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La violenza di genere secondo un'esperta: intervista a Graziella Priulla

locandina in occasione del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne


A cura di Alessia Cuccurullo e Daniela Rubinacci

Il 25 Novembre si celebra in tutto il mondo la Giornata Internazionale contro la violenza maschile sulle donne. Il tema della violenza di genere è ancora oggi molto discusso, proprio per la sua incidenza, soprattutto nel nostro Paese. La prof.ssa G. Priulla, sociologa della comunicazione e della cultura, studiosa ed esperta del tema, ci ha concesso un'intervista per aiutarci a comprendere meglio di cosa parliamo quando facciamo riferimento ai fenomeni di violenza sulle donne. 

Professoressa, quali sono i temi di suo interesse e gli ambiti di cui si occupa principalmente?
Mi sono sempre occupata di linguaggio e di comunicazione; da almeno 6- 7 anni mi occupo di linguaggi sessuati, di stereotipi e di violenza di genere.

Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne. Che cosa significa per lei questa giornata?
Devo sicuramente distinguere quello che significa per me e quello che significa per molte altre persone. Per me è semplicemente un lavoro che faccio tutti i giorni,da tutta la vita.Perché non credo che si debba ricorrere a una manifestazione annuale per parlare di violenza maschile contro le donne; bisogna invece insistere quotidianamente e non solo sulla violenza esplicita ma anche su quella implicita, sulle matrici della violenza. È un lavoro lungo, un lavoro quotidiano e faticoso. Il rischio attuale, secondo me, è che il 25 novembre diventi un po'come l'8 marzo, una festa commerciale, si liberano in cielo palloncini azzurri e rosa, si invitano due esperti a parlare e poi finisce tutto lì.

Quali sono, secondo lei, le cause principali della violenza di genere? 
Le cause della violenza di genere sono antiche come è antico il patriarcato.Potrei parlare addirittura di millenni fa, potrei citare Aristotele o l'antica concezione delle religioni monoteiste delle donne, potrei citare un'infinità di volumi e di analisi che sono state fatte, non soltanto su quello che adesso fortunatamente abbiamo imparato a chiamare "femminicidio", ma su tutta una serie infinita di violenze fisiche, psicologiche, economichee simboliche. Adesso, finalmente, si sta aprendo un po' il tappo, si sta scoperchiando il vaso di Pandora, ma il lavoro è ancora molto lungo, perché la concezione dell'uomo cacciatore e della donna preda è antica come l'umanità. Pensate a quello che ci hanno raccontato a scuola: Giove, il re degli dei, era uno stupratore seriale a quello che risulta dalla mitologia, quindi va scardinato proprio un immaginario antico.

In che modo il linguaggio veicola la violenza nei confronti delle donne?
In moltissimi modi. Pensate a quante esclamazioni includono la parola "puttana", per esempio, che è lo stigma antico, la divisione più forte che distingue le donne per bene dalle donne per male, e che inchioda le donne all'unica possibilità consentita, cioè comportamento sessuale puro e impuro. Il problema è che questo significa, ma d'altronde l'ha detto recentemente anche un noto psicologo che va sempre in televisione, che ogni donna è potenzialmente una"poco di buono" e quindi bisogna controllarla, tenerla chiusa, bisogna stare attenti perché la vocazione femminile è questa. Pensate che tutti i giorni i bambini sentono parole come queste, sentono insultare le donne con epiteti terribili, sentono proverbi quali"chi dice donna dice danno", pensate quanto è lungo il lavoro da fare sul linguaggio quotidiano. A me non interessano tanto i proclami sulle passerelle politiche o televisive, mi interessa quello che la gente fa a casa, in strada, a scuola, tutti i giorni. Basti guardare le pareti del bagno di una scuola o di una caserma o di un qualsiasi luogo pubblico per vedere come sono trattate le donne.

Quali pensa possano essere buone pratiche per la prevenzione della  violenza maschile contro le donne?

Bisognerebbe partire dall'asilo. Purtroppo in Italia si fa poco e si fa male,perché ci sono tutta una serie di pregiudizi su quello che si fa a scuola. L'ideale sarebbe che fosse la famiglia a dare il buon esempio per prima,ma sappiamo benissimo che la famiglia spesso non lo fa: in Italia ci sono sette milioni di donne che subiscono violenza domestica quotidianamente, quindi è un'utopia immaginare che tutte le famiglie abbiano questa consapevolezza. Per questo, l'unico luogo dove è possibile offrire modelli positivi è la scuola, ma bisogna partire dall'infanzia. Io ci ho provato all'università ma credo sia troppo tardi: già gli stereotipi sono così profondamente consolidati nella testa dei ragazzi e delle ragazze che è difficile scardinarli. Poi, naturalmente, ci sarebbe un grandissimo lavoro da fare sui mass media; ma finché i mass media saranno ispirati solo ai pensieri commerciali, per cui una donna nuda fa vendere e una parolaccia sessista in televisione fa audience, è difficile che cambino.

Grazie mille. Prima di salutarci, vuole lasciare un messaggio agli studenti e alle studentesse che ci leggono?
II messaggio è sempre lo stesso, non dite mai "si è sempre fatto così, si è sempre detto così": è a voi che viene affidato  il compito di cambiarlo questo mondo,se non vi piace.E per sapere se vi piace o non vi piace è giusto che non ricorriate ai luoghi comuni e alle frasi fatte; interrogatevi se quello che vi dicono, se i modelli che vi offrono, vi piacciono o no e soprattutto se vi lasciano liberi e libere di esprimervi.Chiedetevi se ciascuna e ciascuno può viversi sentendosi rispettato dalle persone con cui è in contatto. Questo è il mio messaggio,è semplicissimo, ma non poi così semplice, visto che si dice molto e si fa poco.

 

 

 

 
 

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