A cura di Alessia Cuccurullo
Il mese di settembre è
solitamente dedicato, dalla comunità Lesbica Gay Bisessuale e Trans
all'approfondimento di un tema specifico: la bisessualità. Il 23 settembre, in
particolare, è la giornata internazionale dell'orgoglio bisessuale.
Ci è sembrata questa
un'ottima occasione per approfondire la tematica, che spesso risulta complessa
da comprendere.
Tra gli orientamenti
sessuali, infatti, quello bisessuale sembra attualmente bersaglio di maggiori
pregiudizi e diffidenza da parte non solo delle persone eterosessuali ma spesso
dalla stessa comunità omosessuale.
Abbiamo scelto di approfondire
questo tema assieme a Giuseppe Burgio, Professore Associato di Pedagogia Generale
e Sociale presso l'Università degli Studi di Enna "Kore", tra i pochi studiosi
del fenomeno.
Prof. Burgio, quali sono i temi di ricerca sui quali
si concentra il suo lavoro?
Io mi occupo di Pedagogia
sociale, quindi di gruppi oppressi, di marginalità, di minoranze. Un lato della
mia ricerca riguarda le migrazioni, le diaspore e in particolare i minori
stranieri non accompagnati. L'altro mio filone di ricerca riguarda invece gli
adolescenti LGBT, in particolare quelli che sono vittimizzati dal bullismo. E
proprio a partire dalle interviste fatte agli adolescenti gay è emerso il tema
della bisessualità, che è quello di cui mi occupo attualmente; mi sto occupando,
in particolare, di bisessualità maschile.
Questi temi, che per alcuni aspetti sembrano assai
differenti tra loro, in che modo si intrecciano?
In quanto pedagogista mi
occupo dei processi di soggettivazione, cioè di come si diventa ciò che si è,
attraverso la formazione e quindi la trasformazione di sé. In particolare,
studio questo processo di soggettivazione in relazione ai contesti sociali: in
che modo l'essere discriminati nella società condiziona i processi di
formazione di sé e di soggettivazione? L'importanza del riconoscimento di sé e
degli altri è il quadro, la cornice di tutte queste ricerche. Credo che
studiare queste realtà, e in particolare la bisessualità, ci costringa a
riconfigurare i nostri schemi mentali, a pensare in maniera differente.
Quindi è l'aspetto della marginalità il filo rosso che
guida gli studi che ha fatto?
Sì, in
particolare i processi di emancipazione: in che modo la resilienza delle
persone permette loro di emanciparsi e di costruirsi una soggettività positiva,
in contrasto con un contesto sociale che invece è opprimente, discriminante e che
manca di riconoscimento.
A proposito dei sui ultimi studi, con focus sulla
bisessualità, le andrebbe di descrivere le considerazioni che sono emerse?
Certo. Innanzitutto va
chiarito che sulla bisessualità, in Italia, non esiste letteratura scientifica;
esiste qualcosa in lingua inglese, ma la quantità di studi è abbastanza ridotta.
Se paragonati, per esempio, agli studi sull'omosessualità, che sono un numero
infinito, quelli sulla bisessualità sono pochissimi. E anche a livello sociale
non abbiamo di fatto, in Italia, un movimento bisessuale. Quindi non sappiamo
nulla su che cosa sia la bisessualità, né dal punto di vista delle relazioni
sociali, né delle rivendicazioni politiche. Non sappiamo nulla perché si mette
in dubbio persino l'esistenza della bisessualità. Prima di affrontare questo
tema, così vasto e sfuggente, il lavoro che sto facendo è stato quello di studiare le omosessualità maschili (i miei studi hanno un taglio di genere:
mi occupo di Men's Studies). E
proprio studiando le omosessualità (al plurale), ho scoperto che in realtà
molte di queste nascondono comportamenti bisessuali.
