A cura di Giuliano Ficca.
Se volessimo definire cos’è un
patriarcato potremmo dire che è un sistema sociale in cui gli uomini detengono
principalmente il potere e predominano i ruoli di leadership politica, autorità
morale, privilegio sociale e controllo della proprietà privata. Sebbene
innumerevoli conquiste fatte nel corso dei secoli, la nostra società sembri
ancora funzionare secondo i meccanismi di questo arcaico ordinamento provocando
fenomeni di disparità di genere come nel mondo del lavoro.
Le donne, infatti, continuano ad avere salari minori, lavori precari e maggiori
difficoltà a conciliare la vita privata con il lavoro senza dimenticare i
pregiudizi e gli stereotipi che investono molte donne in carriera, del tipo:
“chissà cosa ha fatto per ricoprire quel ruolo”. Eppure, si può essere donna e
ricoprire cariche importanti senza dover essere scesa necessariamente a
compromessi e si può essere lavoratrici e genitori allo stesso tempo senza
dover scegliere tra un ruolo o l’altro. In questo ambito si dovrebbe
intervenire con Politiche lavorative e aziendali che garantiscano gli stessi
stipendi e gli stessi privilegi per entrambi. A tal proposito, la Camera dei deputati lo scorso 25 Maggio ha
adottato una strategia nazionale per la parità di genere, la quale si propone
di raggiungere entro il 2026 l'incremento di cinque punti nella classifica
dell'Indice sull'uguaglianza di genere elaborato dall'Istituto europeo per
l'uguaglianza di genere (EIGE), che attualmente vede l'Italia al 14esimo posto
nella classifica dei Paesi UE-27. La strategia nazionale si basa su 5 punti
saldi: Incremento dell’occupazione femminile, rendere più facilmente
conciliabile la vita privata con il lavoro, favorire l’imprenditoria femminile,
aumentare il numero di donne al vertice all’interno delle istituzioni e
imprese, combattere ogni forma di violenza e discriminazione di genere. Allo
stesso tempo, sarà necessario l’ausilio delle istituzioni che dovranno portare
avanti campagne di sensibilizzazioni e formazione all’interno dei luoghi di
lavoro, in particolar modo, le Università italiane potrebbero impegnarsi nel
portare avanti queste iniziative adempiendo al diritto e dovere della terza
missione impiegando le proprie risorse non solo all’interno degli atenei ma
anche sul territorio nazionale.
«Non
è vero che dobbiamo scegliere tra la carriera e la famiglia. Conosco gli
ostacoli che le donne affrontano. Ma dobbiamo pretendere un accesso equo al
mondo del lavoro e poter allo stesso tempo crescere i nostri bambini» - questo
è che ciò che affermò in una conferenza Ursula von der Leyen, Presidentessa
della Commissione Europea e madre di cinque figli, la quale ha posto come
obiettivo per l’UE di sconfiggere il gender gap entro il 2030. La
discriminazione e la disparità si mostra anche nel linguaggio che utilizziamo
quotidianamente e al diverso modo in cui ci rivolgiamo alle figure
professionali maschili e femminili.
In Italia il dibattito è iniziato nel decennio 2010 con il tema delle
professioni o degli incarichi istituzionali indicati normalmente dal genere
maschile. Parole come “sindaco”, “ministro”, ma anche professioni a prevalenza
maschile come “ingegnere”, secondo il linguaggio inclusivo devono essere espresse
al femminile se è una donna a ricoprire il ruolo. La lingua è specchio della
società, e se oggi le donne possono accedere a determinati ruoli, allora è
giusto rendere sensata la concordanza grammaticale. Allo stesso tempo per le
bambine e i bambini del futuro sarà possibile pensarsi e immaginarsi in ruoli e
mestieri che fino a qualche anno fa erano prettamente destinati ad un genere
piuttosto che all’altro. La maggior parte del genere maschile continua a
mostrare una certa riluttanza e resistenza nei confronti di questa lotte
proseguendo la lunga tradizione di discriminazione nei confronti del genere
femminile e del loro ruolo all’interno del nostro sistema sociale. Molti uomini
allo stesso tempo si discostano da queste battaglie credendo che non gli riguardino,
ritenendole irrilevanti o perché si identificano nella controparte a cui sono
rivolti gli attacchi delle politiche o dei movimenti di protesta che cercano di
creare un mondo di pari opportunità per tuttз.
Nasce l’esigenza nella nostra società di formare uomini in grado di empatizzare
con le lotte che si stanno portando avanti e ciò lo si può fare sin
dall’infanzia con percorsi educativi creati ad hoc per ogni istituto e grado di
formazione, per far sì che queste battaglie non restino solo delle donne o per
le donne ma diventino di tutti attraverso un processo di consapevolizzazione
del proprio ruolo all’interno del contesto sociale in cui si è inseriti. A
partire dai bambinз sarebbe necessario iniziarlз ad una cultura delle
differenze e dell’inclusione sin da subito attraverso giochi o materiale
didattico di qualità eliminando quei testi dove ancora vengono riportati
stereotipi culturalmente condivisi come “La mamma cucina mentre il papà legge
il giornale”. Inoltre, bisognerebbe lavorare sulle emozioni dellз bambinз e
dimostrare che frasi stereotipate come “non piangere come una femminuccia” non
rispecchiano il dato di realtà perché tuttз dovrebbero essere liberз di poter mostrare le proprie emozioni.
Il lavoro con lз bambinз ci garantirebbe un futuro migliore, mentre quello con
gli adulti ci permetterebbe di attenuare i fenomeni di violenza e
discriminazione di genere nel presente. Del resto, ogni uomo adulto dovrebbe
essere messo dinanzi a queste tematiche, ciò è necessario soprattutto con chi è
stato carnefice di queste violenze. All’interno degli istituti di pena dovremmo
porci come obiettivo quello di recuperare l’uomo maltrattante implementando i
percorsi psicologici e di sensibilizzazione per condurli a percorsi di
riflessione e di responsabilizzazione rispetto ad atteggiamenti e comportamenti
comuni e largamente diffusi e deleteri per la condizione femminile all’interno
della nostra società.
Questa
non è più una lotta di sole donne ma di tuttз noi, è giunto il momento che la
nostra società cambi e accolga tutte le differenze di cui ognunə è portatore,
permetta a tuttз di giocare alla pari e di crescere senza nessun tipo di
condizionamento, violenza, discriminazione e avere l’opportunità di determinare
il proprio futuro.