A cura di Emma Spinelli e Claudio Cappotto
L'Educazione
di Genere è l'insieme dei comportamenti, delle azioni e delle
attenzioni che gli educatori mettono in atto ogni giorno in maniera più o meno
intenzionale rispetto ai vissuti, ai ruoli e alle relazioni di genere di coloro
verso i quali hanno una responsabilità educativa: bambini e giovani. Se non è oggetto
di riflessione critica, l'educazione può favorire la spinta omologatrice verso
i tradizionali ruoli di genere; laddove invece è pensata, organizzata e
concordata ad hoc, può contribuire al superamento degli stereotipi e promuovere
la costruzione dell'identità secondo l'individualità dei soggetti. Purtroppo
oggi in Italia si osserva che nei contesti educativi si è ancora ben lontani
dal praticare un'educazione "pensata", capace di trasformazione sociale e
culturale.
A un
livello meta procede invece
la Pedagogia
di Genere che
si occupa di: rilevare i modelli impliciti di bambine e bambini cui fanno
riferimento quotidianamente gli educatori e osservare come questi si traducano
in pratica attraverso regole, rinforzi e sanzioni; confrontare la più recente
Educazione di Genere con le istanze tradizionali che permangono sullo sfondo e
che spesso sono in conflitto con la dinamicità e complessità del concetto di
genere; studiare i legami tra la tradizionale Educazione di genere e i
cambiamenti socio-culturali al fine di verificarne congruenze e
lontananze (Leonelli, 2011). La Pedagogia di Genere ha una sua storia il cui inizio è
simbolicamente scandito dalla pubblicazione nel 1973 del volume di Elena
Gianini Belotti Dalla parte delle bambine,
un indagine sugli stereotipi e le discriminazioni di genere insite nelle
pratiche educative di bambini e bambine in contesti scolastici e familiari
(Gianini Belotti, 1973). Si inaugura così la prima fase degli studi della
Pedagogia di Genere, la fase dell'uguaglianza tra i sessi. Sono gli anni
Settanta e il dibattito sulla differenza tra sesso e genere inizia ad
infiammarsi anche in Italia, complici i movimenti femministi, la legge sul
divorzio, l'avvento della contraccezione chimica e l'apertura dei primi asili
nido espressione, del desiderio delle donne di lavorare oltre che di essere
mamme. Sono i condizionamenti socio-culturali a relegare le donne entro i
confini delle loro abitazioni, tra un lavoro a maglia e un pasto da preparare,
tra le faccende domestiche e la cura dei figli. Tutto ciò non è di certo
inscritto nella struttura fisica e biologica della donna che, come sottolinea
Gayle Rubin in The Traffic Women
(1975), non è poi così dissimile a quella dell'uomo, ma nei valori che alla
società preme conservare e trasmettere di generazione in generazione a uomini e
donne. Uguaglianza è la parola chiave di questa fase, che va dagli anni
Settanta agli anni Novanta del secolo scorso, poiché l'obiettivo è la
rivendicazione della parità di diritti, accesso, ed esperienze tra uomini e
donne, soprattutto per quanto riguarda l'istruzione. Le bambine di tutti i ceti
proseguono il loro ingresso nelle scuole e all'inizio degli anni Ottanta in
Italia si riesce ad arrivare alla parità degli iscritti anche nelle scuole
superiori, grazie anche all'accesso a percorsi scolastici e formativi, fino a
quel momento ritenuti esclusivi per gli uomini. L'enfasi posta sul concetto di
uguaglianza tra i generi non è priva di criticità: a fine anni Ottanta molte
studiose hanno l'impressione che dietro questa pretesta estrema di uguaglianza
non si nasconda un'omologazione del femminile al maschile.
