A cura di Arianna D’Isanto.
Sempre più spesso ci ritroviamo
ad ascoltare testimonianze di questo tipo:
“La prima derisione l’ho ricevuta
all’età di 13 anni in seconda media poiché mi vesto e mi atteggio in maniera mascolina.
Molti mi chiamavano “lesbica de merda”. Da allora sono iniziate le prese in
giro e adesso che sto alle superiori mi ritrovo a dover fronteggiare molte più
persone che agiscono malamente nei mie confronti. Alcuni mi avrebbero voluto
picchiare ma sono stata fortunata e non li ho (ancora) incontrati.”
Fonte: Luglio 2010, presentazione Prima ricerca sul bullismo omofobico
in Italia, Arcigay.
Sfogliamo il quotidiano,
ascoltiamo la radio, scorriamo i titoli del giorno facendoli scivolare
velocemente e a volte distrattamente sulla bacheca del nostro social preferito:
“Ragazzo minacciato perché
attaccava il poster di un cineforum a tematica omosessuale all’università.”
“Ragazzo ‘troppo sensibile’
ricattato: cyberbullismo e violenza fisica e psicologica.”
“Ragazza presa in giro perché
gioca a calcio. Violenza psicologica e verbale.”
Magari clicchiamo anche su uno di
questi titoli: “Ragazzo di 15 anni suicida in casa: cyberbullismo, violenza
psicologica e verbale. La madre scopre solo dopo la morte che qualcuno sui muri
della scuola aveva scritto “non vi fidate del ragazzo con i pantaloni rosa, è
frocio”; che era stata creata una pagine facebook destinata a schernire il
figlio; che gli era stato rubato il profilo social con lo scopo di sostituirsi
a lui e scrivere una frase sconcia sulla bacheca della ragazza di cui era
innamorato.”
Cosa hanno queste storie in
comune, oltre al filo rosso della violenza che le tiene incatenate l’una
all’altra?
La matrice omofobica, che
colpisce non solo coloro che, attraverso un coming out, dichiarano il proprio
orientamento sessuale ma anche coloro che appartengono ad un gruppo che presume
la loro omosessualità, e sulla base di questa convinzione agisce violenza: psicologica,
verbale, fisica.
Da questa analisi, emergono due
nodi cruciali che vanno approfonditi.
Il primo riguarda il fenomeno del
bullismo, in particolare del bullismo omotransfobico.
Con il termine bullismo
si fa riferimento alla dinamica relazionale che comprende una serie di
comportamenti aggressivi e abusivi messi in atto tra pari all’interno di un
contesto gruppale. Questa peculiare dinamica può essere definita bullismo se
vengono soddisfatte tre condizioni necessarie: una posizione asimmetrica tra bullo e vittima; l’intenzionalità da parte del bullo di
creare il danno; sistematicità delle
prevaricazioni che si ripetono nel tempo in maniera continua.
Questo fenomeno assume diverse
forme: molestie fisiche, verbali, psicologiche, informatiche (come nel caso del
cyberbullismo) ma in tutte le sue espressioni si configura come scarsa o
assente comprensione delle differenze, che possono riguardare caratteristiche
fisiche, etniche, l’età e, nel caso specifico del bullismo omotransfobico,
l’orientamento sessuale e/o l’identità di genere della vittima.
Sulla base di quanto detto
finora, seguendo la logica di prevaricazione alla base del fenomeno, dovrebbero
essere vittima dei bulli coloro che dichiarano la propria omosessualità,
bisessualità, transessualità.
Così non avviene, perché a
legittimare il bullo nella azione di prepotenze e abuso è la rappresentazione
stereotipica della differenza di genere e l’esigenza, quasi vitale durante
l’adolescenza, di aderire all’eterosessualità normativa che il contesto
trasmette come “normale”.
Arriviamo, quindi, al secondo
nodo cruciale.
Esiste, infatti, un certo
conflitto nella società e il bullismo omofobico risulta essere “il compromesso”
con cui i bulli rispondono a tale conflitto, ossia allo scontro tra la
difficoltà di gestire il bisogno identitario di segnare un confine forte tra la
loro “normalità” e un’alterità che li interroga e li spaventa. La risposta a
tale conflitto è l’aggressione a chi simboleggia il conflitto stesso,
all’alterità e al bisogno di espressione di sé che caratterizza ogni
adolescente ma che non si manifesta sempre allo stesso modo. Succede quindi che
le ragazze che indossino indumenti o mostrino interesse per attività che
rientrino nella categorizzazione culturale del maschile, o che i ragazzi che
dimostrino particolari attitudini ad argomenti e/o peggio che esprimino
sentimenti e emozioni stereotipicamente associate al ruolo della donna
all’interno della nostra società, vengano etichettati come persone omosessuali
e attivino la dinamica alla base del fenomeno del bullismo già descritto in
precedenza.
Questa associazione dal “come mi
esprimo” e “cosa sento di essere” o “da chi mi sento attratto”, può presentarsi
immediata e connessa dal momento che non si è fatta propria la differenza tra
quelle che sono le varie componenti dell’identità sessuale e la distinzione tra
le varie istanze identitarie come ad esempio l’orientamento sessuale (da chi mi
sento attratt*), l’identità di genere (ossia il sentimento intimo e profondo di
appartenere al genere maschile o femminile) e quello che è il ruolo di genere,
quindi l’insieme di aspettative e dei modelli sociali che determinano i
comportamenti tradizionalmente appropriati per gli uomini e per le donne,
definendo come si debbano comportare attraverso modi di vestire, linguaggi del
corpo, emozioni, stili di vita, professioni che sono classificate come maschili
e femminili in una determinata cultura e in un dato periodo storico.
Spesso, in nome di quest’ ultimo
aspetto del complesso quadro identitario che rappresenta ognuno di noi, si
agisce un atto violento che definirei duplice: l’associazione immediata di
gusti soggettivi e caratteristiche comportamentali all’orientamento sessuale
dell’individuo, associazione che non è né diretta né lineare; ed un attacco
prevaricante e aggressivo legittimato da un movente puramente omofobico e
sessista.
In risposta a questo, un lavoro
di profonda informazione, sensibilizzazione e formazione risulta necessario e
urgente, per rendere sempre più inclusivi i contesti di vita dei giovani d’oggi
e far sì che ognun* si senta libero di esprimere se stess*, perché “non essere
se stessi significa morire”.