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Donna e giornalista: intervista a Barbara Bonomi Romagnoli

copertina del libro irriverenti e libere di Barbara Bonomi Romagnoli


A cura di Daniela Rubinacci

Barbara Bonomi Romagnoli è giornalista e attivista femminista, si
occupa di studi di genere e di femminismi. È socia della Società delle
letterate, ha fatto parte del Direttivo 2016-17, e partecipa alle
attività di Giulia – Rete nazionale delle giornaliste unite libere
autonome.

 


La Società delle Letterate, fondata nel 1995, è costituita
da scrittrici, insegnanti, studiose di varie letterature, giornaliste,
ricercatrici e operatrici culturali di diverse generazioni provenienti da varie
regioni, tutte appassionate di libri e di storie perché innanzitutto
lettrici. La SIL produce, diffonde e trasmette i saperi femminili dei quali la
letteratura – intesa appunto nel suo doppio senso di pratica di scrittura e di
lettura – è strumento privilegiato ma non unico. E infatti si interessa anche
ad altre forme del narrare: quella teatrale, cinematografica, il lavoro poetico
e la scrittura di testi multimediali, ogni forma di scrittura insomma di cui le
donne sono protagoniste. 
Abbiamo chiesto a Bonomi Romagnoli di rispondere ad una breve
intervista per la nostra newsletter dedicata a marzo donna:

 



Cosa è per lei una donna?


È una domanda complessa, non credo personalmente che esista
la donna con la D maiuscola o una essenza femminile unica, ma
esistono singole e differenti donne: quelle che lo sono perché
accidentalmente sono nate con degli attributi sessuali indicati come
femminili, accanto a quelle che lo sono diventate e che hanno fatto magari
percorsi di transizione da un sesso all’altro. Non sono per una definizione
essenzialista, penso che esistano le tante donne con esigenze bisogni
e modalità di stare al mondo diverse. In generale, mi
sento più  affine alle femministe
che esprimono una visione della vita basata sull’autodeterminazione
delle singole donne.

 



Secondo lei, come si declina l’essere una donna rispetto ai ruoli
della società?



Dipende dall’approccio al mondo; credo che, a seconda di quello che
sei come singola, ti muovi poi nel mondo del lavoro, nel personale e
nel mondo pubblico o politico in modo differente. Accanto a questo c’è più
in generale la cultura della nostra società che prevede modelli e ruoli di
genere di un certo tipo.

In particolare, la mia professione, il giornalismo, è stata per tanto
tempo maschile e maschilista, nei numeri ma anche nelle modalità. Ora anche in
Italia ci sono sempre più donne in questo settore, ma questo non ha
necessariamente significato un cambiamento nel modo di stare nel giornalismo:
ancora nelle redazioni i ruoli apicali sono ricoperti da uomini e magari le giornaliste
non hanno lo stesso spazio di decisione rispetto all’articolo che scrivono e
propongono.

 



Cosa vuol dire per lei essere una giornalista donna?


Nei media italiani è ancora molto complicato. Nella mia
esperienza ha significato ad esempio che certe tematiche che proponevo
venissero considerate “robe da donne” e non considerate notizie al pari delle
altre. Ho lavorato per anni in giornali indipendenti in cui il progetto
editoriale era anche un progetto politico e parlare, ad esempio, della chiusura
dei consultori non aveva lo stesso valore che parlare del movimento di
sinistra. Oltre al fatto che come in altri settori anche nel giornalismo
ci può essere disparità salariale, non si ha accesso ai ruoli apicali etc.

 



Ci potrebbe parlare della Società Italiana Letterate?


È un’associazione composta da editrici, scrittrici, giornaliste, della
quale sono socia ed ho fatto parte del direttivo per due anni. La società
italiana delle letterate da decenni in Italia si occupa di valorizzare la
letteratura scritta da donne, con un approccio interpretativo di critica
femminista, perché riteniamo che uno dei problemi rispetto alla cultura che è
ancora sessista, a volte misogina e patriarcale, sia la trasmissione di modelli
dati alle nuove generazioni: quindi la Società italiana delle letterate si
batte da anni affinché nei programmi scolastici di ogni ordine e grado vengano
introdotte le opere e le autrici che spesso non sono nemmeno
nominate. Quando andavo a scuola, le antologie erano composte spesso
di soli autori maschili, come se non vi fosse una produzione enorme, vastissima
di autrici italiane e straniere.

Inoltre, è un modo di fare rete tra varie città italiane: infatti è
un’associazione nazionale ma ha varie realtà locali. La società cerca
di tenere insieme donne che vengono da ambiti professionali diversi ma che
hanno interesse e passione per la letteratura soprattutto, ma non solo
ovviamente, scritta da donne.

 



Vuole lasciare un messaggio ai nostri lettori?


Vorrei dire che il futuro in qualche modo è ogni giorno. Una delle
cose più importanti che mi ha insegnato la pratica femminista è che
non si è femministe solo il giorno in cui si scende in piazza per precise
lotte. Lo si è sempre e ogni giorno si può cambiare il proprio modo di stare al
mondo e di chi circonda. Credo che sia importante anche in ambito
accademico che si lavori sull’uso di un linguaggio sessuato e includente.
Perché la filosofia mi ha insegnato che le cose se non vengono nominate non
esistono. Alle ragazze, alle donne del futuro, direi di essere molto
irriverenti e libere, è la cosa più importante per guardare l’orizzonte che ci
aspetta. 

 

 

 

 
 

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