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Intervista a Miki Formisano in occasione del T-DoR

una candela in memoria delle vittime di transfobia


A cura di Alessia Cuccurullo

IIl T-DoR, Transgender Day of Remembrance, si celebra ogni anno il 20 Novembre. È una giornata nella quale ciascuno è invitato a riflettere sulla violenza transfobica, attraverso il ricordo delle vittime. L'evento accende ogni anno le luci sul mondo transessuale, stimolando anche il desiderio di conoscenza di quanti conoscono poco questa realtà. Abbiamo scelto di approfondire il tema con una testimonianza diretta: Miki Formisano, transessuale attivista e fondatore dell'associazione TGenus si racconta in un'intervista che tocca il cuore.     
"Raccontare brevemente la mia vita non è semplice", dice. Questa la sua storia:

Ci sono molte cose che accomunano le persone transessuali, come il disagio provato già a 5 anni, quando ci si inizia a rendere conto della diversità dei sessi. Il mio disagio è iniziato a quell'età, quando andavo in una scuola di femminucce e non potevo giocare coi maschietti.
Ero allora attratto dalle bambine e avevo le mie prime fidanzatine. Ero curioso anche sulla differenza tra i due sessi, che mi interessava scoprire: erano differenze che io sentivo con le altre bambine, ma non riuscivo ad esprimerle.La mia vita poi è andata avanti e in adolescenza ero molto irruento, anche a causa di questo disagio. Ho vissuto malissimo questo periodo per i cambiamenti corporei che comporta, che mi hanno fatto capire che ciò che io pensavo potesse accadere (ad esempio che mi potesse crescere un pene o la barba) era solo un'illusione. Devastato da questo evento, iniziai ad auto-distruggermi, prima attraverso piccole lesioni e successivamente conobbi persone che facevano uso di sostanze.Era un mondo che non conoscevo proprio, ma il primo contatto con le droghe per me è stato un buco di eroina. È partito così un tour nel tunnel malefico della sostanza stupefacente; sono stati anni difficili che mi hanno portato anche in carcere perché avendo io questa forte identità maschile, non riuscivo neanche a prostituirmi o farmi un fidanzato come accade per molte tossicodipendenti. Facevo quindi degli illeciti che mi hanno portato a conoscere il carcere e purtroppo anche il mondo dell'HIV: sono stato tra i primi sieropositivi in Italia, l'ho saputo nell'85.Il mio percorso di vita è andato avanti tra alti e bassi. È importante sottolineare che io non riuscivo a comprendere bene quale fosse il motivo della mia sofferenza: mentre da piccolo sapevo di voler essere un maschietto, col tempo ho pian piano abbandonato questa idea; la mia ignoranza mi ha portato a pensare che fossi lesbica, ma stavo ancora più male perché non riuscivo a vedermi né tantomeno mi sentivo una donna lesbica. Questo mi ha portato ad autodistruggermi, fino a quando ho iniziato ad informarmi.Con l'avvento di internet ho potuto informarmi, conoscere e incontrare persone che erano in un percorso di transizione. Quando ho avuto queste informazioni, ho dato un nome a quel disagio che mi portavo dietro da una vita e che non sapevo identificare. Qui a Bari c'è l'ONIG e ho potuto iniziare il mio percorso di transizione.Contestualmente avevo una compagna, al di fuori di tutte le storie negative della mia vita, e a lei ho detto "per amarti devo prima amare me stesso". Lei ha accettato il mio percorso, perché amava la persona al di là dell'involucro. Il percorso e il riconoscere me stesso mi ha portato ad una vera e propria rinascita, perché ho abbandonato le sostanze e ho lasciato dietro di me anni di vita allo sbando. È bastato riconoscere questo disagio e capire che c'era anche per me la possibilità di essere quello che avevo sempre sentito di essere ma a cui non riuscivo a dare un nome, per liberarmi di tutto ciò che di negativo avevo vissuto.    
Ci sono state persone sulle quali hai potuto contare in questo lungo cammino?  
Fino quando non ho riconosciuto il mio disagio, ovviamente mi circondavo di gente negativa. Ma nel momento in cui ho capito che mi amavo, le persone su cui ho potuto contare sono state tantissime. Tra queste, anche la famiglia, che all'inizio mi stava vicino con riserva; mia madre, una mamma meridionale, era spaventata dal cambiamento ma anche dalle ricadute degli interventi. C'era poi anche la paura di quello che dicessero gli altri; ma quando hanno visto che io ero felice mi hanno supportato, così come la mia compagna e i miei amici, che mi hanno accettato così com'ero. Questo mi ha portato comunque a scendere in campo, perché sentivo di dover restituire comunque qualcosa. Per questo ho creato TGenus, un'associazione nella quale principalmente ci occupiamo di ascoltare e accogliere le persone e di indirizzarle. La prima cosa che facciamo è dire "non sei solo". Creiamo rete su tutto il territorio nazionale con diversi professionisti, che possano seguire i percorsi. Facciamo poi anche corsi di formazione, incontri e convegni.  

Ci avviciniamo al 20 Novembre, giornata del T-DoR. Cosa ne pensi di questa ricorrenza?
È bene che il 20 novembre ci sia un'attenzione mediatica, sebbene il T-DoR dovrebbe essere tutti i giorni. Perché le persone trans subiscono tutti i giorni attacchi violenti negli ambiti lavorativi e familiari: per noi è tutti i giorni il T-DoR. Questa giornata del 20 novembre però è importante, per far arrivare il messaggio anche alle persone più sorde, per commemorare tutte le vittime di transfobia.  

Penso che quello che possiamo fare per rendere questa società più rispettosa nei confronti delle persone transessuali sia necessario un cambiamento di atteggiamento. La persona transessuale è sempre associata al degrado e alla negatività perché la visibilità è sempre data agli aspetti negativi, come avviene ad esempio anche al Pride. Dobbiamo essere noi stessi i primi a mostrare di essere persone come le altre, renderci visibili nel modo giusto, mentre la società va sempre a cogliere coloro che si mostrano eccessivamente. Inoltre, è importante fare informazione: c'è ancora tanta ignoranza e stigma sul mondo transessuale. Informare con le proprie testimonianze è importante, soprattutto nelle aziende e nei luoghi di lavoro. I contesti lavorativi sono i primi luoghi nei quali sarebbe necessario fare informazione e formazione, perché in essi si generano stigma e discriminazioni perché le persone non sono preparate. Per me questo è basilare.

 

 

 

 
 

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