A cura di Daniela
Scafaro.
Cosa
significa affrontare il coming out in tempo di quarantena?
Ho
provato a riflettervi con l’aiuto di Valeria, una coraggiosa mamma AGEDO (Associazione
di genitori, parenti e amici di persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender)
che mi ha aiutata a mettere a fuoco pro e contro, “svantaggi” ma anche inattese
opportunità di una situazione come questa.
Le
riflessioni di Valeria si intrecciano col ricordo del coming out dei suoi figli,
in una rievocazione sincera, lontana dal “tutto rosa e fiori” e per
questo, a mio avviso, molto preziosa e capace di mettere in luce tanto il punto
di vista genitoriale quanto quello filiale, restituendo un senso ad emozioni,
timori e speranze di entrambe le parti.
Valeria
ha tre figli e si è trovata ad affrontare il coming out due volte.
Mi
racconta che non è stato facile, che all’inizio ha sperato che fosse una cosa
passeggera e che tutto tornasse “normale”. Si è chiesta molte volte se avesse sbagliato
qualcosa e, soprattutto in occasione del secondo coming out, questo pensiero si
è fatto ancora più intenso, insistente, sofferto, come se quel “due su tre”
confermasse che ci fosse una responsabilità da parte sua e di suo marito, come
se questo mettesse in discussione la loro capacità genitoriale. Sono stati
tempi difficili che l’hanno portata a chiudersi in sé stessa ad evitare il
mondo esterno.
“La convivenza con questa cosa non è immediata”, mi
spiega Valeria; occorre tempo per superare quella sorta di egocentrismo che
spinge a guardare solo il proprio disorientamento di fronte allo sgretolamento
di tutto quello si era immaginato per il proprio figlio.
Eh
sì perché la paura più grande, mi racconta Valeria, è sempre stata quella di un
futuro più difficile, di un mondo ostile, del giudizio degli altri e forse la
quarantena, con la distanza che ci impone dal mondo esterno, può rappresentare
un’occasione per “far venir meno un problema”, per non arrovellarsi la
mente su cose futili legate alle
apparenze e per recuperare le cose che contano, per ricordarci che l’essenziale
sono affetti e legami, per rafforzare l’interno e corazzarsi per
affrontare poi il mondo, insieme ai propri figli, fianco a fianco.
L’esterno,
che spesso può diventare un rifugio, viene a mancare e le occasioni per stare
da soli si riducono.
Mi
chiedo se questo possa complicare la situazione tanto per i figli quanto per
genitori.
«Per
un figlio immagino che il timore sia “lo dico e non posso scappare”».
«In
effetti la verità è che non ci si può evitare. Bisogna guardarsi negli occhi,
sedersi insieme… le occasioni sono forti, ma sono occasioni» mi dice Valeria.
Se
è vero che sono anche necessari dei momenti di solitudine (tanto per i genitori
quanto per i figli), è pur vero che questi, se protratti troppo a lungo,
rischiano di esitare in pericolosi monologhi che annullano la possibilità di
conoscersi, di dialogare insieme, lasciando la mente in balia di spiegazioni
fantasiose, condanne ed autocondanne. Star troppo da soli significa non poter
fare domande e darsi, da soli, risposte sbagliate.
Probabilmente
in una situazione come questa, in cui si è costretti tutto il giorno a casa
insieme, l’inizio è ancora più difficile, i silenzi ancora più pesanti ma il
tempo del confronto non può essere rimandato e si potrebbe rimanere
reciprocamente sorpresi dalla reazione dell’altro.
Cosa
potrebbe essere d’aiuto in una situazione simile?
«Non
è la pacca sulla spalla o il sentirsi dire “meglio questo che una malattia”», mi dice Valeria
raccontandomi che per lei e suo marito è stato di grande aiuto potersi
confrontare con qualcuno che sapesse di cosa stessero parlando, che
condividesse la loro esperienza di genitori di figli omosessuali, nonché il
poter fare affidamento su professionisti che li aiutassero a non patologgizzare
la cosa, a non incolparsi, a non chiudersi ma ad aprirsi e a realizzare quel
decentramento da sé stessi ai propri figli, potendone immaginare un futuro
differente.
«Oggi
i miei figli mi incuriosiscono, mi incuriosisce quello che ci aspetta…sarà una
cosa diversa, colorata», mi
dice Valeria gioiosa.
Ci salutiamo con l’augurio che i genitori che si trovino
a vivere in questi giorni di quarantena il coming out di un figlio possano apprezzarne
l’onestà e riconoscerne la fiducia che in loro ripone non sprecando quest’occasione di vera
ed autentica conoscenza.