A cura di Daniela Rubinacci
Manuela Claysset è la responsabile delle politiche di genere dell'UISP, Unione Italiana Sport Per Tutti. Abbiamo affrontato con lei il delicato tema dei diritti di genere nel contesto sportivo.
Lei è la responsabile
delle politiche di genere della UISP Nazionale. In cosa consiste il suo
impegno?
L'UISP, associazione sportiva, ha scelto alcune politiche prioritarie: noi organizziamo e promuoviamo lo sport come momento di
associazione, di incontro e anche di crescita; parlare di politiche nelle nostre attività significa che le politiche cin qualche modo devono
contaminare le attività.
In modo particolare, per lePolitiche di
genere abbiamo ampliato il nostro intervento, superando non solo il coordinamento precedente, ma
abbracciando l’idea di guardare alle
politiche di genere e dei generi in
maniera più ampia. In questi anni abbiamo creato sempre più reti con associazioni esterne, (come l’UDI, i centri antiviolenza per le donne, il mondo
universitario), per confrontarci con varie esperienze ed abbiamo iniziato un lavoro specifico su
tutto il tema che riguarda i diritti delle persone LGBT. Abbiamo organizzato su questo seminari, convegni e
iniziative pubbliche anche per cercare di sensibilizzare il mondo
sportivo.
L'UISP conta a livello nazionale circa un milione e trecentomila soci, oltre a
17 mila basi associative radicate sul territorio. Io cerco di portare avanti
questo team confrontandomi con il territorio attraverso momenti di
formazione e iniziative. Si varia dalle attività più classicamente intese,
ad esempio tornei, ad attività più inclusive, fino a momenti di organizzazione
di progetti più ampi.
Quali sono le
iniziative promosse dalla Uisp per favorire le pari opportunità nel mondo dello
sport?
Stando a quello che dice la Carta Europea dei Diritti
delle Donne nello Sport, la UISP si impegna nella realizzazione di attività e
di progetti. Pensare momenti di attività rivolti alle donne, significa prestare attenzione ad esempio al corpo delle donne, ai loro tempi ed esigenze, che per vari motivi inducono a pensare di avere bisogno di momenti di libertà riservati.
Significa, poi, anche pensare le esperienze che riguardano attività sportive miste, come
la pallavolo mista o il calcio misto. In questi contesti, infatti, a volte emerge
un modo di fare sport meno competitivo, meno
agonistico, per tornare all’idea del gioco.
Anche gli studi ci dicono che
le donne posseggono un’idea dello sport non solo come competizione ma anche come momento
di socializzazione e di incontro.
La Carta Europea dei Diritti delle Donne
nello Sport intende fornire delle misure specifiche per rinforzare le
politiche di genere nello sport, come nasce
l’idea di realizzarla?
È una storia
che inizia molti anni fa. Quest’ anno la UISP festeggia 70 anni di attività ed
è già dalla nascita che l’ associazione ha portato molta attenzione alla
attività sportiva delle donne. In quegli anni non era così facile: la UISP è
stata una delle prime associazioni dell'epoca ad organizzare momenti sportivi rivolti alle donne. Un esempio sono gli incontri di primavera 1948/1949 che hanno previsto attività sportive rivolte alle donne, come pallavolo
o ciclismo. Ancora, una delle manifestazioni storiche è la corsa Bologna- Mare
in bicicletta, riservata alle donne.
Parlo di anni in cui lo sport era
patrimonio maschile. La UISP è stata una sorta di pioniera in questo
ambito.
La Carta nasce a metà anni 80 nella sua prima edizione, come momento di
rivendicazione di un ruolo e di diritti che non erano riconosciuti: nel 1985 il
coordinamento donne della UISP la propose e nell’ 87 l’Europea la fece propria, dando il via ad un primo momento di rivendicazione a livello europeo. La carta è stata poi rivista nel 2010 all’interno del Progetto Olimpia che ci ha
permesso il confronto con altre associazioni e realtà europee.
Nel panorama
europeo, al di la del Nord Europa che vedeva una forte presenza delle donne sia
nella pratica sia nei ruoli dirigenti, negli altri paesi non era cosi semplice.
