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Un allineamento tra sesso, genere e sessualità: le norme alla base dell’omofobia

simboli maschile e femminile


A cura di Camilla Esposito
 
Siamo generalmente abituati a definire l’omofobia come l’avversione irrazionale nei confronti di persone omosessuali, bisessuali e transessuali. Definizione questa, che sembra però lasciar fuori un aspetto fondamentale alla comprensione delle radici dell’omofobia: il suo legame con il dimorfismo sessuale, con le differenze tra uomo e donna, con il sessismo e l’eterosessismo.
Una prima definizione che pone l’accento su questo legame viene fatta risalire a Welzer-Lang: secondo l’autore l’omofobia non sarebbe altro che una manifestazione di sessismo, in cui gli individui sono discriminati in base al proprio sesso e, più nello specifico, al proprio genere. Questo ci aiuterebbe a spiegare anche quelle forme di ostracismo e discriminazione da parte dei gay ‘maschi’ nei confronti di quelli effeminati. Questi ultimi metterebbero i gay ‘maschi’ nella condizione di rischio di essere associati ad un femminile dannoso per la propria immagine, un femminile che nel nostro ordine normativo è subalterno al maschile. Dunque, questo rischio di femminilità sarebbe la chiave della spiegazione dei fenomeni omofobici tanto da parte della comunità eterosessuale, quanto di quelli registrati all’interno della comunità gay maschile. In molti casi, d’altronde, un atteggiamento anti-gay si accompagna a misoginia e spesso deriva da eterosessuali con una maschilità smisurata e ostentata.  Qualcosa di simile troviamo in Richard A. Isay (1989) quando sostiene, appunto, che parlare di omofobia sembrerebbe inappropriato in una società in cui l’odio per gli omosessuali è secondario alla paura e all’odio di quel femminile riscontrato negli altri e in se stessi, più che nell’omosessualità stessa. 
Un altro aspetto su cui poggiano le discriminazioni omofobiche è l’eterosessismo. Soprattutto per quelle forme più silenziose e subdole di omofobia, se l’omosessualità privata e silenziosa può in un certo qual modo essere accettabile, essa diventa inaccettabile quando rivendica parità con l’eterosessualità. “L’omofobia è la paura che quest’identità di valore venga riconosciuta” (Borrillo, 2009). 
Se provaste a ricercare il termine eterosessuale in un vocabolario Treccani, scoprireste che esso è definito come persona che ha rapporti eterosessuali, che si rivolge verso l’altro sesso; ma non presenta alcun sinonimo. Al contrario, il termine omosessuale abbonda di sinonimi: gay, lesbica, omosex, bardassa, buco, finocchio, invertito, frocio, culattone, pederasta, uranista, sodomita. Volendo prendere a prestito Bruner (2002), la sovrabbondanza linguistica connessa all’omosessualità è probabilmente da ricercare nel fatto che il problematico, l’imprevisto, ciò che viola il canone necessita di narrazione. Mentre l’eterosessualità, canonica, naturale ed evidente, resta implicita. È proprio questa naturalità a spiegare l’ordine istituito dall’eterosessismo, che prevede una differenza di base tra i gruppi di omosessuali ed eterosessuali, accordando sistematicamente e ideologicamente riconoscimento e privilegi al secondo termine della differenza. Questa naturalizzazione detta, al tempo stesso, un ordine sociale in cui il femminile deve essere complementare al maschile. È proprio l’importanza attribuita all’eterosessualità a produrre e naturalizzare la differenza tra i sessi; e non, quindi, la differenza tra i sessi a produrre la distinzione tra eterosessualità e omosessualità. Secondo la studiosa statunitense Judith Butler il genere è prodotto discorsivamente come categoria del desiderio (eterosessuale); il sesso è, a sua volta, prodotto discorsivamente come categoria di genere; ed ogni corpo, a questo punto, può dirsi già da sempre segno culturale. Quotidianamente apprendiamo norme, valori, apprendiamo a dare un certo nome e non un altro, costruiamo desideri, rimozioni, piaceri, disgusto. Tendiamo, all’interno di questi dispositivi, a naturalizzare e regolarizzare un allinearsi tra sesso, genere e sessualità, cosicché nascere maschio deve naturalmente significare sentirsi uomo, e adeguarsi alle norme culturali maschili, e desiderare una donna. 

 
Bibliografia

BORRILLO D. (2009), Omofobia. Storia e critica di un pregiudizio, Bari, Edizioni Dedalo.
BUTLER J. (2004), La disfatta del genere, Meltemi Editore, Roma, 2006. WELZER-LANG D. (1994), DUETY P., DORAIS M. (a cura di), La peur de l'autre en soi. Du sexisme à l'homophobie, VLB, Montreal.

 

 

 

 
 

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