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Breve excursus sull'omosessualità femminile


A cura di Dario Ferrara

Lo sviluppo psicosessuale della bambina è caraterizzato, al pari del bambino, da un lungo e complesso periodo di attaccamento esclusivo alla madre che precede il complesso edipico. Tale fase detta preedipica, si prolunga fino al quarto e perfino al quinto anno di vita, occupando così gran parte della sua fase fallica. In questo periodo la bambina proietta la sua libido nei confronti della madre, il padre, invece, non è altro che un rivale. "La vita sessuale femminile si divide in due fasi: una prima ha carattere maschile; solo la seconda è quella specificatamente femminile. Nello sviluppo della femmina vi è come un processo di trapasso da una fase all'altra"(freud). Con il comparire delle prime acquisizioni sulle differenze sessuali, con  il confronto dei propri genitali con quelli maschili, la bambina si rende conto della mancanza del pene, ma che al momento, rimane attribuito alla madre come ai maschi. Questa grande privazione, come la precedente, il seno, costituisce la seconda importante ferita, che promuove sentimenti intensi di rivalsa e che conferma le idee della bambina che la madre sia colei che detiene il potere. Nello stadio pre-edipico dello sviluppo, il pene è il mezzo per corrispondere alla seduzione genitoriale e media la relazione con la madre. La bambina, quindi, reclama un fallo personale per corrispondere al suo amore ovvero sperimenta la tipica invidia del pene. L'esclusione da un universo di amore e potenza, è densa di frustrazione e attiva impulsi distruttivi proiettati sulla madre, sul suo interno gravido di tesori, e sui rapporti che intrattiene con il padre. Sulla base di organizzazioni percettive più perfezionate, dell'evoluzione della scena primaria e degli stimoli provenienti dalla realtà e dai confronti con l'altro sesso, la bambina inizia a riconoscere la madre come distinta dal padre, cioè senza pene, ma pur capace di riceverlo dal padre e di fare bambini. L'invidia del pene si accompagna anche ad una diminuzione dell'attaccamento della donna all'oggetto primario, la madre. All'origine del distacco, Freud, individua l'accusa che la bambina rivolge alla madre di essere l'artefice della propria mancanza; la madre risulterà come colei che volutamente non l'ha fornita di tale tesoro prezioso. Successivamente, il desiderio di possesso del pene ed una sua rivendicazione verranno spostati dalla madre al padre che ne è detentore. L'abbandono finale della madre da parte della bambina è l'eventuale riconoscimento della propria evirazione. Poiché è l'evirazione, la negazione del genitale maschile da parte della madre, che forma il nucleo di quel complicato insieme di rimproveri contro colei che, nel frattempo, è stata riconosciuta come evirata essa stessa. Alla luce dei fatti è possibile affermare che mentre nel bambino l'evirazione rappresenta uno dei fattori che porta al declino del complesso edipico, nella bambina la riconosciuta evirazione da il via al suo lungo processo di sviluppo. Inoltre, quando si accorge dell'evirazione materna, ovvero che anche la madre al suo pari non è provvista di pene, attua nei suoi confronti un processo di svalutazione utile poi, al passaggio al padre. Così si rinuncia alla madre sotto l'impulso di un'ostilità tanto profonda quanto solo la costituzione infantile, con l'ambivalenza ad essa inerente, è capace di produrre. La madre se pur svalutata e considerata al suo pari come manchevole, ha però la possibilità ancora di godere di quel desiderato potere attraverso il pene paterno e soprattutto grazie ad esso, ha la capacità di avere un bambino. Il passaggio finale dalla madre al padre, cioè l'entrata nel complesso edipico nella bambina, soddisfa la necessità biologica di trasformare la bimba "mascolina" nella donna "femminile", attingendo alla sua passività e alle rimanenti tendenze sessuali positive. Il desiderio di possedere il pene la spinge dalla madre al padre, in poco tempo tale desiderio si trasforma nel desiderio di un bambino che solo il padre può soddisfare. Così il "pene-bambino" infine non è più desiderato dalla madre ma dal padre. La scoperta della bambina che la madre è priva di pene getta le basi per il riconoscimento della somiglianza tra i loro corpi, ma nello stesso tempo ne esalta le differenze: ritorna l'immagine della madre onnipotente che può prendere e possedere il pene paterno attraverso la vagina mentre la bambina ha un orifizio e un corpo in generale più piccoli di quelli materni. Le conseguenti fantasie proiettive distruttive sull'interno del corpo materno danno luogo alla paura della ritorsione parentale. La bambina si rivolge dunque al padre per ricevere il pene, attraverso un'identità imitativa e