Questo è l'interrogativo da cui nasce la seconda fase di ricerche
della Pedagogia di Genere, la fase della differenza, che anima il decennio
1990-2000. Emancipazione per le donne non significa quindi semplicemente
liberarsi dalla supremazia maschile, ma affermare la propria specificità
facendola vivere nei tanto bramati contesti del "sapere ufficiale". È la fase dell'attenzione a come le donne
guardano il mondo e i contesti in cui sono calate, di reazione a una conoscenza
tutta al maschile: nelle scuole si incoraggiano le insegnanti a porsi come
autorità per le giovani generazioni e le bambine a intraprendere percorsi
educativi in cui vengano esaltate le loro potenzialità fino a divenire
"soggetti creanti del sapere". Tuttavia anche l'eccessiva valorizzazione del
femminile ha i suoi contro: se da un lato gli studi sulla differenza del femminile
evidenziano il valore aggiunto che le donne rappresentano per la società,
dall'altro è come se si volesse inviare l'implicito messaggio per cui le donne
sono meglio degli uomini, ricadendo così proprio nelle discriminazioni sessuali
e di genere per le quali tanto si è combattuto e si continua a combattere. Se
ci si interroga infatti su quale aspetto specifico renderebbe le donne diverse
e migliori degli uomini, si rischia di riportare le differenze di genere sul
piano delle differenze biologiche, poiché specifica del femminile è la capacità
di procreare: «Significa naturalizzare le differenze, riposizionarle nel
dualismo oppositivo maschio/femmina, allontanando il discorso dall'unica
evidenza documentabile: ciò che accomuna le donne è di avere ricevuto un'educazione
diversa da quella degli uomini» (Leonelli, 2011, pag. 8).
Negli ultimi anni si è verificato un fenomeno non previsto neanche
dalle più appassionate femministe: il backlash,
che letteralmente significa "contrattacco". È la tendenza che sembra aver
investito le donne negli ultimi decenni, un movimento che renderebbe peggiore
la vita delle donne attraverso l'imposizione di ruoli determinati dalla
cultura, dai mass media, dalla religione e... dagli uomini. È come se fosse in
atto una tendenza regressiva delle donne rispetto alle conquiste dei femminismi
degli anni Settanta, una tendenza che prevede la riduzione della donna a
oggetto, sessuale o materno, come spesso viene presentato dai mass media. Le
donne sembrano incapaci di tenersi strette le conquiste sociali e culturali dei
decenni precedenti, sembrano aver fatto il cosiddetto "passo di gambero",
complice una dilagante cultura popolare conservatrice e maschilista che tenta
di ripristinare i tradizionali ruoli di genere. Secondo Silvia Leonelli (2011)
è il pensiero della differenza del femminile stesso ad aver in parte alimentato
il backlash, o quanto meno non lo ha contrastato a sufficienza, in quanto anche
esso propone e idolatra un'immagine di donna tradizionale quando esalta la
donna come la sola capace di procreare e come miglior insegnante per i bambini
nei contesti scolastici rispetto all'uomo per le sue "innate" capacità di
prendersi cura.
L'ultima fase di studi della Pedagogia di Genere, che inizia nel 2000
e continua fino ad oggi, ha come parola chiave complessità: è una fase di
superamento del pensiero della differenza e di complessificazione del concetto di
genere. L'intento è quello di superare la dicotomia maschile-femminile e
prendere in considerazione altre questioni come quelle che riguardano la
popolazione LGBT, donne migranti, disabili, ecc.. Secondo Leonelli (2011)
ognuno crescendo:
*Ri-costruisce la propria rappresentazione di maschile e femminile;
*Considera gli stereotipi di genere situazionali, il cui asservimento
è legato allo specifico contesto di comportamento;
*Incarna, all'interno della propria storia, vincoli e significati
proposti dalle diverse sfere di appartenenza riguardo al corpo;
*Guarda al mondo indossando il proprio "paio di occhiali" di genere,
metafora generalmente utilizzata per sottolineare come la realtà non sia
oggettiva e sia, invece, decifrata da ogni soggetto in modo diverso. Ciò che
sembra palese è, infatti il frutto di stereotipi, di pregiudizi, di letture
personali, di condizionamenti in azione.
*Preforma la propria appartenenza al genere.
Leonelli sottolinea questi punti per evidenziare il fatto che sebbene
ogni individuo vive il suo corpo sessuato tenendo presente i condizionamenti
socio-culturali e delle relazioni con familiari, amici, colleghi ecc., questi
condizionamenti vengono interpretati.