In Occidente, infatti, un
numero abbastanza limitato di persone si riconosce con una identità bisessuale,
quindi con quello che potremmo dire un terzo orientamento sessuale, accanto
all'omosessualità e all'eterosessualità. Ma un numero sicuramente maggiore di
persone è coinvolto in comportamenti bisessuali; le due cose non coincidono, perché
secondo le indagini sociologiche - i dati ISTAT 2012 o La sessualità degli italiani di Barbagli, Dalla Zuanna e Garelli -
esiste una percentuale doppia di persone che dichiara di aver avuto
comportamenti bisessuali (rapporti con uomini e con donne) rispetto a chi
dichiara una identità bisessuale. E la percentuale cresce ancora tra quelli che
dichiarano di aver avuto desideri sia per uomini sia per donne. Quindi già
questa ripartizione dà l'idea della difficoltà di definire le bisessualità (al
plurale), perché in alcune persone diventano identità, in altre abbiamo
soltanto comportamenti. Per esempio tra i comportamenti troviamo, nelle
indagini sociologiche, persone che in una fase della loro vita sono
eterosessuali, in un'altra fase sono omosessuali, o viceversa. E non si tratta semplicisticamente
di arrivare a conoscersi, al "coming out", ma di una trasformazione della
sessualità, del desiderio.
Nell'antica Grecia, spesso
considerata il paradiso dell'omosessualità, in realtà gli uomini avevano un
comportamento bisessuale: da giovinetti avevano un comportamento omosessuale
passivo, poi si sposavano, avevano una moglie e accesso alle prostitute; successivamente
potevano avere di nuovo rapporti omosessuali, questa volta però con un ruolo
attivo, con giovinetti. Quindi, considerando l'intero arco della loro vita,
abbiamo un comportamento bisessuale.
Molte culture di interesse
antropologico, per esempio gli Etoro in Nuova Guinea, hanno un normale
comportamento eterosessuale, ma una volta all'anno svolgono un rituale in cui
gli uomini si riuniscono in una capanna e hanno rapporti orali tra di loro. È
ritualizzato, certo, ma è un comportamento omosessuale in persone che hanno
anche un comportamento eterosessuale. Un altro esempio è quello dei prostituti,
dei sex worker: molti sono uomini che
hanno clienti gay, ma hanno un comportamento bisessuale, perché spesso hanno
anche una compagna, una fidanzata, una moglie.
Tutto questo non ci deve
stupire: sappiamo, infatti, che esiste un turismo omosessuale nel Maghreb, dove
ragazzi che si considerano etero fanno sesso con uomini, non concependolo come
un atto omosessuale, purché mantengano un ruolo attivo, penetrativo,
eiaculativo, perché nella loro concezione l'omosessualità è soltanto quella
passiva, ricettiva. Un altro esempio importantissimo è dato dalle carceri:
uomini che hanno un comportamento eterosessuale, finiti in carcere, dove non ci
sono donne, hanno rapporti omosessuali. È sicuramente una costrizione, però in
carcere non emerge, per esempio, il feticismo, mentre emerge un comportamento
omosessuale. Queste persone nell'arco della loro vita hanno avuto un
comportamento sessuale con uomini e con donne. Così come alcuni adolescenti nei
collegi: poi alcuni mantengono il comportamento omosessuale e altri no.
Tutti questi esempi
riguardano semplicemente i comportamenti di persone che hanno quella che noi
potremmo definire una bisessualità asincrona, cioè in un
periodo della loro vita hanno rapporti eterosessuali, in un altro periodo hanno
rapporti omosessuali, ma non in contemporanea. Poi abbiamo tutta un'altra
categoria di bisessuali, che invece possiamo definire sincroni, perché nello
stesso periodo della vita desiderano sia uomini che donne. Sono questi quelli
cui noi pensiamo immediatamente quando parliamo di bisessualità. Ma anche
questi si differenziano in diverse categorie, perché abbiamo alcuni bisessuali
che preferiscono le donne, altri che preferiscono gli uomini, altri per i quali
l'oggetto sessuale è indifferente. Questi comportamenti, che sono difficili da
mettere in un'unica categoria, rendono difficile studiare la bisessualità. La
cosa poi si complica ulteriormente se pensiamo ai desideri. Se un uomo
eterosessuale, che è sempre stato coerentemente eterosessuale, una notte ha un
sogno erotico, una polluzione, pensando ad un uomo, come lo categorizziamo?