finalmente compiere la seduzione materna. La somiglianza con la madre spinge ad avvicinarsi al padre per ottenere da lui un bambino ma questo desiderio non può che venire ancora una volta frustrato. La fase pre-edipica assume un'importanza determinante anche per altri fattori. Freud sosteneva che una durata prolungata di tale fase potesse portare alla possibilità che la bambina rimanga ferma al primitivo vincolo materno e non compia mai la svolta richiesta in direzione dell'uomo. In tale fase vi è spazio per tutte le fissazioni e le rimozioni alle quali siamo soliti ricondurre il sorgere delle nevrosi e che non sono necessariamente edipiche. "L'omosessualità femminile, che anche se molto meno manifesta, non è certo meno comune di quella maschile, è stata non solo ignorata dalla legge ma trascurata persino dalla ricerca psicoanalitica", così Sigmund Freud introduceva "Psicogenesi di un caso di omosessualità in una donna" nel 1920, spiegando come, convertire un genere di organizzazione genitale in un'altro, non fosse affatto compito semplice, ma che tuttavia, la riuscita si poteva tentare rendendo possibile l'accesso al sesso opposto ad una persona limitata all'omosessualità, restituendole innanzitutto le piene funzioni bisessuali. Secondo Freud, l'omosessualità si innescherebbe nell'infanzia, ma la considerava una fase transitoria da cui passare per arrivare all'eterosessualità tipica dell'età adulta. Le pulsioni omosessuali sono un fenomeno normale, poichè gli esseri umani sono intimamente bisessuali. Freud sostiene che la sublimazione di queste pulsioni determini i rapporti di amicizia tra persone dello stesso sesso e quei comportamenti camerateschi quotidiani. L'omosessualità non era considerata una malattia, ma al contrario Freud affermava che una certa quota di omosessualità fosse propedeutica allo sviluppo di una personalità eterosessuale. Definiva gli omosessuali come degli invertiti distinguendoli in: invertiti assoluti, cioè il loro oggetto sessuale può essere solo omosessuale; invertiti anfigene, cioè il loro oggetto sessuale può appartenere sia allo stesso sesso sia all'altro;invertiti occasionali, cioè in certe condizioni esterne, tra le quali l'inaccessibilità di un oggetto sessuale normale lo spinge a soddisfare il suo bisogno con una persona del medesimo sesso. Può succedere che un animo femminile, destinato ad amare un uomo, sia imprigionato in un corpo maschile; o un animo maschile, destinato ad amare una donna, sia imprigionato in un corpo femminile. Sono tre le caratteristiche da considerare: caratteri sessuali fisici ovvero l'ermafroditismo fisico; caratteri sessuali psichici, ovvero l'atteggiamento maschile o femminile; genere di scelta oggettuale. Spesso ciò che si considera comunemente è solo la terza delle caratteristiche precedentemente elencate. Per quanto riguarda il pensiero della psicoanalisi sull'origine dell'omosessualità, ci sono stati e ci sono ancora adesso molti pareri contrastanti. Per molto tempo si è considerata l'omosessualità come l'esito di un rapporto troppo stretto e morboso tra il bambino e la madre durante l'infanzia e un padre troppo assente o periferico. Bieber e altri studiosi cosiddetti "neofreudiani" nel 1962 sostennero che l'omosessualità fosse una sorta di adattamento psicosessuale e biosociale patologico, determinata da paure irragionevoli riguardante l'espressione di impulsi eterosessuali. Quindi secondo loro, dietro ogni omosessuale si nasconde un eterosessuale latente. Al contrario di Freud, i "neofreudiani", negavano sia che l'omosessualità scaturisse da una bisessualità inconscia sia l'esistenza di questa bisessualità; per loro, l'omosessualità scaturiva, come per i sintomi isterici, da un conflitto nevrotico. Comunque queste teorie erano figlie dell'epoca. L'omosessualità è stata presente come forma di disturbo mentale nel DSM (Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali) sino al 1980, anno in cui è stata derubricata dal manuale, a seguito di un graduale cambiamento culturale dovuto ai movimenti di liberazione sessuale ad opera di lesbiche, gay e transessuali a cui fece seguito, nel 1973, il referendum tra i membri dell'APA (American Psychiatric Association) i quali, a maggioranza, stabilirono che l'omosessualità non era più considerata una patologia. Nel 1987 è stata eliminata dal DSM anche l'omosessualità egodistonica, ovvero una condizione in cui un individuo omosessuale viveva stati di depressione dovuti ad un conflitto con il proprio "io" causati dalla propria omosessualità. Solo nel 1991 l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha derubricato l'omosessualità dal proprio manuale diagnostico, l'ICD (International Classification of Disease). Col passare degli anni, queste posizioni si sono molto ammorbidite, e già dalla fine