L'educazione è dunque centrale in quanto
può favorire il percorso di interpretazione della propria appartenenza di
genere e il riconoscimento del proprio corpo in quanto corpo sessuato. Per far
ciò, è necessario che gli educatori siano sempre informati sui cambiamenti in
corso e formati sulle tematiche di genere in modo tale da poter proporre e
realizzare progetti di Educazione di genere costruiti ad hoc, che promuovano la
partecipazione attiva di bambini e giovani stimolandone un sapere critico e
favorendo il loro sviluppo nel pieno rispetto di ogni individualità e
differenza. I percorsi di Educazione di genere all'interno dei primi due primi
due gradi di scuola, primaria e secondaria, prevedono generalmente due fasi:
nella prima c'è una proposta, uno stimolo che può essere una favola, un disegno
o una fotografia, presentati con lo scopo di far emergere le rappresentazioni
stereotipate di uomini e donne insite in bambini e bambine; nella seconda fase
si organizzano attività che consentono ai bambini di esplorare situazioni
diverse rispetto a quelle apprese quotidianamente, laboratori che hanno come
obiettivo quello di guardare oltre i modelli tradizionalmente conosciuti dei
ruoli di genere (Leonelli, 2011).
Gli Stereotipi di Genere possono essere definiti come rappresentazioni semplificate e riduzionisti che della realtà, socio-culturalmente condivise, che attribuiscono determinate caratteristiche agli uomini, alle donne e ai rapporti tra loro. Essi sono alla base della conservazione dei tradizionali ruoli di genere e sono espressione di:una tendenza generalizzante che implica l'affermarsi di una rappresentazione che prescinde dall'evidenza empirica. La scuola è considerata contesto di fondamentale importanza per la costruzione dell'identità di genere, che passano anche attraverso i luoghi educativi: nel sistema scolastico i bambini imparano ad apprendere, acquisiscono capacità e conoscenze attraverso l'educazione (Rossi, 2009). È stato dimostrato che l'educazione incrementa nei bambini e nei futuri adulti la consapevolezza degli stereotipi di genere e l'abilità di identificarli; dunque attraverso un'educazione "pensata" può essere possibile anche decostruire tali stereotipi (Brinkman, Jedinak, Rosen, Zimmerman, 2011). Durante gli ultimi anni della scuola dell'infanzia e il primo anno di scuola primaria i bambini iniziano a confrontarsi con i primi libri, anch'essi spesso fruitori di stereotipi di genere. Ed è proprio questo l'oggetto di indagine della ricerca di Irene Biemmi "Sessi e sessismo nei testi scolastici, la rappresentazione dei genere nei libri di letteratura delle elementari" (2013). Dopo aver analizzato numerosi testi di lettura utilizzati nelle scuole primarie italiane, i risultati di questo studio dimostrano che ai protagonisti maschili delle storie sono attribuite 50 diverse tipologie professionali, tra le quali: re, cavaliere, maestro, ferroviere, marinaio, mago, scrittore, dottore, poeta, giornalista, ingegnere, geologo, esploratore, scultore, architetto, bibliotecario, scienziato, medico, direttore d'orchestra, ecc. Mentre alle protagoniste femminili vengono attribuiti solo 15 tipologie professionali, tra le quali: maestra (in assoluto il più frequente); seguita da strega, maga, fata, principessa, casalinga, ecc. In generale, dalla lettura di questi testi si evince che il ruolo più stereotipicamente attribuito alla figura maschile è quello del lavoratore, il ruolo più stereotipicamente attribuito alla figura femminile è quello della cura della casa. In pochi testi emergono ruoli femminili controstereotipici di donne che lavorano ed hanno poco tempo da dedicare alle faccende domestiche, mentre non vi è alcun ruolo maschile controstereotipico (Biemmi, 2013).
Ispirandosi
all'Educazione e alla Pedagogia di Genere, il Servizio Antidiscriminazione e
Cultura delle Differenze da anni interviene nelle scuole di ogni ordine e grado
del territorio napoletano con l'obiettivo di sensibilizzare studenti, docenti e
genitori rispetto alle questioni di genere. L'Educazione di Genere infatti
dovrebbe essere parte integrante dell'educazione della persona per poter
guidare lo sviluppo psico-sessuale dell'individuo in tutte le sue fasi e in
tutte le aree relazionali, dovrebbe contare sull'azione congiunta di familiari
ed insegnanti il cui compito è accompagnare la crescita di bambini e adolescenti
favorendone uno sviluppo basato sulla propria individualità indipendentemente
da condizionamenti socio-culturali. L'Educazione di Genere è soprattutto educazione
alle relazioni e all'emotività, al rapporto con sé stessi e con gli altri, alla
valorizzazione delle diversità proprie e altrui, alla capacità di riconoscere
le emozioni e gestirle, dunque è un'educazione al sapere e al saper
essere, che promuove un dialogo aperto tra tutte le figure educative e alle
agenzie deputate a questo compito.