Cioè, qual è l'elemento sufficiente e necessario per definire un bisessuale?
Poi ci sono altre domande,
che possiamo lasciare aperte. Pensiamo ai partner delle transessuali MtoF. Sappiamo
di uomini sposati che hanno rapporti con transessuali, che hanno un corpo
iper-femminile, ma mantengono il pene. Sappiamo anche che spesso, quando le
prostitute transessuali si operano, perdono la loro clientela. Le prostitute
transessuali hanno costi maggiori delle donne che si prostituiscono, proprio
perché il cliente probabilmente (è un'ipotesi di ricerca) desidera un corpo
femminile e un pene, cioè elementi maschili e femminili nello stesso corpo.
Potrebbe essere considerata questa una delle tante forme della bisessualità? A livello di senso comune molti lo pensano,
ma è interessante ragionare sul fatto che studiare le varie bisessualità mette
un po' in crisi i nostri schemi mentali, mette in crisi le categorie di sesso,
genere, orientamento per come le abbiamo studiate.
Forse è proprio questa complessità che ha reso più
difficile studiare la bisessualità?
Assolutamente sì! Ma secondo
me è anche il valore aggiunto di questi studi. Perché il movimento LGBT, che in
realtà è un movimento LG (lesbico, gay), in parte transgender, ma sicuramente
non bisessuale, si è basato sul concetto di identità. Gli omosessuali dagli anni
'80 in poi hanno cominciato a dire: "la mia identità non è un vizio, non è una
malattia: così come esiste l'eterosessualità, accanto ad essa c'è un
orientamento, stabile, coerente, che merita dignità e riconoscimento, che è
l'omosessualità". Su questa base si sono condotte le battaglie politiche che, in
alcuni Paesi, hanno portato all'acquisizione di diritti. Rispetto a questo
panorama è ovvio che la bisessualità crea problemi, perché forse non è un
orientamento sessuale, cioè non ha le caratteristiche di stabilità e coerenza che
hanno l'eterosessualità e l'omosessualità, ma si caratterizza per la sua fluidità sessuale.
E allora è interessante anche
ragionare su questi termini: perché quando noi parliamo di orientamento
sessuale comunemente pensiamo al fatto che uno si guarda dentro, capisce qual è
il suo desiderio e la sua vita prende questo orientamento: se uno è omosessuale
fa coming out, se è eterosessuale mette direttamente in scena il suo desiderio.
In realtà per un bisessuale dovremmo pensare non ad una definizione del proprio
orientamento che si fa all'inizio, ma ad una cosa che si può fare alla fine
della vita: guardando indietro, retrospettivamente, quale orientamento, quale direzione, ha preso la propria vita sessuale.
C'è poi un'altra difficoltà -
all'interno del movimento LGBT - che non
è solo teorica, ma anche politica, perché i e le bisessuali sono vittime di una
doppia discriminazione: dagli eterosessuali sono considerati immaturi, inaffidabili
dal punto di vista sentimentale, instabili emotivamente, degli "irrisolti"
rispetto alla loro sessualità. Per gli omosessuali, invece, i bisessuali sono
dei "velati", delle persone che non si assumono la responsabilità della propria
identità e godono i vantaggi sociali della loro invisibilità. Questo crea una
difficoltà che non è solo relazionale, ma anche politica, perché nell'agenda
politica del movimento LGBT non ci sono rivendicazioni utili per i/le
bisessuali. E quindi c'è anche una difficoltà di cittadinanza - sociale,
politica, culturale - per i bisessuali. Anche per questo gli studi sulla
bisessualità ci costringono a rimettere in campo, a rivedere le categorie
teoriche e politiche con cui pensiamo.
