novecento, invece, si sono susseguite differenti rivoluzioni
sull’ideale estetico femminile, talvolta divenendo opposti a quelli precedenti.
Ad esempio, negli anni ’20 si è diffuso l’ideale di donna magra, androgina,
muscolosa, con capelli corti, la cosiddetta “garçonne” definita in tal modo per
il taglio corto dei capelli, che per la prima volta nella storia possono essere
portati corti anche dalle donne.
Successivamente, negli anni ’30, tale ideale di bellezza viene sostituito dal
ritorno dell’ideale estetico della donna procace. In Italia il regime fascista
impone alla donna precise misure, una vera e propria politica del corpo:
l’obiettivo è quello di assicurare al paese una nuova generazione sana e forte.
In quest’ottica, le donne, in quanto garanti della famiglia, sarebbero state le
principali responsabili di tale avvento.
La magrezza femminile diventa per Mussolini un bersaglio da distruggere, per
far spazio alle forme sostenitrici della fertilità femminile.
In generale, un aspetto importante dell’espressione di genere femminile
riguarda l’abbigliamento; gli antichi calzoni maschili sono stati per gran
parte della storia passata inaccessibili alle donne, le quali sono
tradizionalmente legate alle gonne lunghe. Da questo punto di vista, una vera e
propria rivoluzione è stata successivamente introdotta da Coco Chanel, la quale
abbandonando i corpetti e le gonne che avevano vestito fino ad ora le donne,
per la prima volta lancia i pantaloni femminili. Un capo d’abbigliamento da
sempre riservato alla popolazione maschile, per la prima volta viene indossato
anche dalle donne.
Facendo un lungo passo indietro, possiamo trovare in Giovanna D’Arco un modello
di donna all’avanguardia rispetto all’epoca medievale in cui è vissuta.
L’eroina nazionale francese è considerata una vera e propria ribelle, che nel
1400 ha saputo avere la tenacia di ribellarsi al cliché femminile che legava la
donna alla cura del corpo, della casa e della famiglia. Per la prima volta, una
donna guerriera, capace di creare un esercito e di tenerlo a regime, dettandone
le regole. Ancora,
Giovanna D’arco rappresenta il primo vero esempio di donna che, al fine di
vivere in maniera autentica, in linea con i propri ideali rigetta gli antichi
stereotipi femminili, facendo voto di castità e rinunciando alla sessualità e
soprattutto alla maternità, per l’epoca considerata fondamentale per poter
essere una donna socialmente accettabile; indossa abiti considerati maschili,
porta capelli corti, guida un esercito composto da soli uomini, insomma rompe
definitivamente l’immagine della donna come grande madre dedita alla famiglia e
della donna fatale appassionata
dell’estetica (così come era concepita all’epoca).
Se Giovanna D’arco rappresenta un’eroina medievale esemplare nella storia
dell’emancipazione femminile, a 360 gradi, è importante considerare come oggi si
siano modificati i modelli di espressione di genere e anche gli strumenti di
espressione di genere. Pur vivendo nel 2020, a volte si ha ancora la sensazione
di avere un piede nel medioevo.
I social network, in particolare Instagram,
costituiscono una grande lente d’ingrandimento sulla realtà attuale.
Instagram si basa sull’utilizzo di immagini, ed è proprio l’immagine che oggi
diventa un’importante strumento di espressione di sé, veicolo di messaggi
sociali fondamentali per promuovere la “body positivity”, e favorire la rottura
degli schemi di espressione di genere convenzionali.
La smania di rincorrere standard fisici di magrezza e pelle “perfetta”,
costantemente ritoccate da effetti e filtri vari per eliminare le imperfezioni,
talvolta estremi, stanno pian piano lasciando spazio a modelli molto più
naturali. Un esempio sono le cosiddette modelle “curvy”: Ashley Graham è una di
loro. Recentemente ha mostrato sui profili social scatti del suo corpo dopo la
gravidanza, che non nascondevano le smagliature ed altri dettagli spesso
considerati caratteristiche imbarazzanti, soprattutto per le donne, anzi. Anche
il momento della gravidanza, e le trasformazioni fisiche che comporta, sono
momenti condivisi, non nascosti allo sguardo altrui, e le immagini postate dalla
modella testimoniano una bellezza senza filtro, come fonte d’ispirazione e di
rassicurazione per tutt*.
E’ sempre più frequente vedere foto su profili Instagram di ragazze che
promuovono espressioni di sé e forme di bellezza molto più naturali e spontanee,
con tanto di peli su gambe e ascelle in bella vista. Un esempio è Morgan
Mikenas, una fitness blogger, che dal 2016 pubblica sul suo profilo foto in cui
fa sfoggio dei suoi peli, rappresentando una fonte d’ispirazione ed incitando
alla naturalezza, al sentirsi ed essere sé stess*, senza necessariamente
conformarsi alle norme sociali condivise.
Instagram a volte funge da censore rispetto a ciò che può essere o meno
“normale” mostrare: nel 2015 il social
ha rimosso una foto di una ragazza che mostrava il pantalone macchiato di
sangue mestruale, poiché avrebbe violato le regole della community. L’obiettivo
del post era, appunto, mostrare come le mestruazioni siano ancora un argomento
fortemente stigmatizzato.
Per quanto riguarda il genere maschile, esso è da sempre associato ad un corpo
muscoloso indice di prestanza fisica. Nel 1994, in un articolo sul quotidiano
britannico “The Indipendent”, il giornalista Mark Simpson ha coniato il termine
“metrosexual” per riferirsi ad un nuovo ideale di mascolinità: oltre all’uomo
virile e fisicamente muscoloso, si aggiunge un modello di uomo particolarmente
interessato alla cura di sé. In precedenza la cura del corpo maschile veniva
stigmatizzata poiché considerata una caratteristica esclusiva degli uomini
omosessuali. Attualmente la categoria “metrosexual” è considerata superata, ma
restano gli uomini che scelgono di depilarsi e di prendersi cura di sé, senza
essere necessariamente vittima di pregiudizi ed etichette fuorvianti. Da parte
del genere maschile recentemente sta aumentando il ricorso ai trattamenti
estetici: si truccano, praticano la skin care, ricorrono ad interventi di
chirurgia plastica.
Truccarsi, indossare occhiali glitterati, smalto, pellicce, pochette e altri
capi d’abbigliamento convenzionalmente considerati femminili, non sono una
questione di genere e non è giusto che i ragazzi che scelgono di farlo debbano
essere derisi in quanto considerati “meno uomini”.
Tutto ciò fa parte dell’espressione del proprio essere, il nostro corpo è la
tela su cui scegliamo di dipingere con i colori che vogliamo, al di là
dell’identità di genere, e non devono essere delle rappresentazioni sociali
irrealistiche e limitanti a condizionare e violare il diritto alla libertà di
espressione individuale.