degli anni 60 gli psicoanalisti iniziano a rigettare le teorie dei neofreudiani sul conflitto e ritornano al pensiero originario di Freud che sosteneva la natura non conflittuale dell'omosessualità. Freud stesso sostiene che "non spetta alla psicoanalisi risolvere il problema dell'omosessualità. Essa deve accontentarsi di rivelare i meccanismi psichici responsabili della scelta oggettuale e di individuare i sentieri che da essi vanno alle disposizioni istintuali. Li finisce il suo compito".Al giorno d'oggi, l'omosessualità non è più annoverata come patologia nel DSM-IV, tuttavia, alcuni specialisti, nella pratica clinica con pazienti omosessuali adottano una sorta di terapia correttiva dell'omosessualità parzialmente legittimata poiché, tra le pagine del manuale, sussiste la voce "distubo sessuale non altrimenti specificato": esso è descritto come un significativo disagio esperito dall'individuo riguardo il proprio orientamento sessuale. Tale disturbo, però, non tiene conto del fatto che tale egodistonicità possa essere dovuta principalmente alla difficoltà nella gestione dello stigma sociale e del non riconoscimento sociale della propria identità, quindi, da un contesto "patologizzante", piuttosto che dall'orientamento sessuale in sé. Ciò è sintomo di una cultura, di una civiltà e di una professionalità ben lontana dall'essere conscia della realtà non patologica di questi individui e di un pregiudizio pervasivo per cui l'omosessualità è imprescindibile dall'assenza di benessere di un individuo. Da un'attenta analisi della letteratura internazionale emerge chiaramente come la maggior parte del materiale scientifico in tema di omosessualità faccia riferimento agli uomini. Infatti, nonostante un'apparente uguaglianza, ancora oggi il mondo della ricerca appare molto più orientato verso il maschile, piuttosto che verso il femminile. L'omosessualità femminile nell'antica Grecia, ad esempio, aveva una funzione pedagogica analoga a quella maschile e rappresentava per l'adolescente una fase di passaggio dall'età infantile al mondo degli adulti, durante la quale la giovane veniva educata e preparata al matrimonio e ad una delle funzioni essenziali per i greci: la procreazione. Intorno al VII sec.a.C. in Grecia fiorirono delle comunità femminili nelle quali le relazioni omoerotiche avevano il valore di rito d'iniziazione sessuale analogo a quello della pederastia. Di rilevante importanza fu il circolo di Saffo, che rappresenta il principale modello di questa pseudo-omosessualità. L'attività della poetessa a Mitilene assolveva una ben precisa funzione sociale: Saffo educava fanciulle nobili nella ristretta cerchia del tiaso, una sorta di associazione femminile in cui le ragazze entravano a farne parte prima del matrimonio e dove trascorrevano un periodo d'istruzione e preparazione alle nozze; poi, una volta sposate, si separavano dal gruppo. Sigmund Freud in risposta a una lettera dell'allievo Ernest Jones, preoccupato e contrario all'accettazione di candidati omosessuali negli istituti di formazione, scrive:"Caro Ernest, non siamo d'accordo con lei. In realtà non possiamo escludere tali persone senza avere sufficienti ragioni d'altro tipo; così come non possiamo escludere tali persone senza avere sufficienti ragioni d'altro tipo; così come non possiamo essere favorevoli a che siano perseguitati dalla legge. Ci sembra che in simili casi una decisione dovrebbe dipendere da un esame accurato delle altre qualità del candidato".Già nel 1905 Freud aveva dichiarato che "l'indagine psicoanalitica si rifiuta con grande energia di separare gli omosessuali come un gruppo di specie particolare rispetto alle altre persone, tutti sono capaci di scegliere un oggetto sessuale dello stesso sesso e hanno anche fatto questa scelta nell'inconscio". E aggiunge che, se volessimo darci una spiegazione per tale inclinazione, dovremmo anche, a rigore, spiegare la ragione dell'amore esclusivo di un individuo per qualcuno dell'altro sesso".Nel 1920 ('Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile', p. 165) formula poi con serenità il famoso aforisma: "La psicoanalisi non è chiamata a risolvere il problema dell'omosessualità. Essa deve accontentarsi di rendere palesi i meccanismi psichici che sono stati determinanti per la scelta oggettuale..."Infine, negli anni della tarda maturità, nel 1937 conferma esplicitamente che a partire dall'universale bisessualità, l'orientamento sessuale di ciascuno avviene per rinuncia a una parte di sé, per rimozione del suo contrario. La penosa conflittualità intetriore che nella maggior parte dei casi conduce alla supremazia di una parte sull'altra non è però mai definitiva e totale, per lo meno a livello delle fantasie inconsce.

 

 

 

 
 

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