La Giornata Internazionale dell'Orgoglio Bisessuale,
che si terrà il 23 settembre, può considerarsi anche un modo per portare alla
luce questo tema?
Assolutamente sì, secondo me.
Giornate come questa sono utili per pensare:
segnalano cioè l'esistenza della bisessualità e costringono tutti a farci i
conti. La cosa particolare di questo giorno è che secondo me è utile tanto per
chi rivendica una identità bisessuale, quanto per quelli che non la rivendicano
(ma la vivono), perché possono - loro come tutti gli altri - ragionare su che
cosa è in realtà la sessualità umana e se la sua fluidità possa davvero essere
rinchiusa dentro compartimenti stagni.
Esiste infatti nella società una
netta distinzione tra etero e omo-sessualità, ma abbiamo tantissime persone che
si dichiarano eterosessuali, ma poi hanno avuto anche rapporti omosessuali; al
contrario, c'è anche - secondo alcuni studi - una piccola percentuale di
omosessuali che ha rapporti eterosessuali, non soltanto nella fase della
sperimentazione di sé, ma in varie fasi della vita.
Allora il pensare alla
sessualità in maniera più aperta, più fluida, può essere utile per non creare
steccati, confini, e - quindi - conseguenti discriminazioni.
Nel lavoro che facciamo con gli studenti universitari
riscontriamo spesso forti stereotipi legati alla bisessualità, più che alle
altre tematiche. Cosa ne pensa?
Riscontro la stessa difficoltà nel
lavoro che faccio nelle scuole superiori con gli studenti: c'è questa doppia discriminazione
di cui dicevamo prima. Perciò secondo me è fondamentale un lavoro di tipo
educativo: spesso, per esempio in adolescenza, c'è infatti una fase di
sperimentazione ed è utile allora offrire un sostegno adulto alla crescita
degli studenti, proponendo loro non modelli rigidi a cui conformarsi, ma parlando
loro di sessualità come di qualcosa di sfumato, intimo, plurale e complesso.
Probabilmente ogni essere umano ha una propria sessualità, forse le sessualità
non sono due come gli orientamenti sessuali, ma sono 6 miliardi così come 6
miliardi sono le persone sul pianeta. Io personalmente non conosco due
eterosessuali o due omosessuali che sentono, vivono il desiderio, fanno l'amore
alla stessa maniera, perché ciascuno/a ha una propria modulazione del
desiderio. Noi usiamo un criterio soltanto per categorizzare, che è quella
dell'oggetto sessuale, ma questo è uno solo degli elementi che costituiscono la
sessualità, che non è definita solo dal fatto che due partner siano dello
stesso sesso anatomico o di sessi diversi! E proprio la bisessualità ce lo fa
pensare: come ci ricorda
Sedgwick,
abbiamo bisessuali che amano fare sesso con un genere, ma si innamorano soltanto dell'altro
genere, oppure che hanno un immaginario erotico-sessuale diretto verso un
genere, ma hanno un immaginario romantico-sentimentale verso un altro genere.
Il discorso si arricchisce,
poi, se prendiamo ad esempio i migranti: noi ragioniamo secondo categorie - di
sesso, genere e orientamento sessuale - che sono occidentali e molto recenti.
Ho fatto prima l'esempio del Maghreb, dove si ragiona in termini di
attività/passività e non di oggetto sessuale, ma molti migranti che si
avvicinano alle associazioni LGBT, si trovano spesso spiazzati perché hanno un
modello differente da quello nostro, occidentale. I modi in cui gli uomini
hanno fatto sesso tra di loro e si sono amati, nei secoli e nei vari
continenti, è molto più variegato.
