A cura di Maurizio Riccio
“La Costituzione Italiana stabilisce il principio delle pari
opportunità, ovvero: il divieto di discriminazione tra uomini e donne. Ma è
davvero così? Una donna gode degli stessi diritti, e rispetto, di un uomo
eterosessuale?”
Sono queste le parole che abbiamo scelto di utilizzare per
la nostra campagna social dedicata a Marzo Donna e sono le stesse parole che
vogliamo riproporvi: una donna ha realmente le stesse opportunità di un uomo?
Come riportato dal portale web del Ministero del lavoro e
delle politiche sociali, la crisi economica riscontrata a livello
internazionale ha avuto forti ripercussioni sulle categorie più deboli.
Indovinate
qual è la maggiore categoria colpita? Quelle delle donne, ovviamente.
Le Consigliere di parità hanno lo scopo di promuovere e
divulgare la buona pressi; ovvero, non commettere discriminazioni di genere nel
momento della scelta dei nuovi candidati. Ma ciò basta ad aiutare l’effettivo
raggiungimento delle pari opportunità?
Facendo una rapida ricerca in rete, non è difficile
imbattersi in annunci di lavoro dove i titolari di un’attività escludono dai
futuri collaboratori le donne. O meglio, nello specifico, le donne
eterosessuali.
Si dicono, invece, propensi ad assumere donne omosessuali in
quanto non potranno avere figli. Dimenticando che, se una donna è lesbica non
vuol dire di certo che sia sterile o che non senta il bisogno di avere un
figlio in futuro.
Molti sono gli stereotipi che albergano all’interno della
nostra società e che danno il “diritto” agli uomini di comportarsi in un
determinato modo. Basti pensare che numerosi annunci lavorativi sono spesso
utilizzati sui social come una sorta di meme, divulgati come se fossero
barzellette da raccontare agli amici al bar.
E, effettivamente, qualcosa di
assurdo e paradossale lo hanno davvero. Il titolare di un panificio richiedeva,
ad esempio, la figura di una giovane banconista che non avesse un fondoschiena
particolarmente abbandonante. La motivazione? La sede del lavoro è troppo piccola
e avrebbero finito, prima o poi, per “scontrarsi”, ma questo è soltanto uno dei
tanti annunci che è possibile trovare sul web. Sembra quasi scontato ribadire
quanti ce ne siano di quelli che richiedono ben oltre il semplice lavoro, che vanno
tradotti con “massima disponibilità e discrezione” in cambio di tanta “generosità
e riconoscenza”.
Nonostante esistano alcune leggi che si occupino di tutelare
le donne all’interno del sistema lavorativo, ciò come è evidentemente non
aiuta. Il lavoro che dovrebbe essere svolto non è
soltanto di tipo legislativo, ma anche di formazione. Da una recente ricerca
della Stanford University, si è dimostrato che numerosi responsabili di aziende
ritengono che le donne utilizzino un tono aggressivo nel parlare, rispetto a
quello adoperato solitamente dai lavoratori di sesso maschile.
Inoltre, gli
obiettivi lavorativi delle donne vengono percepiti, se portati a termine, come
il risultato di un lavoro di gruppo e non successi individuali.
O, peggio ancora, che questi siano soltanto
il frutto di un colpo di fortuna o di agevolazioni esterne.
Anche se, c’è da dire, che alcune importanti aziende come la
Microsoft obbligano i propri dipendenti a seguire un corso di formazione sugli
stereotipi di genere, in modo tale da evitare che certi episodi accadano, ma
sono un caso più unico che raro.
Tali corsi, ovviamente, non hanno ribaltato le condizioni in
cui le donne sono costrette a imbattersi quotidianamente, ma hanno portato una
maggiore consapevolezza sui pregiudizi di genere e, con il passare degli anni,
i ricercatori sperano che tali approcci possano in futuro abbattere quei
pregiudizi interiorizzati, e a volte inconsci, verso le donne.