A cura di Daniela Scafaro
Oltre 700.000 adolescenti negli USA vengono sottoposti alle cosiddette "terapie riparative", purtroppo legali in moltissimi stati.
Questo è
quello che si legge sullo schermo nero, a chiusura del film e che dà la misura
dell’orrore appena visto, lasciando sgomenti.
Il film,
tratto dall’autobiografia “Boy Erased: A
Memoir” di Garrad Conley, fornisce allo spettatore un assaggio della
crudeltà degli approcci riparativi, volti al ri-orientamento all’eterosessualità
di uomini gay e donne lesbiche e, pur mostrando solo una parte della follia che
attraversa questi luoghi, il senso di angoscia che trasmette raggiunge picchi
altissimi.
Il
protagonista è Jared, un ragazzo che vive in Arkansas in una famiglia fortemente
religiosa e che, a seguito del suo coming
out, viene indirizzato da questi ad un programma - “Love in Action” - per la riconversione del suo orientamento
sessuale.
“Fingi finché non riesci!” il
motto di questo luogo che annienta le identità dei giovani “ospiti”
cancellandone spontaneità, legami e affetti.
Costretti a
spogliarsi di tutti i propri effetti personali, vestiti tutti uguali con solo
un’etichetta a segnalarne il nome, “accolti” con la consegna di un manuale che
impone rigide regole di comportamento (gonne al ginocchio per le ragazze, niente masturbazione, niente pornografia,
niente contatti fisici con gli altri, obbligo di andare al bagno accompagnati
etc.), spinti a ricalcare una presunta maschilità ideale attraverso
l’insegnamento di pose da macho,vengono convinti che sia possibile rintracciare
delle cause per la loro “condizione” e istigati a tal fine alla ricerca di
degenerazioni/perversioni (disagio mentale, alcolismo, omosessualità, aver
fatto parte di bande etc.) dei componenti del proprio genogramma, in un lavaggio
del cervello il cui violento e pericoloso messaggio è: "sii altro da te stesso!".
Le
conseguenze sono naturalmente devastanti e se c’è chi, come Jared, riesce a ribellarsi
a questo assurdo sistema, a coglierne la follia e a rigettarla trovando il
supporto della madre, purtroppo c’è anche chi, come Cameron, ritrovandosi solo,
cancellato e non riconosciuto, decide di farla finita.
Il film non
usa mezze misure nel descrivere lo scempio delle terapie riparative e,
mostrandoci i diversi destini cui vanno incontro questi due ragazzi, pone l’accento,
senza colpevolizzazioni, sul ruolo fondamentale della famiglia.
Nancy, la
madre di Jared, che acconsente alla partecipazione del figlio al programma di
conversione, inizialmente pensa sia la cosa migliore per lui ma non resta cieca
e sorda di fronte alla sua sofferenza, in un’evoluzione che la porta a prendere
posizione contro il marito e contro il presunto terapeuta Victor Sykes, che non
è né medico né psicologo, come la donna sottolinea in una delle scene a mio
avviso più significative.
Un plauso del film è infatti quello di tracciare una netta distinzione
tra le posizioni ideologiche e la posizione della comunità scientifica
internazionale rispetto alla questione delle terapie riparative.
I professionisti, quelli seri, infatti non sostengono questi approcci
e ne riconoscono la lesività, come testimonia la Dottoressa Muldoon, medico cui
Jared viene indirizzato da suo padre per una valutazione dei livelli di
testosterone, che ricorda con fermezza al giovane che non c’è niente che non
vada in lui e che nessuno può costringerlo a cambiare.