A cura di Alessia Spinella e Arianna D’Isanto.
Jamie Alexander è padre orgoglioso di
un'adolescente di 13 anni e per lei, infatti, ha pensato a una linea di
bikini che le permetta di andare al mare senza sentirsi a disagio con il proprio
corpo. Ruby, infatti, è una ragazzina transgender
e all'età di 9 anni ha capito di non riconoscersi nel corpo maschile,
iniziando il suo percorso di transizione. Seppur sia sempre complesso
confrontarsi con le trasformazioni corporee nella delicata fase di sviluppo e
crescita che corrisponde al periodo adolescenziale, risulta un’esperienza ancora
più complessa e a tratti dolorosa per chi non si riconosce nel corpo in cui è
natǝ. Inoltre le situazioni che possono far sentire a disagio sono molteplici,
soprattutto quelle caratterizzate da prolungati momenti di socializzazione con
estranei e uno dei principali contesti, che rischi di mettere a dura prova la
propria esposizione, è quello balneare. Infatti, oltre al dover esporre
inevitabilmente gran parte del proprio corpo indossando il costume, ci si
ritrova a stare in un contesto in cui ci si sente ampiamente osservati da occhi
sconosciuti, è questo fattore potrebbe aumentare la percezione del disagio che
si vive nel rapporto con il proprio corpo.
L’idea di Jamie sembra creare la possibilità di viversi in maniera più serena
il primo impatto con l’esposizione al mare. Si tratta di costumi le cui
fattezze aiutano a nascondere le forme maschili nelle quali le ragazzine in
transizione non si riconoscono e che tanto le mettono a disagio in
situazioni pubbliche, non sentendole proprie. Sono comodi, pratici e
soprattutto non lasciano da parte l'estetica, come un qualunque costume pensato
per giovani.
Un'iniziativa, questa, che da subito ha attirato il favore della comunità LGBT+
mondiale e che permette di avviare una profonda riflessione sull’importanza del
livello di inclusione all’interno dei contesti circostanti. Potrebbe essere
convinzione comune che un percorso di transizione sia qualcosa che riguardi
esclusivamente la persona che lo attraversa e al massimo la stretta cerchia di
legami a cui appartiene. In realtà agevolare e supportare le persone
transgender e le persone non binary nei
loro percorsi identitari di ridefinizione e autodeterminazione è responsabilità
di tuttз. Creare policy, spazi, indumenti che permettano di prevedere esistenze
altre, da quelle culturalmente e rigidamente definite dal costrutto di genere
dicotomico predominante, permette a tuttз le esistenze di avere dignità e
libertà di espressione e attingere anche da risorse esterne per affrontare
l’esposizione del proprio corpo, almeno riducendo le sofferenze che un
abbigliamento non immaginato per se stessз possa comportare.
Questo di Jamie è solo un esempio che
può però diventare monito per altre importanti iniziative simili. Immaginare
indumenti che rispettino e facciano sentire a proprio agio tutte le
soggettività esistenti, sembra un ottimo obiettivo da perseguire.
Oltre questo, però, risulta essere altrettanto importante promuovere un
contesto inclusivo, che preveda ad esempio bagni e spogliatoi pubblici gender
free, ma soprattutto promuovere una cultura delle differenze che non lasci mai
più spazio ad episodi di discriminazione come quelli di cui purtroppo siamo a
conoscenza. Ancora oggi coppie LGBT+ vengono aggredite e/o cacciate da luoghi
pubblici anche se stanno semplicemente tenendosi per mano; ancora oggi si è
oggetto di sguardi e commenti indiscreti se non si aderisce ad aspettative di
genere stereotipate come ad esempio il depilarsi.
Una cultura che riesca a rispettare ogni persona nella propria individualità è
sinonimo di libertà, proprio come lo è il mare.