Quali sono le strategie che ci aiutano a portare
questo discorso in ambito pedagogico?
Innanzitutto c'è un grosso
problema di formazione, cioè le tematiche del genere, del desiderio, non
vengono studiate dai docenti, né nella formazione iniziale, né
nell'aggiornamento in servizio. Di fatto sono preparatissimi da altri punti di vista,
ma sono impreparati rispetto a queste tematiche.
In Mezzi maschi, un libro che ho scritto raccogliendo interviste di
adolescenti omosessuali, c'è un ragazzino che racconta di aver detto alla sua
professoressa di francese di essere omosessuale, che non viveva bene questa
cosa e la collega come risposta non ha saputo far altro che aumentargli di un
punto il voto di francese, il che, chiaramente, non è una risposta adeguata. La
collega era - potremmo dire - ben intenzionata, ma si è ritrovata impreparata, senza
strumenti.
È fondamentale che i docenti
siano preparati, anche perché la scuola - ce lo ha ricordato la Saraceno - è un
dispositivo di educazione al genere e alla sessualità, in vari modi: dalla
separazione dei bagni ai contenuti delle varie discipline (dalle scienze alla
letteratura), dalla corporeità stessa dei docenti (uomini e donne) al modo in
cui si relazionano tra di loro, dalle barzellette sulle suocere ai rapporti tra
coetanei, ecc. È importante che a scuola non ci sia soltanto questa educazione
al genere e alla sessualità - che di fatto è implicita, non ragionata, e che
riflette semplicemente le concezioni della società - ma che invece ci sia
un'attenzione di tipo teorico e una riflessione pedagogica. I docenti devono infine
anche avere un'attenzione su se stessi, sul modo in cui si rapportano alla
maschilità e alla femminilità. Spesso abbiamo progetti educativi molto
interessanti contro le discriminazioni e sulle pari opportunità, ma poi una battuta
su un cantante effeminato, le insinuazioni su una presentatrice dalla voce
baritonale o la polemica di un docente sulla collega che è isterica perché ha
le mestruazioni, possono rovinare tutto.
È importante anche fare grande
attenzione rispetto al linguaggio usato, ai curricula, ragionare su quello che viene insegnato (i
contenuti) e su come viene insegnato, su quali modelli di maschilità e di
femminilità vengono posti in gioco nell'incontro educativo a scuola tra adulti
e giovanissimi. Grossa attenzione deve andare anche al fatto che non esiste
soltanto l'identità cisgender e non bisogna quindi "silenziare" l'esistenza del
transgenderismo.
Grazie mille per le sue considerazioni. Prima di
salutarci, le andrebbe di lasciare un messaggio agli studenti universitari?
Secondo me la questione
nodale è che l'amore, la sessualità sono parte importante della vita di
ciascuno di noi. Ciononostante, spesso veniamo condizionati da modelli rigidi che
ci vengono dall'esterno. Secondo me invece - rispetto a se stessi e rispetto
agli altri - è necessario pensarci come qualcosa di plastico. Noi cambiamo
durante la nostra vita, cambiamo negli anni, il desiderio cambia, la sessualità
cambia. Oltre che secondo la logica del coming out, dell'orientamento sessuale,
del guardarsi dentro e del riconoscere una volta per
tutte la nostra "identità", è possibile pensare che - attraverso i nostri
desideri, i nostri amori - stiamo costruendoci come un'opera d'arte: le esperienze
ci plasmano, noi ci plasmiamo attraverso le nostre esperienze. Ciò significa pensare
all'orientamento sessuale non come a qualcosa di predittivo, qualcosa che una
volta deciso ci caratterizza per tutta la vita, ma in modo descrittivo: senza
ipotecare necessariamente il proprio futuro, riconoscendo alla sessualità la
sua fluidità. Questo secondo me può permettere a ciascuno di guardare a se
stesso con maggiore verità e accettare gli altri con maggiore capacità di
accoglienza, senza giudicarli.