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Donne e lesbiche: (in)visibili, (in)nominabili e (mis)conosciute.

Immagine della bandiera della comunità Lesbica


A cura di Daniela Scafaro.  

L’omosessualità femminile è stata avvolta lungo i secoli da una coltre di silenzio. All’origine di questa scarsa visibilità, il substrato machista ed eterosessista di cui la nostra cultura è impregnata e di cui forse l’espressione più eclatante sta in una certa difficoltà a concepire il lesbismo, o meglio, in una concezione della sessualità tra donne ad uso e consumo dell’uomo etero e delle sue fantasie (prevalente per lungo tempo nella rappresentazione narrativa e televisiva). Fin dall’antichità l’accento, nel bene e nel male, è sempre stato posto sulle relazioni omosessuali maschili. Nell’Antica Grecia l’omosessualità maschile non creava scandalo e gli si attribuiva al contrario un valore simbolico, quasi inesistenti, invece, fonti che rimandino all’amore tra donne; le leggi ottocentesche sull’omosessualità non includevano tout court quella femminile e quando lo facevano erano applicate molto di rado; durante il regime nazista le donne lesbiche non venivano identificate come tali ma classificate come asociali. Questo, tuttavia, non segnala una migliore condizione delle donne lesbiche, anzi gravata dal doppio stigma dell’appartenenza a due minoranze, dallo statuto di subordinazione inestricabilmente connesso all’esser in primis donne e già per questo, non degne di visibilità.
Ed è proprio alla luce dell’appartenenza al genere femminile e alla repressione che storicamente lo contraddistingue - minore libertà di poter scegliere il proprio “destino”, esprimere il proprio pensiero, vivere liberamente lo spazio urbano etc. - (Zanotti, 2005), che si può provare a leggere un certo “ritardo” nell’elaborazione di un movimento di rivendicazione e visibilità lesbica. Inoltre proprio l’intreccio tra questi aspetti identitari ha reso necessario un maggiore sforzo di elaborazione per rivendicare le specificità della propria condizione pur nel riconoscimento di punti di convergenza con altre identità e movimenti come quelli femminista e gay. In Italia è a partire dagli anni settanta che nascono i primi collettivi lesbici (Rifiutare, Artemide ed Identità Negata a Roma; Donne Omosessuali a Milano; Brigate di Saffo a Torino etc.).
Nel 1981 nasce il C.L.I., Collegamento Lesbiche Italiane, con l’obiettivo di fare rete e creare occasioni di incontro e riflessione politica tra donne lesbiche anche tramite la pubblicazione di un bollettino - poi rinominata Bollettina - opuscoli, saggi e tanto altro sul tema del lesbismo. Con questi movimenti si comincia a mettere a fuoco la questione della visibilità come necessità, presupposto ineludibile per dare valore e riconoscimento sociale e politico alla propria identità, per poter rivendicare i propri diritti.
Rendersi visibili, nominabili è l’unico modo per non ricadere nell’ombra dei secoli passati e per dare voce alle peculiarità di un percorso storico-identitario che differisce da altri, anche all’interno della stessa comunità LGBT+.
Ecco perché è importante dedicare una giornata dedicata alla Visibilità Lesbica (26 aprile). Si tratta di una ricorrenza per ricordare che esistono donne che amano altre donne, per liberarsi dall’ombra, esigere riconoscimento e dignità.  

Riferimenti.

Zanotti, P. (2005). Il gay. Dove si racconta come è stata inventata l'identità omosessuale. Le terre.

 

 

 

 
 

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