In
particolare nelle scuole dell'infanzia e primarie, il Servizio utilizza un
approccio interattivo-narrativo che non prevede solo un passaggio di
informazioni o l'ascolto passivo di storie, ma propone la partecipazione attiva
dei bambini protagonisti di una riflessione sugli stereotipi di genere appresi
nei contesti in cui sono immersi, da quello familiare a quello scolastico,
dalla palestra ai luoghi ricreativi. L'attenzione è rivolta al processo: non ci
si occupa infatti della risoluzione di problemi, ma dell'aumento delle capacità
empatiche dei bambini, del riconoscimento dei sentimenti, dei comportamenti e
del modo di essere proprio e altrui.
Strumento
essenziale delle attività laboratoriali proposte è la rivalutazione e
l'utilizzo della narrazione fiabesca, a cui troppo spesso i bambini non sono
più abituati. Il bambino ha bisogno delle fiabe: esse non sono semplici
storielle che in passato venivano utilizzate spesso dai genitori per far
addormentare i bambini, ma sono storie di vita che insegnano a diventare grandi,
a costruirsi una propria identità, stima di sé stessi e degli altri
(Bettelheim, 1977).
Nelle
narrazioni proposte l'accento è posto sugli aspetti relativi alla
socializzazione dei personaggi e conseguente formazione di stereotipi che
vengono poi scardinati nel corso della storia in modo tale da offrire spunti di
riflessione ai bambini, riflessioni che spesso emergono dai disegni da loro realizzati.
Così come le fiabe, anche i disegni dei bambini infatti meritano particolare
attenzione in quanto espressione non verbale del loro mondo interiore (Lis,
1993).
Obiettivi degli interventi
Sostenere il processo di
apprendimento facilitando il clima di relazione della classe;
Favorire il processo di conoscenza
di sé e dell'altro negli alunni;
Implementare le competenze emotive
individuali e del gruppo;
Promuovere una cultura che sappia
problematizzare e valorizzare le differenze;
Aiutare i bambini a comprendere
meglio le modificazioni delle proprie emozioni e dei propri comportamenti
legati e influenzati dagli stereotipi di genere;
Promuovere e sostenere la
de-costruzione degli stereotipi di genere e delle modalità disfunzionali relazionali
legate ad essi;
Osservare lo sviluppo e la presenza
degli stereotipi di genere in bambini della scuola dell'infanzia e dei
primi anni della scuola primaria.
·
Bettelheim B., (1977). Il
mondo incantato: uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe. Feltrinelli, Milano
·
Biemmi
I., (2013). Sessi e sessismo nei testi
scolastici, la rappresentazione dei generi nei libri di lettura delle
elementari. Università degli Studi di Firenze
·
Brinkam B., Jedinak A., (2011). Rosen L., Zimmerman
T., Teaching Children Fairness:
Decreasing Gender Prejudice Among Children.
Analyses of Social Issues and Public Policy: No1, pp 61-68
·
Gelli B., (2009) Psicologia
delle differenze di genere. Milano, Franco Angeli
·
Gianini Belotti E., (1973). Dalla parte delle bambine. Feltrinelli,
Milano
·
Leonelli S., (2011). La Pedagogia
di genere in Italia: dall'uguaglianza alla complessificazione.
Università di Bologna
·
Lis A., (1993). Psicologia
clinica. Problemi diagnostici ed elementi di psicoterapia. Firenze,
Giunti Editore
·
Rossi
E., (2009). La socializzazione e
l'educazione di genere nella prima infanzia: prospettive teoriche ed esempi di
ricerca. Infanzia, rivista di studi ed esperienze sull'educazione 0-6