A cura di
Alessia Cuccurullo
A partire dalla
sua introduzione nel 1989 da parte dall'attivista e giurista statunitense
Kimberlé Crenshaw, il concetto di intersezionalità si è fatto sempre più
strada, prima nelle scienze sociali e giuridiche, e poi più in generale in
letteratura. Ciò nonostante, solo di recente sembra che il termine sia entrato
nel linguaggio sociale e culturale, aprendo la strada a politiche ed azioni che
contemplino la molteplicità alla base di molte forme di discriminazione.
In Europa, a
differenza degli Stati Uniti dove da tempo il linguaggio si è aperto a questo
termine, nel dibattito pubblico ancora si fatica ad introdurlo. Probabilmente,
uno dei motivi principali consiste nella prevalenza di una visione monoculare,
che tende a puntare l’attenzione non tanto sulla visione di insieme del
contesto sociale e delle sue discriminazioni, ma sulle singole sfaccettature,
ponendo così di volta in volta il focus sui singoli elementi di discriminazione.
Tuttavia si
può affermare che, negli ultimi tempi, l’adozione di direttive
antidiscriminazione da parte dell’Unione europea e la diffusione di alcuni di
documenti in merito hanno favorito l’accrescimento di interesse nel contrasto
delle discriminazioni multiple, a partire da una maggiore consapevolezza in
merito alla complessità di ciascun individuo.
L’importanza
del concetto dunque pone in essere l’esigenza di favorire una sua diffusione
che, a partire dalla definizione, permetta di chiarirne il senso, sdoganandone
sempre più l’utilizzo.
Il concetto viene solitamente “utilizzato nelle
teorie critiche per descrivere il modo in cui le istituzioni oppressive
(razzismo, sessismo, omofobia, transfobia, abilismo, xenofobia, classismo etc.)
sono interconnesse tra loro e non possono venir esaminate separatamente l’una
dall’altra (dal sito GeekFeminism.wikia.com). La definizione utilizzata ci
permette di riflettere su molteplici forme di discriminazione che nascono non
solo e non tanto dalla presenza di una differenza, ma che negano il concetto
stesso di differenze, come se ciascuno possa sentirsi libero di essere ciò che
è esclusivamente azzerando le proprie naturali peculiarità.
In senso
ampio, dunque, questo concetto esprime tutti i casi in cui un individuo viene
discriminato sulla base di due o più fattori, quali ad esempio l’etnia e l’orientamento
sessuale, oppure il genere e la disabilità, ecc.
A tal
proposito, a mo’ di esemplificazione può essere interessante considerare come
molte delle credenze stereotipate sull’omosessualità maschile si basano sull’idea
errata che gli uomini gay assumano il ruolo della donna. Tale supposizione
nasce da una visione culturale che vede la donna inferiore e dunque considera gli
uomini omosessuali come coloro che rinunciano al proprio essere naturalmente
superiori per diventare come le donne. O ancora, secondo questa linea di
pensiero, le donne lesbiche sarebbero discriminate per il rifiuto del proprio ruolo
subordinato rispetto agli uomini. Omofobia e transfobia affondano quindi le
loro radici nel più generale pregiudizio sessista e considerare nelle
discriminazioni verso queste popolazioni (così come avviene per altre) la
compresenza di questi fattori risulta sempre più cruciale.
Nell’approfondimento
del concetto può venirci incontro la giurisprudenza. Nella descrizione di Makkonen
(2002) ritroviamo infatti una chiara disamina delle varianti che si stanno
diffondendo:
·
Discriminazione multipla (multiple discrimination), o ‘discriminazione multipla ordinaria’. Si
tratta del più semplice ed ampio dei termini. Questa forma di discriminazione
si verifica sulla base di più fattori, in momenti diversi e si basa ogni volta
su uno di tali fattori. Questo significa che di volta in volta la persona può
venir discriminata, anche nello stesso ambiente sociale, per un motivo
differente costituente la propria identità.
·
Discriminazione additiva (additive or compound discrimination). In questo caso la
discriminazione avviene in un’occasione unica o più volte basandosi però su fattori
discriminatori diversi. Tali elementi restano tra loro separati e con una propria
individualità, aggiungendosi l’uno all’altro e aggravando così la
discriminazione.
·
Discriminazione intersezionale (intersectional discrimination). Se i
fattori di discriminazione interagiscono tra loro al punto che non è più
possibile distinguerli, allora ha luogo questa forma di discriminazione. La commistione tra tutti i
fattori fa si che tra loro si fondino fino a formare una sorta di ‘unico
fattore intersezionale’ (Solanke, 2010).
La disamina
effettuata intende considerare la complessità e la varietà umana, sulla base
delle quali spesso si fondano atti discriminatori che vanno riconosciuti e
contrastati.
Le
discriminazioni multiple rendono conto della complessità di ogni esistenza ed
identità e il contrasto ad esse diventa necessario per garantire eguaglianza.