Quindi abbiamo cercato di riscrivere e la Carta e dare indicazioni da una
parte al mondo sportivo e delle associazioni, dall’altra anche alle istituzioni, suggerendo cosa devono e possono fare.
Con il Progetto Olimpia abbiamo
raccolto le buone prassi, ovvero cosa è stato fatto negli altri paesi, al fine di capire
cosa può essere fatto in pratica e scambiare buone esperienze. Questo lavoro molto
più recente ci ha permesso di fare una valutazione: abbiamo raccolto alcune adesioni e molte
amministrazioni hanno fatto propria la carta, come la regione Emilia Romagna, il Molise e la Toscana, ma anche molti comuni, tra cui Firenze e Bologna, hanno aderito. Il tema dello sport femminile in questo paese è importante e delicato e vede ancora discriminazioni e differenze, ma
stiamo iniziando ad ottenere maggiore attenzione ed una forte mobilitazione.
Secondo lei in che
modo una cultura sportiva dei diritti LGBTI può favorire una società più
attenta e sensibile alle differenze?
Come associazione partiamo dal concetto di sport
per tutte e per tutti, per questo dobbiamo cercare di capire come
renderlo più vicino alle persone e quali sono le dinamiche e le problematiche che entrano in campo. Con lo
sport lavoriamo con le persone e con il corpo delle persone ed il corpo spesso
ci trasmette problemi, difficoltà e disagi e credo che questo sia il primo
aspetto. Ai nostri educatori, istruttori e istruttrici dobbiamo dare sempre
maggiori strumenti per capire di cosa c’è bisogno. E’ inoltre importante
anche capire quali sono le azioni concrete, per le quali pensiamo a campagne di sensibilizzazione.
L’orientamento sessuale e l’ identità di genere di ciascuno
costituiscono un aspetto delicato, ma non possono in nessun modo condurre
all’esclusione nell’attività e nella pratica sportiva.
Dunque risulta fondamentale
prestare attenzione alla cultura sui termini e sul linguaggio di quanti praticano sport. Questo per noi si traduce in
un impegno di formazione per educatori insegnanti e tecnici, affinchè
sappiano come parlare e rivolgersi ai loro sportivi.
Un’altra cosa sono poi le attività che diventano possibili
attraverso la collaborazione con varie associazioni, ad esempio il torneo di
calcio o la camminata rainbow, cioè iniziative
che hanno visto in questi anni crescere sempre di più la collaborazione
con Arcigay ed Arcilesbica ed altre associazioni LGBT anche in maniera molto
continuativa. Si tratta di collaborazioni che vanno oltre l’esperienza
sporadica, fino ad arrivare alle associazioni che si sono affiliate alla UISP e
che portano avanti le istanze per i diritti delle persone LGBT.
Inoltre la UISP ha adottato l’identità percorso alias per le persone trans ed è un
passo in avanti per portare una maggiore attenzione sulla questione nel mondo sportivo.
Seguiamo quello che già da
tempo sta avvenendo in altri paesi; portiamo avanti questo tipo di attenzione e
di impegno sul tema dei diritti che crediamo sia assolutamente importante.
Attraverso lo sport si inviano dei messaggi, lo sport è assolutamente
trasversale parla a tutti e tutte e attraverso attività, progetti ed azioni possiamo
contribuire a cambiare questa cultura che è ancora molto omofoba e non
sensibile ed attenta ai diritti LGBT. In questo il nostro impegno c’è.
Vuole lasciare un
messaggio ai nostri lettori?
Lo sport è molto
trasversale, ha un linguaggio universale e non perché parliamo esclusivamente a
livello competitivo ma perché attraverso attività quotidiane parliamo a tante
persone. Il ruolo educativo dello sport è molto importante: quando parliamo di
centrali educative lo sport rappresenta un pilastro fondamentale e questo è un
impegno che dobbiamo portare avanti. Facciamo cultura anche quando giochiamo a
calcio, quando camminiamo con gli amici: se vediamo che qualcuno si comporta in
maniera non corretta, con un linguaggio
non corretto non solo nei grandi eventi, ma anche nei piccoli campi di
periferia dobbiamo dire che non siamo d’accordo con quel linguaggio o
affermazione. Deve essere un impegno di tutti. Questo credo sia importante.